Tre donne di cultura araba, tre scrittrici, tre mondi, hanno parlato dei loro libri a Venezia nella tavola rotonda Sguardi di Donne del Mediterrano, durante la manifestazione Incroci di Civiltà. Cominciamo dall’ironia della farmacista egiziana Ghada Abdel Aal, che da qualche anno ha aperto un fortunatissimo e seguitissimo blog: http://wanna-b-a-bride.blogspot.com (Voglio sposarmi). Post dopo post ha raccontato i buffi incontri organizzati dalla famiglia per farle incontrare un ragazzo da sposare, per combinare un matrimonio da salotto. Alle sue avventure si sono aggiunte quelle delle amiche e al successo del blog è seguita la pubblicazione del libro per un importante editore arabo e poi le edizioni in altre lingue; in Italia è uscito con il titolo Che il velo sia da sposa (Epoché). Con garbo e simpatia ha raccontato in inglese che la gente in Occidente spesso fa confusione fra donne afgane e donne egiziane, le chiedono se non si senta oppressa, o se può guidare la macchina, e altre sciocchezze del genere. “Le donne egiziane – ha detto – non sono meno oppresse di quelle italiane, anche loro sono impegnate ad affermarsi in campo professionale e a combattere contro pregiudizi maschilisti.” Questo è un brano dal suo uomoristico blog: “Comunque io non ce l'ho con Haytam, perché so di averlo ferito la volta che ho rifiutato la sua proposta di matrimonio, nonostante il ragazzo sia molto chic (viene a prendere l'immondizia con indosso abiti Versace, i capelli a spazzola e una mano sempre in tasca) e nonostante sia un tipo facoltoso (ha una B.M.V., cioè una Brutta Macchina Vecchia).
Ma è che la vena liberale e proletaria che è in me cozza contro la mia vena borghese, sofista e imperialista (aprite un dizionario qualsiasi e traducete voi, per favore. Adesso non ho tempo per spiegarvi!) e alla fine mi sono vista costretta, seppur con dispiacere, a rifiutare la sua proposta e il ragazzo deve averla presa male. Probabilmente ho urtato la sua sensibilità. Ed è per questo che, ogni volta che veniva a prendere l'immondizia da noi e mi vedeva passare davanti alla porta, mi guardava, faceva un bel respiro profondo e gridava con quanto fiato aveva in gola:
- Monneeeeezzaaaaaaa!!!
Io naturalmente non l'ho mai presa sul personale. Proprio per niente. Sapete che ho il cuore tenero! Anzi, gli ho sempre augurato ogni bene, finché il Buon Dio non gli ha concesso la grazia di farlo fidanzare con la ragioniera Nermin.”
Alawiya Sobh, invece, ha una scrittura intensa e passionale. Vive a Beirut e dirige la rivista femminile Snobì diffusa in tutto il mondo arabo, un magazine che parla di bellezza, vita di coppia, sesso, mondanità, diritti delle donne. Il suo nome e passione, edito in Italia da Mondadori, è stato censurato nei paesi arabi: che una donna affronti temi come l’omosessualità, la sessualità, il tradimento, rappresenta senza dubbio un pericolo in società religiose basate sulla superiorità dell’uomo. Con voce affettuosa Alawiya ha letto in arabo alcuni brani del suo romanzo: “Quando ci abbracciavamo e i nostri corpi diventavano uno, avevo la sensazione che i miei fianchi, le miei mani, il mio collo, ogni parte del mio corpo fossero come le lettere dell’alfabeto arabo, che si curvano, si rigirano, si lamentano, si struggono, si crucciano pur di restare appiccicate, pur di penetrarsi a vicenda, e che il mio ventre, come la lettera nun, allargava le braccia per riceverlo.”
“Mia signora, dicono che la donna ha novantanove zone erogene, ma non le elencano. dicono che il pudore impedisce che le si nomini e le si renda note. (...) In ogni caso gli uomini amano le donne a prescindere dalle novantanove zone erogene, basta un’unghia del piede ad eccitarli.”
Piglio istrionico e capigliatura leonina, l’algerina Malika Mokkedem ha letto con grande trasporto in francese un brano inedito del suo ultimo romanzo La desiderance. È la storia di un amore tragico: lui muore nella speranza di attraversare il Mediterraneo, lei lo apprende da una telefonata della guardia costiera e si mette alla ricerca dei responsabili. Malika Mokkedem, dopo la laurea in medicina a Orano, emigrò in Francia a causa della sua opposizione al regime algerino. Il mare è al centro de La desiderance, come già di N’Zid. In una sua intervista dice: “Durante i miei primi diciassette anni di vita in Francia ho passato tutte le estati a navigare. Alla fine degli studi ho persino solcato il Mediterraneo per sei mesi di fila con il progetto di un viaggio attorno al mondo in barca a vela. Mollare gli ormeggi, staccarsi dal molo allontanando la barca con il piede, prendere il mare mi dava una vertiginosa sensazione di libertà, sommata ad un piacere atavico. Il Mediterraneo si offriva a me come un cuore che batte tra le due rive della mia sensibilità. Ed è a forza di frequentare il mare aperto che ho trovato il senso della parola infinito: l’infinito è la libertà.”
Al termine dell’incontro è però successa una cosa strana, è stato impossibile fotografare le tre scrittrici assieme, né, a pensarci bene hanno conversato fra di loro, nè al pubblico si è permesso di rivolgere loro delle domande. Ci si può trovare ad un incrocio e sorridere cortesemente ma incontrarsi, capirsi e parlarsi davvero è un’altra cosa e non è una questione di lingua o cultura ma di volontà.
foto: da sinistra Malika Mokkedem, Ghada Abdel Aal, Alawiya Sobh.
foto: da sinistra Malika Mokkedem, Ghada Abdel Aal, Alawiya Sobh.