Quando
si aggiunge un quid di fantastico, di irrazionale, di sorprendente ad un fatto,
ad una esperienza, comincia, forse, la narrazione. Il racconto del primo
cacciatore intorno al fuoco segna l’inizio della storia. Scrive Calvino in
Lezioni Americane: “Credo che i nostri meccanismi mentali elementari si
ripetono dal Paleolitico dei nostri padri cacciatori e raccoglitori attraverso tutte le culture della storia umana. La parola collega la traccia visibile alla
cosa invisibile, alla cosa assente, alla cosa desiderata o temuta, come un
fragile ponte di fortuna gettato sul vuoto”. E Roland Barthes si sofferma su
considerazioni analoghe: “Il racconto è presente in tutti i tempi, in tutti i
luoghi, in tutte le società; il racconto con la storia stessa dell’umanità; non
esiste, non è mai esistito in alcun luogo un popolo senza racconti; tutte le
classi, tutti i gruppi umani hanno i loro racconti e spesso questi racconti
sono fruiti in comune da uomini di culture diverse, talora opposte; il racconto
si fa gioco della buona e della
cattiva letteratura; internazionale; trans-storico, transculturale, il racconto
è come la vita.”
In
cosa differiscono allora Romeo e Giulietta di Shakespeare dai commercial della
Coca Cola?
Entrambi
vogliono condurci per mano nel loro mondo, cercano di sedurci e per farlo
condividono con noi valori e promesse. La differenza, se esiste, è forse nella
complessità che è propria della letteratura, e dell’arte in generale, una sorta
di profondità che lascia intravedere più lontano. Lo storytelling, così si
chiama la tecnica di narrare storie a fini commerciali, è spesso semplice,
sempre enfatico, mette in scena stranezze, citazioni, cambi di contesto, offre
immagini chiare, senza le complicazioni e le contraddizioni del mito, del
romanzo, della poesia. Le tecniche dello storytelling sono adottate anche nel
giornalismo, soprattutto televisivo, dove ricostruzioni audio e video,
pseudoeventi, lanci commerciali e finte notizie si mescolano alla cronaca dei
fatti.
Christian
Salmon, autore di Storytelling, la fabbrica delle storie, scrive: “Lo scopo del
marketing narrativo non è più semplicemente convincere il consumatore a
comprare il prodotto, ma anche immergerlo in un universo narrativo,
coinvolgerlo in una storia credibile.
Non si tratta più di sedurre o di convincere, ma di produrre un effetto
di credenza. Non di stimolare la
domanda, ma di offrire un racconto di vita che propone dei modelli di
comportamento integrati, i quali comprendono certi atti di acquisto ,
attraverso veri e propri ingranaggi narrativi. Vecchi o giovani, disoccupati o
impiegati, sani o malati di cancro, “you are the story”, tu sei un eroe. Il
neomarketing opera un sottile slittamento semantico: trasforma il consumo in
distribuzione teatrale. Scegli un personaggio, e noi ti forniamo gli accessori.
Datti un ruolo, noi ci occupiamo delle scene e dei costumi. Il consumo come
unico rapporto con il mondo. Si attribuiscono alle marche i poteri che una
volta si cercavano nei miti o nella droga: superare il limite, fare
l’esperienza di un sé scevro di pesantezza, volare, planare; ieri erano Icaro o
l’LSD, oggi sono la Nike o la Adidas (paragone non condivisibile ndr). Le
scarpe da ginnastica sfidano la legge di gravità. Uno sport come lo skateboard
ti dà accesso al soprannaturale. Tom Clarck, lo “sciamano delle scarpe da
ginnastica”, spiega che “lo sport, ispirandoci, ci permette di rinascere in
continuazione”. Le marche sono portatrici di un universo: ci aprono la strada a
un racconto di fantasia, a un mondo teatralizzato e sviluppato dalle agenzie di
“marketing esperienzale”, la cui ambizione non è più rispondere ai bisogni e
nemmeno crearli, bensì realizzare una convergenza di visioni del mondo."
“Visioni
del mondo” che oggi convergono, per una parte del Mondo, in un’interazione
continua con la Rete produttrice di una narrazione (conversazione) torrenziale,
una registrazione continua finalizzata al controllo di dati e al consumo: mi
piace questo, faccio così, è successo quello, ho comprato una cosa, sono stato
qui e andrò là. Raccontami una storia e compra questo prodotto ... è un “mito”.
Foto del padiglione americano alla Biennale d'arte 2013