La crema de leche spolverata di cannella, il canto dei gabbiani che la sera entra dai lucernari dei tetti, una donna alla finestra illuminata nel palazzo alto del Beco do Caldeira, una stella cadente tra i vicoli del Bairro Alto, la frittata con i gamberi e la mousse alla pesca di Natercia, il caffè gustoso della Brasileira, uno dei locali preferiti da Pessoa, il sapore dolce e seducente della ginja, lo sferragliare dei tram gialli lungo le ruas, la capoeira nella notte dell’Alfama, la magia della torre di Belem da cui Magellano e Vasco da Gama partirono alla scoperta di nuovi mondi, il chiostro di Los Jeronimos, un succo fresco di mango, poi un paio di cose comprate alla Feira da ladra: una vecchia scatola di tè con la foto di Joseph Tetley, un portagioie in rame con palme e uccelli incisi su smalti verdi e azzurri, un foglio di disegni per ricamo degli anni Venti, cinque cartoline vecchie e degli azulejos, uno blu con un passerotto poggiato sul ramo, uno nero con una barca a vela, uno azzurro con i fiori e un altro con il tram giallo tra i vicoli. Queste sono cose, ma dietro ad ognuna di queste cose si cela un rapporto umano, il sollievo di un sorriso, il piacere di una domanda, la curiosità di conoscere l’altro. A Lisbona i portoghesi mescolano il rispetto per la forma ereditato dagli inglesi, di cui sono i più vecchi alleati, al calore della gente latina. Se a questo aggiungiamo la dolcezza e la musicalità della lingua si comprende perché Lisbona conquista il cuore di chi la visita.
Riguardo queste vecchie cartoline e la scatola di tè qui sull’Oceano, a Praia das Machas (la spiaggia delle mele) a quaranta chilometri da Lisbona. La pensione nella quale siamo alloggiati si chiama Residencial Real, ma una volta il suo nome era Royal, e prima ancora fu colonia die profughi olandesi della Seconda guerra mondiale, lungo la stradina in salita che costeggia la pensione la gente si sofferma alla balaustra bianca e azzurra. Alcuni sono soli e guardano il grande mare come in attesa di una risposta, altri a gruppi di due o tre “filano, filar in portoghese vuol dire conversare mi ha spiegato Maria Teresa che da venticinque anni conduce questa pensione in riva all’Atlantico, è bassa e rotonda, ha i capelli bianchi e due occhi azzurri. Sul muretto bianco e azzurro c’è anche chi appoggia il giornale e legge. La spiaggia si va popolando di bambini che giocano, di signore di mezza età che fanno ginnastica. C’è bassa marea e gli appassionati di surf devono andare al largo per trovare le onde. Alcune persone salgono in lontananza i sentieri del promontorio mentre nelle pozze d’acqua verso riva altri raccolgono conchiglie. Questa mattina, quando il sole era nascosto dalle nuvole, verso le sei e mezza, un uomo e una donna “filavano” fitto fitto. Lei era vestita di nero con i capelli raccolti a coda, lui era più alto, grosso e con i capelli sale e pepe. Dalle loro teste ogni tanto spuntava sbuffi bianchi di sigaretta. Dopo due ore, quando mi sono alzato per la colazione erano ancora lì, filavano e fumavano. Sembrava che lui stesse ad ascoltare lei, che tentasse di aiutarla con la pazienza e l’affetto di un amico. Chissà quante storie d’amore hanno visto passare quella balaustra e Maria Teresa nella sua pensione. Immagino questo hotel d’inverno, immerso nell’atmosfera unica del vento e della nebbia che sa di mare, o delle nuvole che corrono veloci nel cielo blu, immagino un amore fra un lui e una lei, li immagino qui per una settimana nell’infinito.
The “crema de leche” dust of cinnamon, the voice of sea-gull that at night came in from the roofs, a woman staring out of a window near Beco do Caldeira, a falling star appearing in the narrow streets of Bairro Alto, the omelette with shrimsp and the peach mousse made by Natercia, the tasteful coffee at Brasileira, one of Pessoa’s favourites spots, the sweet and tempting Ginja, the Capoeira in the night of Alfama, the charm of Belem Tower, from which Magellano and Vasco da Gama left to discover new worlds, the cloister of Los Jeronimos, a fresh mango juice and a few things bought at the “Feira da ladra” (the thief market): a tea tin with a picture of Sir Joseph Tetley, a jewel box of brass decorated with palms and birds on green and blue enamels, a sheet of embroiderie drawings in the 20s, five old postcards and some azulejos, a blue one with a sparrow on the branch, a black one with a ship, another one blue with a bunch of flowers and a white one with a yellow tram between the ruas. These are things, but every object has in itself a legacy, the relief of a smile, the pleasure of questioning, the curiosity to know the other. In Lisbon Portuguese people mixed the formality inherited from the English, of whom they were the earliest allies, to the warm Latin character. If on top of that we add the sweetness and the harmony of the language, you could understand why Lisbon conquer the heart of the visitors.
I’m staring at these old postcards and the tea tin here on the Ocean, at Praia das Machas (the beach of apples), forty kilometers far from Lisbon. Our Hotel is called Residencial Real , but once its name was Royal and earlier it was a colony for Dutch refugees in the Second World War. Along the street that goes up near the hotel, just in front of the Ocean, people rely on a white and blue railing. Some of them are alone ad are loocking at the sea as if they were waiting for an answer, others, gathered in little groups of two or three persons “filano”, “filar” in Portugues means talking, discussing, so explained to me Maria Teresa, who has run this hotel from 25 years, she is short and round, her hair is white and her eyes are blue. Meanwhile on the white and blue railing there is also someone who is reading a newspaper and the beach is going to get crowded with children that are playing, with middle age women that are doing some exercise. Someone is walking along the distant paths of the promontory, while a few are picking up shells in the calm water between the rocks. There is low tide and the surfers have to swim on their boards far away to take the waves.
This morning, when the sun was still hidden behind the clouds, at about 6 o’clock, a man and a woman “filavan”, were discussing. She was dressed in black and her hair was made in a tail, he was taller and big, with black and white hair. Sometime cigarette’s smoke was caming in white whipps above their heads. After two hours, when I woke up for breakfast, they were still there, “discussing” and smoking. It semeed to me that the man was listening, trying to help her like a friend, with love and patience. Who knows how many love stories had been seen along this railing or by Maria Teresa in her hotel. I imagine this hotel in the Winter, surrounded by clouds running in the blue sky, I imagine a love story between a man and a woman staying here for a week in the infinite.
"Nel blog l'altro può firmare nel tuo testo, esiste uno spazio per chiunque decida di arrivare"
lunedì 31 agosto 2009
Para ser grande
Para ser grande, sê inteiro: nada Teu exagera ou exclui. Sê todo em cada coisa. Põe quanto és No mínimo que fazes. Assim em cada lago a lua toda Brilha, porque alta vive
Per essere grande sii completo, niente di te esagera o escludi. Sii tutto te stesso in ogni cosa. Metti quello che sei nelle minime cose che fai.
Così in ogni lago la luna tutta brilla perché alta vive.
(Ricardo Reis 14-2-1933)
Per essere grande sii completo, niente di te esagera o escludi. Sii tutto te stesso in ogni cosa. Metti quello che sei nelle minime cose che fai.
Così in ogni lago la luna tutta brilla perché alta vive.
(Ricardo Reis 14-2-1933)
venerdì 28 agosto 2009
martedì 18 agosto 2009
La lettera rubata
Uno straordinario racconto di Poe sul quale Lacan ha tenuto un seminario che a sua volta è stato oggetto del saggio di Derrida "Il fattore della verità". La lettera rubata non è stata nascosta ma lasciata in un luogo dove tutti potevano vederla e proprio per questo non la vedevano.
Lisbona
Scrive Fernando Pessoa in Lisbon Revisited:
Una volta ancora ti rivedo, Lisbona, e Tago e tutto,
viandante inutile di te e di me,
straniero qui come dappertutto,
casuale nella vita come nell'animo,
fantasma errante in sale di ricordi,
al rumore dei topi e delle tavole che scricchiolano
nel castello maledetto del dover vivere...
Una volta ancora ti rivedo, Lisbona, e Tago e tutto,
viandante inutile di te e di me,
straniero qui come dappertutto,
casuale nella vita come nell'animo,
fantasma errante in sale di ricordi,
al rumore dei topi e delle tavole che scricchiolano
nel castello maledetto del dover vivere...
Incipit
Ti ho lasciato dov’eri, prigioniero del groviglio delle parole non dette, dei peccati inconfessati, delle certezze smarrite. Ho cercato di non vederti, nonostante la luce che fuggiva dall’intrico dei rami intrecciati e sovrapposti a comporre null’altro che la vita, l’albero ormai grande, alto abbastanza da sentire la brezza, lassù.
Mi fa ombra, questa pianta contorta, a volte mi protegge ma altre, molte altre, mi soffoca.
Restare quaggiù, forse, al riparo dalle sorprese.
Provare a salire e sfidare il vento.
Cercare il coraggio per guardare oltre e affrontare la vertigine sapendo che, in un gioco affascinante ma un po’ crudele, tornare giù sarà quasi impossibile.
Oppure, beffa suprema, scoprire che sotto, nel frattempo, tutto è mutato e ormai sconosciuto.
Il futuro non aspetta nessuno e quando diventa passato il presente di prima non esiste più.
Mi cullo un po’ nel consapevole autoinganno, fingendo che la soluzione non ci sia, che tra rimanere immobile e ritrovarsi lassù, in balìa dell’inconosciuto, non ci sia una via di mezzo.
Potrei forse salire con un unico balzo, ma le ultime fronde sono troppo in alto, rischierei solo la delusione della sconfitta.
Potrei fare un po’ di strada e poi ridiscendere, risalire ancora percorrendo un tratto più lungo, poi tornare e così via, per non perdere del tutto il contatto con il mio terreno e verificare via via le differenze. Molto faticoso ma istruttivo.
Oppure potrei soltanto salire, con tappe più lunghe o più brevi, ma senza mai guardare giù. Una volta in cima sarebbe comunque troppo tardi per ogni ritorno: le fronde ormai folte impedirebbero di vedere più giù.
Written by Isabella Gianelloni
Mi fa ombra, questa pianta contorta, a volte mi protegge ma altre, molte altre, mi soffoca.
Restare quaggiù, forse, al riparo dalle sorprese.
Provare a salire e sfidare il vento.
Cercare il coraggio per guardare oltre e affrontare la vertigine sapendo che, in un gioco affascinante ma un po’ crudele, tornare giù sarà quasi impossibile.
Oppure, beffa suprema, scoprire che sotto, nel frattempo, tutto è mutato e ormai sconosciuto.
Il futuro non aspetta nessuno e quando diventa passato il presente di prima non esiste più.
Mi cullo un po’ nel consapevole autoinganno, fingendo che la soluzione non ci sia, che tra rimanere immobile e ritrovarsi lassù, in balìa dell’inconosciuto, non ci sia una via di mezzo.
Potrei forse salire con un unico balzo, ma le ultime fronde sono troppo in alto, rischierei solo la delusione della sconfitta.
Potrei fare un po’ di strada e poi ridiscendere, risalire ancora percorrendo un tratto più lungo, poi tornare e così via, per non perdere del tutto il contatto con il mio terreno e verificare via via le differenze. Molto faticoso ma istruttivo.
Oppure potrei soltanto salire, con tappe più lunghe o più brevi, ma senza mai guardare giù. Una volta in cima sarebbe comunque troppo tardi per ogni ritorno: le fronde ormai folte impedirebbero di vedere più giù.
Written by Isabella Gianelloni
domenica 9 agosto 2009
Le nozze di Cana
Una visione di Peter Greenaway al refettorio palladiano di San Giorgio Maggiore (Venezia)
giovedì 6 agosto 2009
Always wonderful
Se corre fa in tempo
Guardavo le fermate
Ce n'è un altro alle 20 e 24
Grazie
Always wonderful scritto accanto a tre cuori rossi sul bianco, gli occhi azzurri come il cielo d'estate, le labbra pronunciate, capelli oro raccolti a coda, due orecchini tondi a fiori e foglie, un orsetto con tante chiavi, la grande borsa argento, pantaloni e scarpe nere, uno shopper Stefanel con la giacca piegata. Sulla schiena girl's rules: drive him crazy, smile and shine.
Guardavo le fermate
Ce n'è un altro alle 20 e 24
Grazie
Always wonderful scritto accanto a tre cuori rossi sul bianco, gli occhi azzurri come il cielo d'estate, le labbra pronunciate, capelli oro raccolti a coda, due orecchini tondi a fiori e foglie, un orsetto con tante chiavi, la grande borsa argento, pantaloni e scarpe nere, uno shopper Stefanel con la giacca piegata. Sulla schiena girl's rules: drive him crazy, smile and shine.
domenica 2 agosto 2009
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