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Il suo volto è una scheggia d’argento, sulle labbra sottili una sigaretta sempre accesa, le mani hanno il colore di quelle dei meccanici d’auto. È uno di poche parole, parole che cadono una dopo l’altra per chiudere il discorso. È più importante non separarsi dai grammofoni, prendersene cura, giorno e notte, aggiustarli, restaurarli per ridare loro la voce perduta. Nel negozio vicino alla porta 12 del Gran Bazar di Istanbul, le trombe azzurre e oro sono appoggiate come mazzi di fiori sugli scaffali; Gramafon Baba, in turco “Papà dei grammofoni”, guarda appena i turisti, che hanno sempre tante domande e foto da fare; affinché cali il silenzio gira la manovella di un His Master’s Voice in mogano, e dedica loro una vecchia canzone di Luciano Tajoli. La voce arriva spinta dalla puntina in argento, a volte sembra sul punto di spezzarsi, di mischiarsi in una tavolozza indistinta di colori, di naufragare insieme all’orchestra in bianco e nero che l’accompagna: "T'invidio turista che arrivi, t'imbevi de fori e de scavi, poi tutto d'un colpo te trovi fontana de Trevi ch'e tutta pe' te ....Ma prima di partire l'inglesina buttò la monetina e sussurrò: Arrivederci, Roma... Good bye...au revoir... Mentre l'inglesina s'allontana un ragazzinetto s'avvicina va nella fontana pesca un soldo se ne va! Arrivederci, Roma!"
Il suo volto è una scheggia d’argento, sulle labbra sottili una sigaretta sempre accesa, le mani hanno il colore di quelle dei meccanici d’auto. È uno di poche parole, parole che cadono una dopo l’altra per chiudere il discorso. È più importante non separarsi dai grammofoni, prendersene cura, giorno e notte, aggiustarli, restaurarli per ridare loro la voce perduta. Nel negozio vicino alla porta 12 del Gran Bazar di Istanbul, le trombe azzurre e oro sono appoggiate come mazzi di fiori sugli scaffali; Gramafon Baba, in turco “Papà dei grammofoni”, guarda appena i turisti, che hanno sempre tante domande e foto da fare; affinché cali il silenzio gira la manovella di un His Master’s Voice in mogano, e dedica loro una vecchia canzone di Luciano Tajoli. La voce arriva spinta dalla puntina in argento, a volte sembra sul punto di spezzarsi, di mischiarsi in una tavolozza indistinta di colori, di naufragare insieme all’orchestra in bianco e nero che l’accompagna: "T'invidio turista che arrivi, t'imbevi de fori e de scavi, poi tutto d'un colpo te trovi fontana de Trevi ch'e tutta pe' te ....Ma prima di partire l'inglesina buttò la monetina e sussurrò: Arrivederci, Roma... Good bye...au revoir... Mentre l'inglesina s'allontana un ragazzinetto s'avvicina va nella fontana pesca un soldo se ne va! Arrivederci, Roma!"
Concentrato
come un monaco durante il vespro, fuma anche il filtro della sigaretta e guarda
lontano, come se davanti a lui ci fosse uno spazio immenso o lo schermo di un
cinema, dove scorrono le immagini di una sala da ballo, gli sguardi di
una storia d’amore. Ruota piano la manovella, cambia disco, accende un’altra
sigaretta, una canzone napoletana: “... Solo una bianca conchiglia con l'eco
del mare che dice all'orecchio sommesso non devi partire ... io parto ma
lascio il mio cuore sul Vomero e a Marechiare ... sognando la notte d'amore che
non tornerà ...”.
Il
vinile gira, l’uomo dei grammofoni alza la puntina d’argento, modifica
l’inclinazione e l’appoggia con scrupolosa cura, poi prende un libro, il
catalogo della mostra dedicata alla sua collezione di grammofoni; nelle prime
pagine una citazione dal Cyrano de Bergerac: “All’apertura della scatola,
trovai dentro un non so che di metallico, quasi in tutto simile ai nostri
orologi, pieno di un numero infinito di piccole molle e congegni
impercettibili. Effettivamente è un libro, ma un libro prodigioso che non ha né
fogli né caratteri. Insomma è un libro dove, per leggere, gli occhi non
servono, ma si ha bisogno solo degli orecchi. Quando qualcuno dunque desidera
leggere, carica, con una gran quantità di ogni specie di chiavi, quella
macchina, poi volge l’ago sul capitolo che desidera ascoltare, e subito escono
da quel congegno come dalla bocca di un uomo, o da uno strumento musicale,
tutti i suoni distinti e differenti che servono, tra i notabili della Luna,
all’espressione del linguaggio.”
La storia che lui non ama raccontare, perché nessuno
sa raccontarla davvero, è appesa alla parete sotto un vetro opaco.“Mehmet
Öztekin costruisce e ripara grammofoni dagli anni Quaranta” si legge
nell’articolo della giornalista Aysel Yasa, apparso il 21 ottobre 2007 sul
mensile Yeni Şafak. “Sono loro - racconta Gramafon Baba - la scatola magica che ha
portato intere orchestre nei salotti delle nostre case, la musica con i
grammofoni è diventata trasportabile, proprio come i testi con l’invenzione
della stampa. Si racconta che alcuni cantanti chiamati per incidere i
primi dischi avessero paura di perdere la voce, temevano che scomparisse tra i
solchi incisi nella gommalacca. L'invenzione di Emil Berliner nel 1887
aprì le porte alla riproducibilità delle registrazioni, fu un grande
passo avanti rispetto al fonografo a cilindri coperti da carta stagnola di
Edison, che a sua volta superava il fonoautografo di Scott del 1857 con
cilindro in vetro trattato nerofumo. Ma chi si ricorda di queste storie?
Nessuno, per questo molti grammofoni sono finiti in soffitta, ma quelli
come me, che sono pochi a dir la verità, combattono ogni giorno per tenerli in
vita, per farli parlare, per ascoltare le storie di amori lontani, di
passioni impossibili, di nostalgie inconsolabili. Vede, questo è un fonografo
del 1904, in questo cassetto ho dei vinili preziosi con brani di Enrico Caruso,
Francesco Tamagno, il primo Otello dell’opera di Verdi, Nellie Melba, un’incisione
dell’attrice Sarah Bernhardt, e qui le foto di cantanti famosi, alcuni
italiani, la Callas, Tajoli, altri turchi come Müzeyyen Senar, Hamiyet
Yüceses. Da bambino pulivo il negozio mentre mio padre aggiustava le
macchine parlanti che poi hanno conquistato il mondo e una parte del mio cuore,
forse una grande parte; posso stare senza vedere mia moglie e i miei figli, ma
non senza i miei grammofoni, non mi allontano mai dal mio negozio per più di
due giorni. Non puoi riparare un grammofono se non lo ami, non capirai mai la
causa profonda del suo male se non hai pazienza, se non provi un immenso
piacere a stare in sua compagnia. Il suono del grammofono è come il sapore di
un pomodoro di cinquant’anni fa, come un dipinto famoso o una meravigliosa
statua, puoi riconoscerli solo se li conosci. La tecnologia non ci aiuta a
conoscere, ci illude di conoscere: un sacco di gente ascolta musica dalla tv,
dal computer, dai telefonini, e vive contenta senza salire mai in soffitta.”
(Grazie
a Ajda Ahu Giray per la preziosa collaborazione nel tradurre le parole di
Mehmet Öztekin)
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