lunedì 1 dicembre 2008

La memoria è polvere sottile

Mi trovavo nella sala di lettura della Marciana a Venezia, circondato da migliaia di libri, alcuni coperti appena dalla polvere, altri confusi tra i riflessi dei vetri, quelli all’ultimo piano assomigliavano a delle tastiere rosse, verdi, marroni.. Da qualche parte avevo letto che tutti quei rettangoli ordinati come finestre di falansteri potevano ricordare i loculi, assiepati uno accanto all’altro, in attesa di qualcuno che li venise a trovare. Già ma quando? E perché? Il libro di Gerhard Jaeger su Alessandro di Afrodisia, o La storia del papiro di Tebe di Douglas Walton sarebbero mai stati cercati da qualcuno? E il manoscritto tradotto da Friedrich Brodinger nel 1932 riguardante il primo esempio di testo chiasmatico della commedia attica, uno strano intreccio fra Le nuvole di Aristofane e L’apologia di Socrate, sarebbe mai stato chiesto alla signora che guardava lo schermo del computer con fissità impiegatizia. Nella biblioteca universale di Borges ogni libro è già stato scritto; nella biblioteca de Il Nome della rosa l’ordine è stato distrutto per sempre, l’incendio ha trasformato la grande libreria in un insieme di frammenti, in un miscuglio di segni. Proprio tu caro Umberto Eco hai scritto: “Soltanto il libro è memoria, perché la carta e non il computer conserva tracce del passaggio umano”. Il libro quindi come paradigma indiziario, come traccia del cammino dell’uomo, come particella induttiva nell’universo del sapere. L’unica? Non credo, e le riflessioni sono molte. Il libro è certamente memoria dell’uomo, ma è in ottima compagnia. Lo sono anche le carte d’archivio su cui ci chiniamo compiendo un viaggio fra i morti: i nostri simili che ci hanno preceduto e hanno vergato quei fogli. Nel loro gesto riconosciamo il nostro e la nostra storia. Lo sono i quadri, questi antichi film in cui recitano attori muti, dove una mano indica un volto, dove un paesaggio evoca un viaggio, dove quell’albero incontra una lancia e forma una croce. Anche la musica è memoria dell’uomo, corda che vibra nel suo paesaggio interiore, nelle intermittenze di uno sguardo, di un mare in tempesta, di un volo di farfalla o del vento improvviso che scompiglia i capelli. “Non il computer conserva tracce del passaggio umano”, dici. Certo non l’impiegata alla quale mi avvicino per chiedere una copia de La carte postale di Derrida. “La carta come?”. Va beh ho capito: non è un problema di memoria. Gli scaffali della Marciana La carte postale non l’hanno mai conosciuta, ma il computer per fortuna se la ricorda: l’indice Opac informa la mia stanca interlocutrice che nel Veneto ce n’è una sola copia all’Archivio Luigi Nono. Allora Umberto come la mettiamo? Solo il libro è memoria? E poi di che memoria parliamo, di una memoria lontana, di una memoria vicina, di una memoria che potrebbe volatilizzarsi. Certo il pulviscolo lucreziano dei bit digitali, che Calvino avrebbe apprezzato, pare inconsistente, instabile come sabbia, ma sei sicuro che i libri, figli degli alberi pronti ad accendersi alla prima fiammella, siano casseforti più sicure del nostro misero sapere, del nostro riscrivere raccontando la storia delle Mille e una notte per illuderci che la nostra storia non abbia mai fine. La memoria non è solo memoria della Storia, ma è anche la memoria degli aliti minimi, dei microcosmi individuali, dei piccoli gesti che compiamo per sfuggire ai nostri limiti, al nostro esserci qui e ora. Un coro di voci diverse che echeggiano nel computer, diventano memoria, non secolare ma sufficiente e relativa ai nostri giorni. Ti sto parlando dei blog, un brutto nome l’avrebbe definito Derrida, un’onomatopea da rigurgito, uno sbocco improvviso, un conato esistenziale, un fraseggio confuso di quello che un individuo ricorda e vuol ricordare a sé stesso e agli altri. Ci sono, esisto, anche se a fatica: Blog. E poi c’è Google, amico Umberto, che ti ricorda per più di un milione di volte, a volte meglio di certe biblioteche in cui mancano i tuoi scritti migliori. La memoria è polvere sottile.

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