domenica 27 aprile 2014

Uno scriba instancabile


"Nel corpo abita lo spirito di uno scriba instancabile: come l’antico scriba egizio di Sakkhara, il corpo annota e in-scrive tutto ciò che i nostri sensi percepiscono, intuiscono e vivono: il nostro corpo non riposa mai, prende sempre appunti. Appunti dei quali noi non siamo sempre consapevoli e che restano latentemente inconsci.
Il corpo sente, ascolta, guarda dentro e fuori, e la testa dello scriba, come il dio Giano, vive la sua anima diurna e notturna come due distinti modi di essere, ma anche due modi di co-esistere nello stesso corpo, nello stesso volto: ’E’ lo stesso volto potente di bronzo scuro - scrive Burand - qui con gli occhi aperti, là con gli occhi chiusi, qui illuminato, là oscurato, qui rivolto all’azione, là rivolto dentro di sé’.Quando avviluppati dall’oscurità noi ci addormentiamo, allora lo scriba si risveglia all’interno dei nostri sogni, e trasmette i suoi segreti messaggi attraverso il suo occhio notturno, l’occhio del sogno. La testa dello scriba si profila sul doppio orizzonte d’un occhio rivolto al mondo interno, e dell’altro rivolto al mondo esterno; o ancora d’un occhio che guarda alla notte, dell’altro che guarda al giorno."
Salomon Resnik, Sul fantastico

martedì 22 aprile 2014

La charis

Per i Greci la charis non emana solo dalla donna o da ogni essere umano in genere, la cui giovane bellezza fa "brillare" il corpo (in particolare gli occhi) di uno splendore che provoca l'amore; essa emana anche dai gioielli cesellati, dalle gemme lavorate e da taluni tessuti preziosi; lo scintillio del metallo, il riflesso delle pietre dalle acque diverse, la policromia della tessitura, la varietà dei disegni variopinti che raffigurano, in forme più o meno stilizzate, una decorazione vegetale e animale che ricorda direttamente le potenze della vita.
Jean Pierre Vernant, Mito e pensiero presso i Greci

mercoledì 16 aprile 2014

Traveler


"Gli faceva rabbia chiamarsi Traveler, lui che non si era mai mosso dall’Argentina se non per attraversare Montevideo e una volta ad Asunción nel Paraguay, metropoli ricordata con la somma indifferenza. A quarant’anni continuava ad essere inchiodato in via Cachimayo, e il fatto di essere l’ uomo di fiducia del circo "Las Estrellas" non gli infondeva la minima speranza di percorrere le strade del mondo more Barnum; il raggio d’azione delmcirco andava da Santa Fe a Carmen denPatagones, con lunghi attracchi nella capitale federale, La Plata e Rosario. Quando Talita, lettrice di enciclopedie,s’interessava dei popolimnomadi e delle cultre transumananti, Traveler grugniva e tesseva un insincero elogio del cortile con gerani, dellanbranda e del non mettere il nasonfuri dall’angolo dove sei nato. Fra un mate e l’altro faceva sfoggiomdi una saggezza che impressionava sua moglie, ma si vedeva che era troppo deciso a persuadere. Addormentato, gli sfuggivano a volte parole di esilio,di stadicamento, di crociere, di passaggi alla frontiera e di imprecisate alidade. (...) Una cosa si doveva riconoscere ed era che, a differenza di quasi tutti gli amici,Traveler non dava colpa né alla vita né al destino se non aveva viaggiato quanto gli sarebbe piaciuto. Si limitava semplicemente a bere un bicchiere di gin mandandolo giù dimcolpo e poi a darsi del cretino."
Julio Cortázar, Rayuela, il gioco del mondo
Foto di Robert Doisneau

martedì 15 aprile 2014

Il passeggero Né


Interno treno: non ti saluto neanche con un cenno, e nemmeno mi sposto, non voglio parlare con Te, non m’importa nulla di conoscerti. Né Te che sembri un insegnante che ha rinunciato alla felicità, nè Te che sembri una turista con quella giacchina bianca a pois neri, né Te che che giochi a fare il divo con la maglietta grigia attillata e i mocassini in finto camoscio. Non m’importa nulla che stai seduto di fronte o di fianco, io guardo il mio cellulare, controllo messaggi che non ci sono, fingo di dormire, ascolto canzoni che so a memoria con le orecchie tappate dagli auricolari, gioco all’Alieno di Los Angeles aggrappato alla playstation, non tolgo il gomito dal bracciolo, né levo le ginocchia, porto gli occhiali scuri per non  incontrare il tuo sguardo, e quando arriveremo continuerò a starti distante, appoggiato alla porta opposta a quella dove si scende.
In quel viaggio una voce anonima ripeteva spesso Chi viaggia con noi viaggia nel massimo comfort, e Il controllore nell’esercizio delle sue funzioni è un pubblico ufficiale pertanto...
Arrivati alla stazione il capotreno aprì le porte sbagliate e il passeggero Né finì lungo disteso fra i binari con i timpani perforati dagli auricolari.

Shopping

Quattro sedie sedie in argilla, e quattro con gli elastici, svariate marmitte collegate all’ipod, gli specchi appendiabiti, una serie di infradito in plastica, i ricami in seta, il divano in cocco, una lampada in legno di cirmolo e poliammide, una goccia di caffè, un sevizio di forchette-cucchiaio, una lounge chair, una chaise longue, una poltrona sacco, una vasca in teak, quattro librerie girevoli, un tavolino in cristallo multicromatico, il piano in pietra acrilica, due abat jour con i merletti illuminati, le conchiglie ventaglio, un bancone in betulla, una cucina in carta riciclata, una partita di piastrelle parlanti, una scultura di luce, la coupé ecologica, la scopa con i baffi, il sofà in carbonio e lava vulcanica, due porzioni di risotto con la foglia d’oro, un basamento in cemento fibrorinforzato, una confezione di barattoli cattura cavallette, delle maniglie a prova di errore, una modanutura in rovere affumicato, alcuni orti volanti, degli insetti colorati, una vetrata bizantina, un rubinetto iconico, dodici vasi di ferro e muschio, una matita ultrasottile, otto panini etnici, un trolley ammaccato, una zattera e una lanterna per viaggiare.
(Appunti dal Salone del mobile, foto sofa Onyx di Peugeot)

venerdì 11 aprile 2014

Shakespeare e la Coca Cola


Quando si aggiunge un quid di fantastico, di irrazionale, di sorprendente ad un fatto, ad una esperienza, comincia, forse, la narrazione. Il racconto del primo cacciatore intorno al fuoco segna l’inizio della storia. Scrive Calvino in Lezioni Americane: “Credo che i nostri meccanismi mentali elementari si ripetono dal Paleolitico dei nostri padri cacciatori e raccoglitori attraverso tutte le culture della storia umana. La parola collega la traccia visibile alla cosa invisibile, alla cosa assente, alla cosa desiderata o temuta, come un fragile ponte di fortuna gettato sul vuoto”. E Roland Barthes si sofferma su considerazioni analoghe: “Il racconto è presente in tutti i tempi, in tutti i luoghi, in tutte le società; il racconto con la storia stessa dell’umanità; non esiste, non è mai esistito in alcun luogo un popolo senza racconti; tutte le classi, tutti i gruppi umani hanno i loro racconti e spesso questi racconti sono fruiti in comune da uomini di culture diverse, talora opposte; il racconto si fa gioco della buona e della cattiva letteratura; internazionale; trans-storico, transculturale, il racconto è come la vita.”
In cosa differiscono allora Romeo e Giulietta di Shakespeare dai commercial della Coca Cola?
Entrambi vogliono condurci per mano nel loro mondo, cercano di sedurci e per farlo condividono con noi valori e promesse. La differenza, se esiste, è forse nella complessità che è propria della letteratura, e dell’arte in generale, una sorta di profondità che lascia intravedere più lontano. Lo storytelling, così si chiama la tecnica di narrare storie a fini commerciali, è spesso semplice, sempre enfatico, mette in scena stranezze, citazioni, cambi di contesto, offre immagini chiare, senza le complicazioni e le contraddizioni del mito, del romanzo, della poesia. Le tecniche dello storytelling sono adottate anche nel giornalismo, soprattutto televisivo, dove ricostruzioni audio e video, pseudoeventi, lanci commerciali e finte notizie si mescolano alla cronaca dei fatti.
Christian Salmon, autore di Storytelling, la fabbrica delle storie, scrive: “Lo scopo del marketing narrativo non è più semplicemente convincere il consumatore a comprare il prodotto, ma anche immergerlo in un universo narrativo, coinvolgerlo in una storia credibile.  Non si tratta più di sedurre o di convincere, ma di produrre un effetto di credenza.  Non di stimolare la domanda, ma di offrire un racconto di vita che propone dei modelli di comportamento integrati, i quali comprendono certi atti di acquisto , attraverso veri e propri ingranaggi narrativi. Vecchi o giovani, disoccupati o impiegati, sani o malati di cancro, “you are the story”, tu sei un eroe. Il neomarketing opera un sottile slittamento semantico: trasforma il consumo in distribuzione teatrale. Scegli un personaggio, e noi ti forniamo gli accessori. Datti un ruolo, noi ci occupiamo delle scene e dei costumi. Il consumo come unico rapporto con il mondo. Si attribuiscono alle marche i poteri che una volta si cercavano nei miti o nella droga: superare il limite, fare l’esperienza di un sé scevro di pesantezza, volare, planare; ieri erano Icaro o l’LSD, oggi sono la Nike o la Adidas (paragone non condivisibile ndr). Le scarpe da ginnastica sfidano la legge di gravità. Uno sport come lo skateboard ti dà accesso al soprannaturale. Tom Clarck, lo “sciamano delle scarpe da ginnastica”, spiega che “lo sport, ispirandoci, ci permette di rinascere in continuazione”. Le marche sono portatrici di un universo: ci aprono la strada a un racconto di fantasia, a un mondo teatralizzato e sviluppato dalle agenzie di “marketing esperienzale”, la cui ambizione non è più rispondere ai bisogni e nemmeno crearli, bensì realizzare una convergenza di visioni del mondo."
“Visioni del mondo” che oggi convergono, per una parte del Mondo, in un’interazione continua con la Rete produttrice di una narrazione (conversazione) torrenziale, una registrazione continua finalizzata al controllo di dati e al consumo: mi piace questo, faccio così, è successo quello, ho comprato una cosa, sono stato qui e andrò là. Raccontami una storia e compra questo prodotto ... è un “mito”. 
Foto del padiglione americano alla Biennale d'arte 2013