lunedì 14 marzo 2011

"Le mie camminate"


"Nelle mie camminate c'era un che di ossessivo, un impeto insaziabile ad aleggiare, a vagare tra gli sconosciuti come un fantasma, e dopo due settimane le strade mi si erano trasformate in entità del tutto personali, in una mappa del mio territorio interiore. In seguito, e per anni, ogni volta che chiudevo gli occhi prima di dormire mi ritrovavo a Dublino. Man mano che la veglia mi sgocciolava via e sprofondavo nella semincoscienza, mi rivedevo in Irlanda a camminare per quelle strade. Non so spiegare il perché. Laggiù mi era accaduto qualcosa di importante, ma non sono mai riuscito a stabilire esattamente cosa. Qualcosa di terribile, credo, qualche incontro ipnotico con il mio abisso, quasi che nella solitudine di quei giorni avessi scrutato nelle tenebre scorgendo per la prima volta me stesso."

"A poco a poco imparai ad improvvisare, mi allenai a difendermi. Negli ultimi due anni alla Columbia andai a caccia di ogni genere di collaborazione saltuaria, prediligendo sempre di più la routine scribacchina con cui avrei tirato a campare fino a trent'anni, e che infine mi avrebbe condotto al disastro. Credo che in questo ci fosse un pizzico di romanticismo, il bisogno di affermarmi come outsider dimostrando che potevo farcela da solo, senza inchinarmi a nessuna idea d'altri su quello che rende buona una vita. La mia vita sarebbe stata buona se, e solo se avessi tenuto duro e mi fossi rifiutato di cedere. L'arte era santa, e seguire il suo richiamo significava compiere qualunque sacrificio mi richiedesse, mantenere la mia purezza di propositi fino in fondo."
Paul Auster, Sbarcare il lunario

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