I
numeri hanno il loro fascino: sono precisi, sintetici, veri (almeno sembrano),
rassicuranti(premiata ditta Polo
dal 1774 ), appassionano (100 metri in 9’’58).
Non
è possibile raccontare una storia senza numeri, né trovare un libro in
biblioteca.
E
anche Le Mille e una notte sarebbero un’altra cosa
senza quel Mille.
Raccontare
è contare, fare una lista, un elenco, una statistica, una mappa, ma di cosa? Di
milioni di attimi, di milioni di numeri. È contare su qualcuno informato dei
fatti e su qualcuno che ascolti.
Il
medico John Snow nel 1854, con l’aiuto di un sacerdote, costruì una mappa dei
casi di colera verificatisi a Londra e notò che il maggior numero di decessi
era avvenuto intorno alla pompa d’acqua di Broad Street nel quartiere di Soho.
Da ciò dedusse che era infetta, la fece chiudere e i casi di colera
diminuirono. La mappa di Snow si trova in rete e rappresenta il modello di quello che si
chiama data driven journalism, ovvero il giornalismo basato sui dati, sui
numeri, sulle percentuali, sulle statistiche. Ne ha parlato ieri a Venezia
Mirko Lorenz dell’European Journalism Center nell’ambito dell’incontro Raccontare
storie con i dati organizzato dall’Ordine dei giornalisti del Veneto.
Alcuni
esempi più recenti sono la mappa dei foreign fighters che da ogni parte del
mondo si arruolano in Siria pubblicata dal Washington Post;
la mappa The Migrant Files diffusa da Le Monde Diplomatique e realizzata attraverso i due più grandi data base delle vittime delle immigrazioni verso l’Europa negli ultimi 14 anni, dal 2000
al 2013; l’articolo di Andrew W. Lehren sul New York Times riguardante gli
atleti squalificati alla Maratona di New York, accompagnato dall’infografica che mostra i punti
dove i corridori si allontano dal tracciato o rientrano nella corsa dopo una scorciatoia; l’articolo del New York Times che mette a confronto in un'animazione 3D i campioni olimpici dei cento metri dal 1896 al 2012.
Per
Lorenz l’epoca del giornalismo ad effetto, quello dei titoli gridati per suscitare l’attenzione del lettore sta tramontando, crescerebbe invece il data driven
journalism: un giornalismo che suscita fiducia. Attraverso l’affidabilità dei numeri aiuta il lettore nelle decisioni della vita di ogni giorno
(elezioni, politica, scuola, economia, salute), nella comprensione di problemi
complessi e nell’approfondimento di quelli legati al territorio in cui abita. Diversi gli strumenti in rete
per costruire grafici basati sui dati, come Datawrapper https://datawrapper.de/,
e le pubblicazioni, come Pocket World in
Figures,
ed. The Economist, Guide to information graphics, ed. The Wall Street
Journal, Envisioning Information di Edward R. Tufte.
Forse
ha ragione Lorenz, il giornalismo diverrà statistico, visuale, matematico, con tutta una serie di conseguenze in termini di scrittura
(googleggiata), struttura (predefinita), racconto (visuale), scelta delle
parole (keyword). In somma un tecnodriven journalism.
Small data (da verificare ndr) per l'infografica: spettatori 127, di cui 19 hanno fatto domande, 84 hanno partecipato al workshop, 8 hanno abbandonato l'incontro; 92 i laureati, 111 i precari; durata incontro 228 min, talk Mirko Lorenz 106 min, traduzioni sintetiche 43 min, domande del pubblico e workshop 79 min; parole di M.L. su case history ddj 113221, su strumenti del ddj 19.422, parole del pubblico 17.473.
Immagine: mappa dei foreign fighters, Washington Post
Small data (da verificare ndr) per l'infografica: spettatori 127, di cui 19 hanno fatto domande, 84 hanno partecipato al workshop, 8 hanno abbandonato l'incontro; 92 i laureati, 111 i precari; durata incontro 228 min, talk Mirko Lorenz 106 min, traduzioni sintetiche 43 min, domande del pubblico e workshop 79 min; parole di M.L. su case history ddj 113221, su strumenti del ddj 19.422, parole del pubblico 17.473.
Immagine: mappa dei foreign fighters, Washington Post
Nessun commento:
Posta un commento