martedì 24 febbraio 2015

Sulle tracce di Aldo - I


La prima immagine di una tipografia è del 18 febbraio 1499, s’incontra a metà dell’incunabolo (1) della Grant danse macabre des hommes et des femmes, edita a Lione dallo stampatore tedesco Martin Husz. La Danse macabre era un best seller dell’epoca, conteneva diversi racconti sul tema della brevità della vita e quindi sulla necessità di darle un senso etico, religioso.
Nel disegno il compositore ha davanti a sé il foglio del manoscritto che sarà riprodotto: i codici provenienti dai conventi venivano smontati per rendere possibile questa operazione e poi raramente rimontati. Con la mano sinistra tiene la cassetta dei caratteri e con la destra li allinea nella forma. In realtà, essendo la collocazione dei caratteri speculare, essi venivano montati alla rovescia e da destra verso sinistra, a esclusione dell’arabo e dell’ebraico per i quali si procedeva da sinistra a destra; quindi sarebbe stato più logico che egli tenesse la cassetta con la destra e li disponesse con la sinistra.
I caratteri in piombo erano ottenuti per fusione da una matrice incisa che riceveva l’impronta del punzone con la lettera in rilievo. Fra i maestri di quest’arte, Francesco Griffo da Bologna che creò i punzoni dei  caratteri tondi e corsivi per Aldo Manuzio e per Gershom Soncino.
Il compositore non aveva solo la responsabilità di copiare e quindi di allineare correttamente i caratteri, ma anche di disporre le pagine per la stampa secondo la piegatura.  Nell’ipotesi di un in folio (2),  cioè di una piega due pagine quattro facciate, doveva collocare correttamente nella stessa forma la prima e l’ultima,  la seconda e la penultima facciata, e così via.
La forma posta su un carrello veniva inchiostrata dal tiratore che si intravede dietro il torchio mentre solleva il tampone; a lui spettava anche il compito di appoggiare il foglio sulla forma e di spostare avanti e indietro il carrello sotto il torchio con un sistema di corde collegate a un mulinello. Il battitore, invece, tirava la barra del torchio due volte per stampare con una pressione uniforme le due metà del foglio. Il giorno prima la carta veniva bagnata per migliorare la presa dell'inchiostro e per compensare piccole irregolarità nell'altezza dei caratteri.
Un altro errore dell'immagine di Husz riguarda il libraio che vende dei libri rilegati, mentre all'epoca si vendevano in fogli sciolti; alla rilegatura in pelle, in pergamena rigida, in cartoncino, in mezza pelle con assicelle di legno, abbellita da fregi e dorature, ci pensava l'acquirente. Ma perché la Danse Macabre in una tipografia? Per dire che anche i libri e i loro "immortali" autori prima o poi lasciano per sempre questo mondo. Non si può escludere. Per la verità i libri resistono molto più a lungo degli uomini, con qualche eccezione: per esempio non sono più fra noi  l'Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo edito a Scandiano in una tiratura di 1250 esemplari, l'edizione princeps (prima) napoletana del 1476 del Novellino di Masuccio Salernitano, la princeps del 1483 del Persiano di Francesco da Firenze. Secondo una ricerca di Jonathan C. Green nel Quattrocento sono andate totalmente distrutte dalle 12.000 alle 20.000 edizioni (3).
(continua)
(Alcune informazioni sono state raccolte nella conferenza La bottega tipografica del Rinascimento di Neil Harris, ciclo di incontri Aldo al lettore a cura di Tiziana Plebani, Biblioteca Marciana, Venezia, 19 febbraio, altre da fonti diverse)
(1) Il termine incunabolo o incunabulo  (dal latino incunabula, fasce dei bambini, culla, origine) designa i libri stampati con caratteri mobili dall’invenzione della stampa al 1500.   Il termine incunabula fu usato per la prima volta dal decano della cattedrale di Münster Bernard von Mallinckrodt, in un trattato dal titolo De ortu et progressu artis typographicae (Colonia 1639) nel quale definisce il periodo che va da Gutenberg al 1500 come prima typographiae incunabula, cioè l’origine della tipografia.
 (2) Altri formati erano l’in quarto due pieghe quattro pagine otto facciate, in ottavo quattro pieghe otto pagine 16 facciate, in sedicesimo otto pieghe sedici pagine 32 facciate.
(3) Neil Harris, La sopravvivenza del libro, ossia appunti per una lavandaia

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