sabato 30 aprile 2011

Cameriere

"Ma era davvero l'amore? Quel voler morire accanto a lei era evidentemente un sentimento eccessivo: era solo la seconda volta in vita sua che la vedeva! Non si trattava piuttosto dell'isteria di un uomo che, scoprendo nel profondo della sua anima la propria incapacità di amare, aveva cominciato a fingere l'amore con se stesso? D'altra parte, il suo subconscio era tanto vigliacco da scegliere per la sua commedia quella povera cameriera di provincia che non aveva praticamente nessuna possibilità di entrare nella sua vita!"
Milan Kundera, L'insostenibile leggerezza dell'essere
"Lo scrittore noterà le gambe della cameriera, una paio di belle gambe piene, soltanto la caviglia un po' grossa. Poi darà un'occhiata furtiva al viso, carino, luminoso, con le sopracciglia che si toccano e i capelli raccolti e legati con un elastico rosso. Allo scrittore giungerà un sentore di sudore e sapone, odore di donna stanca. Sotto la gonna il contorno delle mutande. Gli occhi di lui ora sono incantati da quell'accenno di disegno: trova molto eccitante una lieve asimmetria. Lei ora noterà quello sguardo che le tasta cosce e fianchi, e sbufferà con un'aria fra il disgustato e l'implorante: e basta, piantala."
Amos Oz, La vita fa rima con la morte
"Guarda la cameriera, la pancia scoperta appoggiata al loro tavolo. Gae non è contento di quella situazione, vorrebbe dire alla ragazza di fare un passo indietro. Quando si è chinata sul tavolo della coppia anziana per prendere l'ordinazione si è stirata come un gatto, facendo mostra di un culetto sodo, e lui non ha potuto non realizzare che era già nella posizione adatta. E chissà che tipo era. È quel genere di pensieri che perseguitano gli uomini e quella ragazza naturalmente non poteva non saperlo."
Margaret Mazzantini, Nessuno si salva da solo
"Alle sue spalle c’è lei appoggiata alla soglia del bar. Le sue gambe seguono il ritmo di una musica latina. Gli occhi sono maliziosi, la bocca ingrandita dal rossetto, la pelle dorata e liscia. Si chiama Marcela. Lui scruta la mappa della città, le strade si confondono con i pensieri, è come se li vedesse correre lungo le strade. Lei chiede se desidera altro, allora lui ordina un succo d’ananas. Sì, desidera guardarla."

giovedì 28 aprile 2011

Cantieri


L’avventura comincia sotto un sole a picco in una calda giornata dell’estate 2007. Il termometro esterno agli uffici di cantiere segna 38 gradi. Quando arriva il trasporto speciale delle gru da montare, il metallo giallo è bollente, si può toccare solo con i guanti di protezione. In 48 ore posizioniamo i tre giganti agli angoli dell’area di cantiere: circa 80.000 metri quadrati sui quali ora non c’è nulla, solo nuda terra e sassi. In tre anni dobbiamo realizzare un volume di 280.000 metri cubi: ci vorranno 624.000 ore di lavoro con una presenza media di 270 persone al giorno. Un villaggio di competenze e professionalità che vivranno gomito a gomito per quasi mille giorni. Le gru con i loro bracci di 60 e 70 metri si muovono come grandi fenicotteri per posare i ferri che gli operai saldano senza sosta. Contemporaneamente si collocano le tavole dei casseri di contenimento. I lavori di getto della platea di fondazione alta tre metri e la realizzazione dei plinti e dei pilastri si svolgono come su una grande scacchiera.
"Immaginiamo un linguaggio per il quale valga la descrizione dataci da Agostino: Questo linguaggio deve servire alla comunicazione tra un muratore A e un suo aiutante B. A esegue una costruzione in muratura; ci sono mattoni, pilastri, lastre, travi. B deve porgere ad A le pietre da costruzione, e precisamente nell'ordine in cui A ne ha bisogno. Per questo scopo i due si servono di un linguaggio consistente delle parole "mattone", "pilastro", "lastra", "trave". A grida queste parole; - B gli porge il pezzo che ha imparato a portargli quando sente questo grido. - Considera questo come un linguaggio primitivo completo."
Ludwig Wittgenstein, Ricerche filosofiche

martedì 26 aprile 2011

Da Jadlowker


La pallottola in mezzo alla quercia della foresta di Debrinja si è conservata tra un anello e l’altro, precisamente tra il sessantesimo e il sessantottesimo anno. Ogni albero ha il suo diario a saperlo leggere. Ogni stagione lascia traccia delle piogge e delle grandinate tra un cerchio concentrico e l’altro, ogni fulmine incide la sua ferita che puoi leggere per sempre. Gli alberi con le loro chiome mormoranti passano oltre le vicende degli uomini, anche tagliati continuano a vivere, a profumare a muoversi tra caldo e freddo, tra secco e umido, tra profumi e odori. Come fai a tagliare un albero? Tagliare un albero è come tagliare una vita. Anche cogliere una mela o un fiore. Vivere è prendere spazi e usare d’altro per poi lasciare spazio ad altri. Ogni nostro gesto è un togliere per dare o ricevere, un vivere e morire, un prendere e lasciare. Ma l’albero ha qualcosa di speciale, quando lo tagli diventa legno ma non muore, continua a raccontarti qualcosa se lo sai ascoltare. Ti parla anche quando non c’è, riscalda una memoria che sottovoce ti riporta nel bosco dov’è cresciuto, lì dalle parti di Debrinja. Non so se se ci sei mai stato a Debrinja, ma se hai letto i romanzi di Joseph Roth e Stefan Zweig te la puoi immaginare. Comincia ai bordi di un piccolo paese e poi continua nel verde più fitto per confondersi tra Bosnia, Serbia e Slovenia, terre dove le battaglie tra cristiani e mussulmani non sono mai finite, dove l’odio tra gente cresciuta a pochi chilometri di distanza ha provocato non molti anni fa la tragedia del Kosovo. Guardando la chiesetta del paese preferisci allora andare qualche anno più in là, prima delle due guerre, quando c’era ancora Francesco Giuseppe, anche se ti accorgerai che ogni secolo porta con sé le sue guerre, come ogni pianta i suoi rami storti. Te lo immagini un giorno dei primi del Novecento quando in paese si faceva la fila dal panettiere Branco e alla stazione di posta c’era un cartello con gli orari delle carrozze. L’unica taverna aperta era quella di Jadlowker, era aperta giorno e notte e ci potevi trovare un po’ di tutto, dal ricco signore che una volta all’anno passava di là per controllare l’amministrazione delle sue terre e le vendite del legname, ai boscaioli che la sera si trovavano per bere un’acquavite come premio della giornata trascorsa sotto il sole o, più spesso, sotto la pioggia, al sarto che per tutto l’inverno girava da un paese all’altro. A mezzogiorno e alla sera passavano i gendarmi della Kaiserlich Königliche Polizei per vigilare su bari, disertori e prostitute che in fuga da un ordine d’arresto o da un regolamento di conti si rifugiavano tra quei boschi sperduti.

sabato 23 aprile 2011

La bellezza

La bellezza ha una dimensione eroica, la bellezza è l'esperienza che supera nei sentimenti, nell'aspetto estetico, nel pensiero, nell'azione, i limiti delle possibilità di chi la ammira, c'è nella bellezza l'aspirazione verso l'assoluto. Cerchiamo sempre la bellezza ma essa invece di salvarci ci perde: come ricorda il poeta Guillermo Carnero non è capace nemmeno di salvare sé stessa; eppure non rinunciamo a questa pessima abitudine perché la bellezza ci promette quello che non c'appartiene. Un modo più pacato di guardare alla bellezza è quello descritto da Orhan Pamuk nel suo romanzo Il mio nome è rosso: "La bellezza e il segreto di questo mondo possono emergere solo con l'attenzione, l'interesse e l'affetto che gli si mostra con amore. Se volete vivere in quel Paradiso dove vivono giumente e cavalli felici, aprite bene gli occhi su questo mondo , fate attenzione ai suoi colori, ai suoi dettagli e ai suoi scherzi."

giovedì 21 aprile 2011

Il silenzio

La forza comunicativa del silenzio è grandissima. Sappiamo tutti per esperienza che molte volte il silenzio è più eloquente della parola. Più offensivo, anche, come ostentazione di disinteresse, di indifferenza. Il silenzio come risposta può manifestare umiliazione, imbarazzo, commozione, partecipazione così viva al dolore o alla gioia altrui da non poter essere tradotta in parole. Può insinuare sospetti, produrre malintesi. Ci sono casi in cui il silenzio è d'obbligo: in particolari momenti di cerimonie pubbliche, sacre o civili; quando si è spettatori, in teatro, a concerti, a conferenze; quando si commemorano con "un minuto di raccoglimento" personaggi scomparsi. Il silenzio sia nelle dimensioni del sacro e di un mistero che può disporre allo spavento o al timore reverenziale, sia nell'atmosfera fiabesca dei racconti i fate, è tema di un mirabile scorcio schilleriano.
Bice Mortara Garavelli, Il parlar figurato

martedì 19 aprile 2011

Viaggiatori

I veri viaggiatori sono quelli che partono per partire; cuori leggeri, simili agli aerostati, dicono sempre andiamo, i loro desideri hanno le forme delle nuvole.
Charles Baudelaire

domenica 17 aprile 2011

Asma

Quando hai un attacco d’asma, ti manca il respiro. Quando ti manca il respiro, fai fatica a parlare. La frase ti rimane bloccata in gola a causa della quantità d’aria limitata che riesci a espellere dai polmoni. Non riesci a dire molto, tra le tre e le sei parole. Questo ti porta a provare rispetto per la parola. Te ne vengono in mente un sacco, di parole. Scegli le più importanti, ma anche pronunciare quelle ti costa molto. Non è come per la gente sana che butta lì tutto quello che le viene in mente come se fosse spazzatura. Quando qualcuno dice “ti amo” durante un attacco d’asma, la cosa è ben diversa. C’è una bella differenza. La differenza di una parola. E una parola è moltissimo perché quella potrebbe essere “sedersi”, “ventolin” o persino “ambulanza”.
Etgar Keret, Pizzeria Kamikaze

venerdì 15 aprile 2011

Katzenstein

Katzenstein, non aveva capito altro la recluta Etgar Keret alla fermata dell'autobus, tra quei due che litigavano, lei alta e bionda, lui alto e con i capelli grigi. Parlavano in russo e gridavano Katzenstein. Quella parola, di cui ignorava il significato, chiamò il suo inconscio a scrivere Katzenstein, un racconto surreale, ironico, intelligente. Etgar Keret è nato a Tel Aviv nel 1967. I titoli delle sue brevi storie rinviano a situazioni oniriche: Pizzeria kamikaze, Colla pazza, Asma, Tubi, Papà è scappato col circo. Incontrando il pubblico di Incroci di civiltà, fra tante cose, ha detto: Se sapessi come risolvere i problemi pratici non sarei uno scrittore. Quando pensi di essere la vittima l'ultima cosa che ti interessa sono i problemi dell'altro. Scrivo dialogando con il lettore come se fossimo al bar, il nostro rapporto non è mai da boss a picciotto. Quando finisco una storia sono sorpreso, scrivo dall'inconscio, come Calvino, Kafka, non ho un piano, la storia arriva da un posto che non controllo. La letteratura è una possibilità di sfuggire al super-io, chi segue rigorosamente un piano, invece, utilizza la fiction come forma di autocontrollo. Israele è il luogo ideale per scrivere: qualsiasi forma di conflitto tu possa immaginare da noi c'è. La gente ha bisogno di nuove parole. I prossimi vent'anni saranno saranno lo sfondo di un incontro di civiltà pericoloso e distruttivo, non è il tempo di stare seduti, chiunque voglia vedere un uomo migliore deve fare qualcosa.

lunedì 11 aprile 2011

Lo sguardo terrazza


La terrazza è quella di Palazzo Barbarigo a Venezia, casasguardo degli scrittori del Centro tedesco di studi veneziani. Gli scrittori salgono sul palco diversi tra loro. Artur Becker, capello lungo e faccia gonfia, completo sabbia e cravatta geometrica. Thomas Kunst, giubbino bianco e maglia nera, abbronzato come una guida alpina, parla poco. Leggono versi nati a Venezia, le parole sono più veloci della penna che cerca di inseguirle sul foglio; alla fine qualche scheggia che rinvia a lontane falesie. Kunst: Gli agiati che non salutano. Anime lagunari spingono verso l’interno di persone di mare. Io muio e i portieri sono indulgenti. E la donna che non mi amò mai è sparita. Mi costruisco, nel lavandino, Venezia. Una testa appoggiata ad un’altra non è mai poco. Ti sarò amico finché mi amerai/poi sparirò senza che te ne accorga. Appunti su gabbiani e viscere. In acqua conviene essere portieri, lampione nessuno ci guadagnerebbe. Aspettiamo che dai ratti vengano dei sogni. Treni di memoria.
Becker: Il sole nei canali dell’aldilà non va a dormire mai. Tu selvaggia luna veneziana m’abbindoli. Piattaforma che trivella tra il cielo e il mare. L’atelier delle ultime parole sbirciate sul palcoscenico. Manda in viaggio questo cinema, la barca del tempo. All’improvviso l’anima ti salta fuori dal corpo e per paura si lava le mani. Ti arrenderai alla vanità e alla sua bellezza. La libertà è l’unica idea fissa di Venezia.

La nuova rivoluzione


Persone in piedi, biblioteca di Montebelluna piena come un uovo venerdì scorso per l’incontro “La nuova rivoluzione: Tunisia, Egitto, Libia… cosa sta accadendo sull’altra sponda del Mediterraneo? insieme a Renzo Guolo, sociologo e editorialista de La Repubblica, Sihem Bensedrine, giornalista costretta all’esilio dal regime di Ben Ali e anima di Radio Kalimà, e Sayadi Abderrazak, docente di Religioni comparate all'Università Manouba di Tunisi. Un incontro prezioso perché ha aiutato il pubblico a capire uno di quei fatti che arrivano all’improvviso e inaspettati, come la caduta del muro di Berlino nel 1989, l’attentato alle Torri gemelle ... questa rivoluzione nessuno l’aveva prevista. Il 17 dicembre 2010 Mohamed Bouazizi si dà fuoco a Sisi Bouzid, città della Tunisia centrale: ha 26 anni, è laureato in economia ma faceva l’ambulante, vendeva frutta e verdura per tirare a campare. La polizia gli sequestra tutto e lui per disperazione si dà fuoco nella piazza del paese. Divampa la rivolta contro il regime di Ben Alì. Migliaia di giovani scendono in piazza, alcuni lo emulano, come Khaled Ezzafouri, che si dà fuoco il 22 marzo scorso, sempre a Sisi Bouzid nel giorno della visita del Segretario Generale dell’Onu Ban Ki Moon. Il 25 gennaio scendono in piazza Al Cairo 25.000 manifestanti contro il governo Mubarak, negli scontri con la Polizia muoiono quattro persone, non si contano i feriti. Il 20 febbraio si accende la rivolta contro Gheddafi nelle piazze di Tripoli e Bengasi. La repressione è feroce. Il mondo sta a guardare fino al 19 marzo quando scatta Odissey Dawn, l’operazione militare Alba dell’Odissea: truppe francesi, inglesi e americane bombardano la Libia per difendere i civili dalle persecuzioni del rais. Il 6 aprile al largo di Lampedusa si rovescia un barcone: muoiono in 250: somali, eritrei, nigeriani, cittadini del Bangladesh, Costa d’Avorio, Sudan. Come si è arrivati in soli quattro mesi a tutto questo? La ricchezza degli spunti e delle interpretazioni emerse nell’incontro è impossibile da riassumere, tenteremo quindi di sintetizzare alcuni passaggi fondamentali. In primo luogo lo sguardo dell’Europa, a parte qualche eccezione, è stato uno sguardo disinteressato a quanto accadeva sull’altra sponda del Meditteraneo. Nel migliore dei casi l’altra sponda del Mediterraneo è stata un ottimo business turistico, nel peggiore terra da colonizzzare, da “educare”. Inoltre dopo l’11 settembre le democrazie occidentali hanno appoggiato i regimi militari di quei paesi convinte così di poter meglio controllare il terrorismo internazionale. Per Renzo Guolo: “La rivolta in riva al Nilo, come quella tunisina, è figlia della bomba demografica, della diffusione dell'istruzione, della potenza comunicativa della Rete e di tv come Al Jazeera, che non a caso il vecchio e il nuovo governo egiziano hanno, con diverso successo, voluto "spegnere". Una protesta esplosa tra i giovani disoccupati, che chiedono lavoro, libertà e dignità”. D’accordo Sihem Bensedrine: “È stato un solllevamento popolare, il regime militare di Ben Alì è stato disconosciuto in modo radicale dalla gente che si è battuta contro il tiranno. Il regime ha avuto fino all’ultimo la complicità della Francia. Oggi la Tunisia ha una nuova possibilità: quella di costruire la democrazia e di conquistare la libertà.”
“Per quanto riguarda l’Egitto, ha proseguito Guolo - ritengo fondamentale il discorso tenuto da Obama Al Cairo nel 2009 riguardante un nuovo rapporto con il mondo islamico e le condizioni della democrazia (You must maintain your power trough consent, not coercion; you must respect the rights of minorities, and participate with a spirit of tolerance and compromise; you must place the interests of your people and the legitimate workings of the political process above your party. Without these ingredients, elections alone do not make true democracy ndr). Un’apertura che ha dato legittimità e forza alle nuove generazioni che sono state le protagoniste del cambiamento insieme all’esercito che a un certo punto ha deciso di abbandonare Mubarak. Diversa la situazione in Libia dove la componente tribale è molto forte e la situazione è complicata dall’intervento militare della Nato e dalla corsa di Francia, Inghilterra e America per gestire il dopo Gheddafi."
“Queste rivolte potrebbero segnare l’affermarsi dell’Islam moderato e razionalista e la sconfitta di quello integralista - ha detto Sayadi Abderrazak Potremmo finalmente avviare quella riforma religiosa che permetterebbe di scrivere nuove costituzioni nelle quali sia sancita finalmente la parola laicità, parola attualmente bandita dal nostro ordinamento. Dobbiamo costruire paesi in cui siano accettate senza riserve la libertà di pensiero – attualmente è proibito nelle nostre scuole l’insegnamento della filosofia – la libertà di coscienza e la libertà di religione." “Non lasciateci soli – ha infine aggiunto Sihem Bensedrine. Anche in altri paesi si sta combattendo per la libertà e la democrazia: in Siria, dove oggi sono stati uccisi 17 civili, e in Bahrein dove la repressione della potente Arabia Saudita è censurata dalle fonti d’informazione. In Bahrein non è in arto uno scontro religioso tra sunniti e sciti come vi vogliono far credere ma un’autentica rivolta contro la tirannia.” Sul tema delle migliaia di profughi che ogni giorno sbarcano sulle nostre coste, Bensedrine e Abderrazak hanno chiesto solidarietà e attenzione all’Italia e all’Europa , ricordando l’esempio dei civili tunisini che hanno prontamente soccorso i profughi egiziani e libici. Secondo Guolo Lampedusa è stata un meccanismo infernale che ha calpestato i diritti civili: “Per favore evitiamo una Lampedusa Due.”

venerdì 8 aprile 2011

Viaggio

Ogni viaggio comincia quando inizi a pensarlo e ti chiedi in che via e in che letto dormirai. Hai infinite possibilità davanti a te e sai che dalla scelta del luogo dipenderanno le catene causali, i pensieri, le azioni di quel viaggio. Questo vale anche quando esci di casa la mattina, ma nel volgere della quotidianità non ti soffermi mai troppo a pensare a quanto sarà differente la tua giornata, e a volte la tua vita, a seconda delle scelte che farai. Dal viaggio, invece, ti aspetti sempre qualcosa di straordinario, senti di poter essere libero di scegliere, o perlomeno hai questa illusione.

martedì 5 aprile 2011

Silenziosi segreti

Silenziosi segreti
si rincorrono nell'aria
tra i baci delle onde

il canto di antichi eroi
risuona nei mosaici millenari
di rocce splendenti

il sole generoso
colora i cangianti anfratti
delle nuvole

e dal fondo del mare
palpitanti coralli
sussurrano favole

lunedì 4 aprile 2011

La casa di zia Mary

I tedeschi erano arrivati a Roma nell’estate del ’44. Zia Mary quando seppe che la città era stata occupata non ci pensò due volte. Indossò il vestito di Dior color crema e vi appuntò la grande coccarda bleu Savoia tempestata di brillanti, quella che avevano le dame della regina Elena. Poi uscì di casa da sola e marciò contro il nemico. Da via Monte di Brianzo attraversò il ponte Umberto I e raggiunse via della Conciliazione dove erano acquartierati i tedeschi. Con grande coraggio sfilò tra le divise grigie delle SS. Le idee in cui aveva sempre creduto brillavano al sole come i brillanti della coccarda. Nessuno la fermò e lei tornò a casa orgogliosa di quella insolita passeggiata.