Nel popoloso Egitto pascolano molti pedanti chiusi tra i libri che litigano continuamente nella gabbia delle Muse.
Timone di Fliunte (230 a.C.)
"Nel blog l'altro può firmare nel tuo testo, esiste uno spazio per chiunque decida di arrivare"
sabato 31 luglio 2010
martedì 27 luglio 2010
Finzione e potere
L’intreccio machiavellico tra finzione e potere (“Il Principe deve essere simulatore e dissimulatore”) in versione contemporanea prevede una finta armonia con i colleghi, una finta accettazione del proprio ruolo nella piramide gerarchica, una finta soddisfazione del proprio lavoro.
Why we lie di Dorothy Parker
Why we lie di Dorothy Parker
domenica 25 luglio 2010
Rose
Sandali neri, un serpente tatuato sul collo del piede, capelli marrone scuro e mesh arancio chiaro, giacca nera in pelle, occhiali bianchi, un orecchino d’argento a forma di cuore, maglia giallo limone, minigonna in jeans con orlo sfrangiato, due bracciali leopardati, un giro di perle bianche, gambe lunghe, un naso schiacciato tra due occhi grandi, africani, malinconici, delle rose disegnate sulle unghie. Il libro che comincia a leggere è Amsterdam di Ian McEwan.
martedì 20 luglio 2010
Amsterdam 2
Le nostre biciclette ce le ha prestate Juliska, poi vi spiegherò chi è. Le abbiamo legate alla ringhiera del canale Singel con una vecchia catena che pesa almeno un chilo Perché siamo qui? Per curiosità, per passione, per egocentrismo, per sentirci importanti, perché è una buona scusa per visitare Amsterdam. La conferenza da chi è organizzata e di che che cosa parla? È una conferenza che si tiene ogni quattro anni ed è organizzata dall’International Society for the Study of Argumentation. Richiama i migliori esperti della parola, dell’uso degli argomenti e delle figure retoriche, della dialettica. Professori e ricercatori universitari che arrivano da quaranta differenti paesi per confrontarsi a suon di papers (relazioni). Qualche titolo: “Seduzione e argomentazione visiva”, “Arte pubblica e guerrilla advertising”, “Come gli autori giustificano la loro partecipazione alle interviste letterarie”, “Diplomazia da Nobel: la retorica dell’amministrazione Obama”, “L’argomentazione in bioetica”, “Entimema e proclamazione nei monumenti al milite ignoto”. Siamo arrivati ieri pomeriggio con un aereo bianco e azzurro della Klm che è atterrato su una pista che scavalca un’autostrada, immagino gli automobilisti che vedono passare un aereo sul cavalcavia invece di un trattore o di una bicicletta. Il nostro appartamento è nel quartiere Jordaan in Gietersstraat 27 (l’olandese è un tedesco con vocali raddoppiate e aspirazioni arabe), a un quarto d’ora di bici dal Dam, la piazza centrale. A proposito il nome Amsterdam deriva dal nome di un fiume, l’Amstel, mentre dam significa diga. La padrona di casa, al signora Juliska, è una signora dagli occhi azzurri e i capelli un po’ in disordine, il marito Herbert sembra più giovane di lei e fa lo scultore. L’appartamento è all’interno di una vecchia fabbrica che è stata ristrutturata per ospitare abitazioni. Al piano terra le grandi vetrate spesso non hanno tende e sembrano eliminare il confine tra privato e pubblico. Non c’è aria condizionata, gli olandesi sembrano non averne bisogno, sopportano bene l’aria umida e un po’ attaccaticcia. Siamo pur sempre in mezzo a canali, ma il paragone con Venezia è fuori luogo, ad Amsterdam le architetture nordiche non concedono molto al sogno, ricordano più le pagine illustrate delle fiabe dei fratelli Grimm il grigio, il bianco, il nero, il marrone, il ripetersi di linee appuntite e rette. Di giorno i colori sono quasi sempre spenti perché il sole non oltrepassa un velo lattiginoso che copre il cielo; di notte il gioco del chiaro scuro è meno evidente perché l’illuminazione è di tipo metropolitano, non rarefatta come tra le calli, i corsi d’acqua sono più larghi e i tacchi non tamburellano sui masegni, si smorzano su marciapiedi d’asfalto.
È ora di andare, sono le nove e comincia lo speech di Klumpp. In chiesa al posto dei banchi la platea, ai lati due lunghi palchi sovrapposti con le balaustre bianche, la volta blu è attraversata da capriate e archi di legno da cui pendono tre lampadari stile Boemia. Alle spalle del relatore l’organo. In un’ora attraversa la storia della retorica da Aristotele a Toulmin. In prima fila ad ascoltarlo c’è Frans H. va Eemeren il padre della pragamadialettica, sembra Kevin Kostner un po’ invecchiato, alto, l’occhio vivace e una brillante pelata. Dalla chiesa luterana ci spostiamo nelle aule dell’Università di Amsterdam. Dei 450 paper inviati per l’ammissione ne sono stati selezionati 300. Questa mattina Paolo seguirà gli interventi dedicati a Razionalità e ragionevolezza, io quelli nell’aula Leff sull’argomentazione visiva Ian J. Dove ha una camicia a quadretti rossi e beige, la barba e i capelli rossi, alle sue spalle l’immagine sfocata dell’ivory billed woodpecker, una specie di picchio in via di estinzione. Per alcuni quell’immagine è la prova della sua esistenza, altri invece sostengono che si può parlare in questo caso solo di verosimiglianza. Accanto a me Annalisa, che ieri è intervenuta su i rapporti tra arte pubblica e guerrilla advertising, la pubblicità che esce dai canali tradizionali creando eventi, notizie, blog inaspettati che richiamano l’attenzione sul marchio da promuovere. Jens Kjeldsen , maglietta bianca e scarpe da escursionista comincia il suo intervento in piedi accanto ad una foto dell’attacco a Pearl Harbor. Indica tre spruzzi d’acqua tra le onde e racconta che quella foto è stata usata per accreditare la tesi della presenza di un mini sommergibile giapponese, per altri invece sono gli spruzzi delle granate lanciate durante l’attacco. Passa poi all’uso delle figure retoriche come sineddoche ( “the picture is a sineddoche in itself”) e metonimia nelle campagne pubblicitarie. Dopo di lui George Roque si tuffa in uno schema che sintetizza il rapporto tra pathos e logos: la parola è un corpo invisibile come ricorda Il Gorgia. Conclude la mattinata l’americana Angela Aguayo che è emozionata e parla veloce riguardo all’insufficienza interpretativa dei tradizionali criteri di razionalità nei confronti delle modalità visive di argomentazione come per esempio i filmati o i servizi giornalistici. Siamo in fila per un veloce lunch: panini piccoli e tondi con ripieni imprecisati, un’insalata mista con tanta cipolla, formaggio fritto e cilindri impanati di carne tritata, da bere acqua minerale, succhi d’arancia, ace, e un caffè lungo, molto lungo che suppongo non sia 100% arabica. Sembra di essere tornati ai tempi dell’Università, in effetti, tanti volti sconosciuti, tante intelligenze diverse, unite dal cartellino portato a tracolla che indica l’università di provenienza e il nome che insieme alla borsa arancione segna l’appartenenza transitoria a una comunità, a un gruppo, a un cenacolo. Un’ora passa in fretta ed è già tempo di riattraversare il piccolo giardino interno per tornare tra i banchi. Il pomeriggio scorre tra gli interventi di Jerome Jacquin sulla rilevanza delle informazioni date su di sé dall’oratore, “Appeal to self authorithy, Alina Ganea mette a fuoco l’importanza strategica dei report mentre Stefan Goltzberg analizza l’argomento a fortiori (nel più sta il meno) nel Talmud, uno dei testi sacri dell’Ebraismo.
Ci avviamo, biciclette alla mano, lungo i canali verso il ricevimento alla Noordekerk nel quartiere Joordan, sì proprio quello dove abitiamo. Paolo, Giovanni, Damiano, si discute se l’uso della forza possa essere considerato un argomento, e se non lo è che cosa può la teoria dell’argomentazione contro chi usa la violenza?
La Noordekerk ha un’inconsueta pianta ottagonale, è dominata al suo interno da larghe colonne toscaneggianti e dalle tinte marroni degli arredi in legno. Diversi tavolini ospitano tavolozze di tartine, mentre frettolose cameriere servono vino, birra, acqua. Mentre si tengono alcuni discorsi ufficiali, leggiamo che la chiesa durante la seconda guerra mondiale fu usata per le riunioni segrete degli organizzatori dello sciopero generale organizzato durante la seconda guerra mondiale contro i pogrom tedeschi nei quartieri ebraici di Amsterdam. Dalla borsa arancione dell’Issa conferente spuntano i biglietti gratuiti per diversi musei, quello cittadino con una splendida collezione di memorabilia, il Willet Holthuysen che ricostruisce la vita delle ricche famiglie di Amsterdam e Geelvinck una dimora nobile con giardino. Ma le nostre mete museali per il fine settimana sono il Van Gogh Museum e il Rijks. Si torna verso casa e ogni tanto si incontra qualche statuaria olandese che cavalca la sua bicicletta indifferente ai nostri sguardi, in effetti perché dovrebbe guardare due che non hanno il fisico di Kevin Kostner né lo sguardo di Richard Gere, né i soldi di Steve Jobs? Bisogna trovare nuovi argomenti. Intanto fotografo un micio bianco e nero ci guarda da un vaso di tulipani rossi, una signora lì vicino richiama l’attenzione sul suo Carlino nero. È’ incredibile come la padrona e il suo cane si assomiglino: anche lei vestita di nero, con tante rughe e gli occhi tondi.
Due luglio, seconda e ultima giornata Issa (…oh issa…) e data della semifinale Olanda Argentina dei mondiali di calcio. Sul tragitto tra la vecchia chiesa luterana e l'Università è spuntato un mercatino di libri usati. Compro “Autobiographical writings” di Hermann Hesse”, un autore che ha accompagnato la mia giovinezza e il cui romanzo “Il gioco delle perle di vetro” cerca un collegamento, un linguaggio comune a vari saperi. Hesse è un autore che sebbene abbia vinto il Nobel, viene guardato con spocchia da alcuni, forse perché era un outsider, uno a cui piaceva andare controcorrente. A scuola non fu mai uno studente modello, a tredici anni aveva già deciso di far lo scrittore, “una vocazione – scrive – per la quale non è prescritto un curriculum”. Anche in Oude Manhuispoort, il passage del quartiere universitario, i bouquiniste espongono i loro libri, c’è una versione olandese di “Uno nessuno centomila”, un curioso romanzo di Silvain Salomon intitolato “De Mantel” (Il mantello) e libro “Spirituals” dalla copertina modernista in bianco e nero con un eclisse di luna, due donne stilizzate, una in piedi, l’altra seduta. Chissà di che cosa parlano? Un signore sulla quarantina, camicia azzurro indistinto, capelli rasati e occhiali rettangolari in metallo tocca i libri pressati uno accanto all’altro; come un rabdomante cerca il libro della sua vita, quello che “infiniti mondi possa aprirti”, in fondo cerca la sua storia, si chiede se qualcuno l’abbia già scritta oppure se tocchi a lui inventare quel libro che non trova tra gli scaffali delle biblioteche e i polverosi carretti dei bouquiniste. Ancora un caffè lungo, molto lungo, e poi in aula “Johnstone” a seguire il workshop “Argumentation in the media”. La questione affrontata da Susan Hogben, taglio maschile e occhiali neri a trapezio, è estremamente interessante. Susan analizza gli argomenti utilizzati dalla Complain commission inglese per giudicare rispetto ai ricorsi presentati contro pubblicità giudicate immorali o illecite per l’uso di immagini a sfondo sessuale o violente. Sullo schermo alle sue spalle sono le immagini abbastanza esplicite di Tom Ford, Dolce e Gabbana, Motorola. I giudizi positivi accolgono la tesi secondo cui l’immagine in realtà non rappresenta un corpo o una violenza, ma simboleggia, fantastica, ironizza, stilizza un aspetto della realtà. Allontanando l’immagine dalla realtà si attua il passaggio al simbolico, alla metafora, al sogno, alla satira e questo permette il cambiamento di stato e quindi il cambiamento dei valori in giudizio. Un programma giornalistica inventato che diventa argomento in una questione politica. Ne parla Gordon Mitchell che prende in esame la trasmissione televisiva “Bye Bye Belgium” che nel 2006 annunciò l’avvenuta separazione della minoranza francofona e organizzò una tavola rotonda alla quale parteciparono giornalisti e politici che si espressero sulla questione come se fosse realmente avvenuta. Concludono il morning program Martin Jimenez che spiega le strategie argomentative usate nello spot di una catena di supermercati galiziana (captatio benevolentiae e falso sillogismo) e Claudio Duran che analizza secondo il modello dell’argomentazione multimodale di Gilbert la propaganda di destra del giornale El Mercurio nel Cile nei primi anni settanta. Il falso ragionamento che viene proposto ai lettori attraverso l’associazione di immagini e notizie in prima pagina è il seguente: i comunisti sono violenti, nel paese accadono crimini tremendi, gli autori di quei crimini sono senz’altro comunisti, quindi per far andare le cose bene c’è bisogno di un governo di destra che elimini i comunisti. L’intervento di Duran mi fa riflettere sull’uso strumentale e ingannevole degli aggettivi-sostantivi “comunisti” e “fascisti” nella politica italiana degli ultimi quarant’anni. Nella pausa pranzo vado alla ricerca di un pacchetto di Rothmans rosse, scopro che qui non si trovano, troppo poche richieste spiega una tabaccaia polacca, ripiego sulle Camel, il cammello nel deserto ha un che di avventuroso e nello stesso tempo tranquillizzante. Raggiungo Paolo e gli amici che hanno seguito i paper dedicati all’argomentazione giuridica. Bevo soltanto dell’acqua e dell’aranciata, le tartine del ricevimento di ieri sera hanno risvegliato la mia gastrite. Nel pomeriggio scelgo di seguire il tavolo “Argumentation in a religious context” e l’intervento di Groarke, come mi ha suggerito Annalisa, in “Premise acceptability”. Mika Hietanen, un giovanotto che potrebbe giocare in una squadra amatoriale di pallacanestro, ha registrato il predicatore di una nuova chiesa evangelica a Nokia in Finlandia. Si ascolta la voce infervorata del religioso e nello stesso tempo sullo schermo scorre la traduzione in inglese. Tra una passaggio e l’altro Hietanen illustra le tecniche retoriche e l’importanza psicologica del tono di voce, del luogo, della situazione. Dopo di lui Vito De Nardis parla dell’argomentazione nel dialogo Octavius scritto dallo scrittore cristiano Minucius Felix tra il secondo e terzo secolo dopo Cristo. De Nardis ha lo sguardo irrequieto e gesticola in modo nervoso, cammina al centro della stanza, sullo sfondo la slide con la domanda “What kind of life is better?” rimanda alla questione centrale affrontata nell’Octavius: se sia meglio venerare gli dei, come sostiene Cecilio, o credere nella venuta di Cristo come sostiene alla fine vittoriosamente Ottavio. Esco dalla Leff Room per raggiungere l’aula Brockriede e seguire l’intervento di Leo Groarke sugli argomenti emozionali. Groarke è un signore con i capelli sale e pepe, i baffetti e un volto piccolo. Sta seduto e tiene due fogli davanti a sé, si preannuncia uno speech noioso. Invece no. Con voce tranquilla inizia a scherzare sull’orario, sono le quattro e inizia la partita fra Olanda e Argentina, poi si chiede che influenza avrà dal punto di vista emotivo il fatto che nella stanza si scoppi dal caldo; con paio di battute conquista il suo pubblico che d’ora innanzi lo seguirà incantato. I due fogli che ha tra le mani non li leggerà mai, sono un trucco per mantenere viva l’attenzione, infatti ogni tanto dice, “come fra poco vi leggerò” o “prima di leggere il mio paper vorrei dirvi che”, ma in realtà non leggerà una parola. Quando conclude, applausi in aula. Una lezione indimenticabile di come si fa a sedurre un uditorio: un pizzico di autorevolezza, quanto basta di ironia e una manciata di reticenza. Torno al religioso con Joseph Dichy che interviene sui fondamenti della retorica araba e poi mi sposto di nuovo nella sessione “Argumentation in the media” per ascoltare Kira Goudkova e Tatyana Tretyakova sulle argomentazioni pro o contro la torre che sconvolgerebbe il panorama di San Pietroburgo: 396 metri, Oktha Centre, progetto Rem Koolhaas .
Ci ritroviamo nel giardino, questa sera è in programma la cena di chiusura alla IJ Kantine, un moderno locale all’interno di un ex hangar navale oggi utilizzato per concerti, mostre d’arte, eventi. I nostri amici e diversi relatori sono già partiti, il clima magico della conferenza si è dissolto come un mandala (qui un mio diario fotografico dei giorni Issa). Andiamo a prendere le biciclette. Lungo la strada ci fermiamo in un bar con la tv accesa, la telecamera inquadra la faccia desolata di Maradona, l’Olanda sta vincendo quattro a zero con l’Argentina. C’è aria di festa, decidiamo di gironzolare per la città che si veste d’arancione, il colore della nazionale olandese, le barche e i gommoni sfrecciano per i canali, a bordo si brinda e si balla, alcuni ragazzi salgono sui tetti spioventi. Il tutto avviene però con un certo ordine, con una compostezza di fondo.
Sabato inizia con afa e cielo coperto, colazione all’American Bar: cappuccino, croissant e torta alla ricotta ricoperta di ciliegie (19 euro). Siamo a due passi dal Leidseplein, il quartiere degli antiquari e dei rigattieri, e vicini al museo Van Gogh. Incatenate le biciclette varchiamo le porte del moderno edifico che ospita la mostra più visitata di Amsterdam. Entriamo nel mondo malinconico, colorato e disperato di Vincent. La natura morta con la bibbia aperta, la candela spenta e il romanzo con la copertina gialla di Emile Zola La joie de vivre (“perché cercate i vivi tra i morti?”); Le scarpe su cui si interrogarono anche Heidegger e Derrida; il teschio con sigaretta accesa; I mangiatori di patate, un quadro scuro che ha il colore di una patata ben impolverata, uno dei suoi ritratti a proposito del quale in una lettera al fratello Teo scrive: “Un volto rosa grigio con occhi verdi capelli color cenere rughe sulla fronte e attorno alla bocca una barba rosso vino, incolta e triste, il volto giallo limone, vermiglio, direi che assomiglia al volto della morte; Figure in un parco ad Asnieres, “Sotto un caldo cielo luminoso coppie di innamorati passeggiano tra i sentieri die giardini all’italiana”; La cortigiana, “grande limpidezza, la naturalezza di un respiro”; I Girasoli giganti, “ sono i miei fiori”; La sedia di Gauguin con i libri e la misteriosa candela; Barche da pesca a Les Saint Maries de la Mer; St Pauls Hospital, “sotto gli alberi vuote panche di pietre, cespugli di bosso, il cielo si specchia giallo in una pozzanghera lasciata dalla pioggia, un raggio di sole ravviva il cupo ocra trasformandolo in arancione”; Campo di grano con il mietitore, “l’uomo lotta come un dannato prima di essere mietuto; campo di grano con i corvi neri, “tristezza e solitudine infinita tra i sentieri”. Pochi giorni dopo aver dipinto questo quadro si sparò. Nel museo sono esposte anche altre opere di pittori del diciannovesimo secolo, fra cui uno stupefacente quadro di Daubigny Cliffs at Villerville sur mer, si dice che sia stato dipinto interamente all’aperto e che durante la sua esecuzione fu preso a cornate da una mucca. Certo è che la luce e i colori di quest’opera non sono seconde alle tele più famose di Monet Cezanne. Pausa pranzo in un chiosco del Museumplain, birra, panino prosciutto e formaggio, hot dog, wafel con cioccolato o marmellata di ciliegie. La tv trasmette la seconda semifinale dei mondiali: la Germania non ce la fa contenere il gioco guizzante degli spagnoli. Continua a piovere mentre entriamo nel vicino Rijks Museum per ammirare le tele di Rembrandt. Al piano terra sostiamo davanti a La pesca delle anime di van de Venne che rappresenta il conflitto fra protestanti e cattolici attraverso due barche che raccolgono degli uomini che stanno per affogare (argumentation in a religious context). Poi Rembrandt, immenso, simbolico, maestro della luce e dell’ombra. Ad ogni quadro Paolo, che è un profondo conoscitore di simboli e miti, mi fa notare i dettagli: la lanterna, gli occhi che non si vedono, la posizione della mano, il movimento di una figura. L’autoritratto come apostolo Paolo; Geremia che piange la distruzione di Gerusalemme; Isacco e Rebecca, opera che Van Gogh commentò così: “Che dipinto intimo e infinitamente empatico. Credimi, lo penso davvero, darei dieci anni della mia vita per poter sedere davanti a questo dipinto per due settimane con soltanto un tozzo di pane secco.”; l’autoritratto con il libro e una spada conficatta nel petto; I sindaci della gilda dei drappieri di Amsterdam, un quadro enigmatico per gli sguardi e la posizione dei personaggi, così come la famosa Ronda di notte. Al centro spunta un occhio nell’oscurità, ogni soggetto guarda in una direzione diversa, ci sono due bambine, una con la faccia da vecchia, l’altra nascosta, le figure sono composte a gruppi di tre. Insomma questo quadro è tutt’altro che la rappresentazione della squadra degli archibugieri di Amsterdam. In un’altra sala i quadri che Mirò dipinse “scomponendo” il suonatore di liuto Jan Steen. Si potrebbe con una tecnica analoga rielaborare L’uomo senza qualità di Musil. Pioviggina ancora, torniamo al Dam, la piazza centrale, capatina al chiosco delle patate fritte, una birra al De Drie Fleschjes con le sue pareti coperte di botti e poi shopping musicale da Fame in Kalverstraat. Il gioco per il lettore consiste nello stabilire quali cd ho comprato per mia figlia Alessandra che ha quattordici anni e quali per me: Kesha Animal, Demi Lovato Here we go again, David Guetta One love, Black eyed peas The end, Justin Bieber My world, Selena Gomez Kiss & Tell, Making Contakt, Diana Krall The very best of, Keith Jarret Charlie Haden Jasmine, Chet Baker, Lee Morgan.
La sera dovremmo uscire ma iniziamo a chiacchierare di lavoro, della conferenza, di libri, di sogni, di progetti. Mezzanotte arriva in un attimo, dobbiamo anche preparare le valigie, Juliska ci ha chiesto di liberare la stanza per le dieci. Ultimi clic mentre ci incamminiamo con i trolley verso la stazione. Finestra con signore che legge: ha una mano in fronte e i piedi scalzi appoggiati sul davanzale; una bella ragazza dai lunghi capelli neri ci saluta affacciata da un bowindow; un tipo con la camicia colorata suona la chitarra alla fine di un ponte.
lunedì 19 luglio 2010
Amsterdam
Le biciclette sfrecciano al semaforo davanti ai tavolini del Coffe Company. Poi è la volta dei tram e delle poche macchine. Siamo ad Amsterdam. Non è un plurale maiestatis, seduto al tavolino insieme a me c’è l’amico Paolo, faccia socratica e ironia sottile. Al di là della strada la vecchia chiesa luterana dove fra poco James Klumpp terrà il keynote speech della seconda giornata dell’Issa Conference. Oltre alle biciclette che hanno la precedenza anche sui pedoni, la seconda cosa che ti colpisce ad Amsterdam sono le chiese, prive o quasi di dipinti, ricche di vetrate e organi imponenti, e poi il loro uso pubblico, possono esser usate come aule universitarie, sale per concerti o rinfreschi. La terza cosa che ti colpisce ad Amsterdam è la quantità di birre che vedi sui tavolini dei bar, la birra non manca mai, un posto dove mangiare dopo le dieci di sera invece quello sì te lo puoi dimenticare. Il cappuccino medium servito in un bicchiere di plastica non è male, il croissant è semplice, senza marmellata. In alternativa c’era quello al cioccolato e poi basta. Il mangiare per gli olandesi è qualcosa di secondario, serve a introdurre calorie, punto. En general è così anche per il vestire: l’abbigliamento informale o della serie “mi sono appena alzato dal letto” è la regola. Ho visto persone alle otto e mezza di mattina fare colazione fuori dal supermercato scartando uno snack e bevendo un succo di frutta. Altro che le brioche farcite di Roma o le fette di torta delle pasticcerie altoatesine. Ora qualcuno potrebbe pensare: il solito italiano, a due passi da una conferenza universitaria pensi a mangiare. È poco filosofico. È vero distrae dalle questioni importanti. Dove sono le nostre biciclette e perché siamo qui?
(continua)
venerdì 16 luglio 2010
Anima inquieta
Il corpo racchiude l'anima come in un carcere (Platone) o, detto con minor durezza, "ospita la mente come fa la nave con il suo capitano" (Cartesio). Ma la poesia rovescia l'immagine con Ezra Pound: "È il corpo che sta dentro l'anima". Per Darwin è corretto quello che dice Platone ma "dove lui scrive anima, tu leggi scimmia". Anima, animale, animare, hanno la stessa radice.
(Liberamente da un articolo di Giulio Giorello)
(Liberamente da un articolo di Giulio Giorello)
martedì 6 luglio 2010
Filosofo
"Un filosofo è un uomo che vive, vede, ascolta, sospetta, spera, e costantemente sogna cose straordinarie..."
"La filosofia ... è la scelta di vivere fra i ghiacci e le alte cime"
(Frasi di Nietzsche citate da Heidegger in Einführung in die Metaphysik)
"La filosofia ... è la scelta di vivere fra i ghiacci e le alte cime"
(Frasi di Nietzsche citate da Heidegger in Einführung in die Metaphysik)
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