martedì 24 gennaio 2012

Tempo perso

A volte capita di imbattersi nelle scritture altrui e di sentirle in parte anche proprie. Sono scritture che nascono da metafore dell’esistenza e per questo ci toccano, in misura maggiore o minore.  Tommaso Pincio racconta di sé in un intenso  articolo intitolato Sono diventato scrittore per paura dell’inserto La lettura del Corriere della Sera. E ricorda un romanzo che tratteggia come pochi altri la condizione umana: Il deserto dei Tartari di Dino Buzzati.
“Perdo tempo come si perde il sangue - recita una breve poesia di Tommaso Landolfi, e fu per l’appunto questo lo stato d’animo con cui scrivevo: la sensazione di dover fare presto, perché avevo tergiversato troppo, perché avevo dissipato gli anni migliori nell’attesa di un’occasione- scrive Tommaso Pincio. Scrivevo pensando ai minuti sprecati facendo niente, ai minuti che diventano ore e alle ore che diventano giorni. Scrivevo pensando alle serate sprecate bivaccando in un pub, discutendo con gli amici delle cose che avremmo dovuto fare da adulti, poco considerando che lo eravamo già, adulti. Scrivevo, infine pensando ai mesi, e dunque agli anni sprecati facendo il lavoro che facevo. Che lavoro facevo? Lavoravo presso una galleria d’arte contemporanea all’epoca. Nominalmente la mia qualifica era quella di direttore, un elegante eufemismo per significare  che la galleria non era mia , che ero un semplice dipendente. Volendo chiamare la cosa col suo vero nome, tuttofare sarebbe termine più corretto, perché in effetti proprio questo facevo: di tutto.”
Dopo qualche riga la citazione dal Deserto dei Tartari: “I mesi passavano, passavano gli anni e io mi chiedevo se fosse andata avanti sempre così, se le speranze, i sogni inevitabili di quando si è giovani, si sarebbero atrofizzati a poco a poco, se la grande occasione sarebbe venuta o no, e intorno a me vedevo uomini, alcuni della mia stessa età altri molto più anziani, i quali andavano, andavano, trasportati dallo stesso lento fluire e mi domandavo anch’io se un giorno non mi sarei trovato nelle stesse condizioni dei colleghi dai capelli bianchi già alla vigilia della pensione, colleghi oscuri che non  avrebbero lasciato dietro di sé che un pallido ricordo destinato presto a svanire”.
Viene in mente il Viaggio di Astolfo sulla Luna e lo straordinario modo in cui Ariosto racconta  quel che accade lungo il fiume Lete o dell’Oblio: “Incontrammo quel vecchio che veniva verso di noi con le piastre, snello nelle membra e più veloce di un cervo. Quando arrivava sulla sponda del fiume scuoteva il lembo del mantello e rovesciava nelle torbide onde le piastre con impressi i nomi. Quasi tutte sprofondavano e sparivano ricoperte dalla sabbia. Intorno al fiume volavano corvi e avidi avvoltoi, cornacchie e vari uccelli, ma solo due cigni avevano il potere di togliere qualche nome dall'oblio afferrando la piastra con il becco e posandola su un'isola dove una bella ninfa l'appende nel tempio della Fama.
Il vecchio che getta nel fiume tutti quei nomi, di cui solo pochi rimane Fama, è il Tempo. E, come i cigni che portano i nomi al tempio, così sulla terra sono i poeti, rari come i cigni, a togliere dall'oblio gli uomini degni.”  In fondo la speranza è quella di essere ricordati, di avere un po’ di fama, ma forse si tratta di una fantasia, prima dell’essere ricordati (per quanto tempo? Come? Da quanti? In che parte del mondo?) perché non cercare di capire perché vorremmo esserlo.  E poi in  fondo in fondo lo sappiamo che le cose che ci rendono davvero felici sono semplici e per niente complicate, come l’aria della mattina a marzo, una nevicata, uno sguardo, quel caffé inatteso, trascurabili momenti di felicità, eppure...eppure, detto con i versi di Riccardo Held, È quello che non c’è quello che manca. 

sabato 21 gennaio 2012

Ferite narcisistiche

"...Freud ha visto bene le implicazioni di questo portare l'inconscio in primo piano quando ha parlato delle tre grandi ferite narcisistiche che il pensiero moderno ha arrecato agli uomini. La prima ferita narcisistica è stata quella inflitta da Copernico: l'uomo non è più al centro dell'universo perché la Terra è semplicemente un pianeta che gira intorno al sole insieme ad altri pianeti; la seconda ferita è stata quella provocata da Darwin, che ha mostrato come l'uomo non sia una creatura che viene direttamente da Dio, ma piuttosto un animale che viene da una filiera biologica, da cui si differenzia per via evolutiva; la terza è che la coscienza non è la sovrana assoluta che voleva la tradizione - e in fondo anche quando noi guardiamo noi stessi, magari per giustificarci, ci rendiamo conto che le cose non stanno così, che c'è tanto di non conosciuto che ci determina e ci guida."
Umberto Galimberti in Freud, Jung e la psicoanalisi

domenica 8 gennaio 2012

Limitati

I pensieri si ripetono ma non del tutto uguali. Così due scrittori lontani tra loro come José Saramago e Thomas Bernhard, in due romanzi molto diversi L'anno della morte di Ricardo Reis (1984) e Il soccombente (1983), propongono la visione dell'uomo come essere insufficiente, limitato, mutilato.
Saramago: "...oggi in Spagna ci sono troppi storpi, soffro al pensare che il generale Milàn d'Astray potrebbe stabilire le basi di una psicologia di massa, uno storpio che non abbia la grandezza spirituale di Cervantes cerca di solito consolazione nelle mutilazioni che può far patire agli altri (...) Non c'era bisogno di andare tanto lontano, tutti siamo storpi."
Bernhard: "Se guardiamo con attenzione gli uomini, vediamo solo dei mutilati , ci disse una volta Glenn, mutilati nel corpo o nello spirito, non c'è altro, pensai io. Più a lungo osserviamo un uomo, più mutilato ci appare, egli è talmente mutilato che all'inizio non vogliamo crederci, come invece dovremmo. Il mondo è pieno di storpi. Quando camminiamo per strada incontriamo solo mutilati, e se invitiamo qualcuno ci accorgiamo presto di avere uno storpio per casa."

martedì 3 gennaio 2012

"To Sara"

Il libro era unico per la dedica "To Sara" e il disegno di un fiore. Lo regalò a uno sconosciuto dopo averla aspettata a lungo.

domenica 1 gennaio 2012

La scoperta di Von Kempelen


Nel 1769 il Barone Wolfgang Von Kempelen inventò "il Turco”, un automa capace di giocare a scacchi. Prima dell’inizio della partita Von Kempelen raccontava le qualità della sua straordinaria invenzione e apriva alcuni sportelli affinché il pubblico si rendesse conto dei complicati ingranaggi che la componevano.
Nel 1783 “il Turco” meravigliò l'imperatore Giuseppe II a Vienna e sconfisse Benjamin Franklin a Parigi, e poi Federico il Grande di Prussia, e anche Napoleone in sole 24 mosse! Quando Von Kempelen morì, "il Turco” venne acquistato da certo Johann Maelzel e la sua fama attraversò i cinque continenti fino a che, nel 1826, durante una tournèe in America, due ragazzini videro una donna uscire dalla macchina: all’interno c’era posto per un giocatore in carne e ossa che comandava le braccia del manichino dopo aver appreso le mosse dell'avversario di turno grazie a dei magneti che le riproducevano su una piccola scacchiera. Per vedere utilizzava una candela il cui fumo usciva dal turbante e si mischiava a quello dei candelabri messi vicino al fenomenale “automa”.
Maelzel morì nel 1834, la macchina finì in un museo cinese a Philadelphia e fu distrutta da un incendio vent’anni dopo. Resta qualche domanda tra le ceneri: le partite giocate fino al 1826 con il Turco sono vere o false? E in che senso si può dire che lo siano? E se dietro Google ci fosse un colto bibliotecario, per esempio uno alla Borges?
P.S. Nell'era digitale i "turchi" si chiamano bot e sono gli  account fasulli controllati da un software: "I ricercatori dell'Università federale brasiliana di Minas Gerais hanno infiltrato su Twitter 120 bot: nei trenta giorni dell'esperimento, il 69 per cento di questi l'ha fatta franca  e ha continuato ad essere considerato come un normale account 'umano'. Non solo: quei 120 hanno ottenuto quasi duemila follower e circa 30 bot ne hanno avuti oltre 100 ciascuno, cioè più o meno il doppio della media di un account twitter." 1
C'è differenza fra chi pensava di giocare con un automa, e invece giocava con un uomo, e chi crede di twittare con un umano e invece twitta con un software? Oppure, entrambi, in fondo, giocano solo con le proprie fantasie.
1 Da un articolo di Alessandro Longo su Il Venerdì di Repubblica del 20 giugno 2014