Caro amico, ci vorrebbe un the caldo seduti al tavolino rotondo di un caffè in piazza Unità a Trieste respirando quell'aria fredda continentale che scende veloce dalle montagne, pulisce tutto, solleva le gonne delle mule e scompiglia i capelli. So che ti manca il tempo di fare quella cosa così banale senza rimproverarti con un "dovrei fare altro". Quando ti fermi a quel tavolino pensi Ma per chi scrivo, recito, suono, dipingo? Ti tornano alla mente le parole di Roger Caillois “In quest’epoca non c’è solo un’inflazione monetaria, ma anche un’inflazione bibliografica. Il valore del libro si è talmente abbassato con questa follia della pubblicazione in serie, in collane, che ormai esso, come la moneta, non ha alcun valore”. E Kundera: “Risme su risme di fogli scritti si accumulano negli archivi, che sono più tristi dei cimiteri, perché non ci entra nessuno nemmeno il giorno dei morti. La cultura scompare nell’abbondanza della sovrapproduzione, nella valanga dei segni, nella follia della quantità.” Si potrebbe dire lo stesso della musica, della fotografia, delle installazioni artistiche, dei film, del teatro. Del teatro no, ce n'è sempre stato poco.
Quando poi ti fermi a pensare capisci che il treno della vita è un treno ad alta velocità, annusi odori, profumi, mangi, leggi tutto sempre più in fretta, e poi vorresti essere un avvocato, un chirurgo, ma anche un giornalista, un viaggiatore, ma anche un romanziere, un casanova, ma anche un eremita, un buddista, un poeta, ma anche un navigatore solitario, un buon padre, un buon marito, un buon amico, un cuoco niente male, uno sportivo e perchè no anche un musicista e un pittore, un diplomatico, anzi no un architetto, ma se poi lo fossi davvero ne saresti felice? O ti mancherebbe sempre qualcosa, quel tavolino dove soffia la bora e passano le mule.
(mula in dialetto triestino significa ragazza)
"Nel blog l'altro può firmare nel tuo testo, esiste uno spazio per chiunque decida di arrivare"
mercoledì 27 luglio 2011
domenica 24 luglio 2011
La rosa
La rosa,
la inmarcesible rosa
que no canto,
la que es peso y fragancia,
la del negro jardín en
la alta noche,
la de cualquier
jardín y cualquier tarde,
la rosa que resurge de la tenue
ceniza por el arte de la alquimia,
la rosa de los persas y de Ariosto,
la que siempre está sola,
la que siempre es la rosa
de las rosas,
la joven flor platónica,
la ardiente y ciega rosa
que no canto,
la rosa inalcanzable.
J.L. Borges, Fervore di Buenos Aires
la inmarcesible rosa
que no canto,
la que es peso y fragancia,
la del negro jardín en
la alta noche,
la de cualquier
jardín y cualquier tarde,
la rosa que resurge de la tenue
ceniza por el arte de la alquimia,
la rosa de los persas y de Ariosto,
la que siempre está sola,
la que siempre es la rosa
de las rosas,
la joven flor platónica,
la ardiente y ciega rosa
que no canto,
la rosa inalcanzable.
J.L. Borges, Fervore di Buenos Aires
sabato 23 luglio 2011
La pagina "perfetta"
"Quando si tratta di qualità dei testi poetici, per non fare danno bisogna essere spietati: questa strofa meglio toglierla, questo finale è sbagliato, perché questo verso finisce qui? la tecnica è tutto, quando si sa che cosa dire o non dire", scrive in un suo recente articolo un noto critico letterario italiano confermando quanto sia diffusa la "superstiziosa etica del lettore" di cui scriveva Borges: "Coloro che sono affetti da tale superstizione intendono per stile non l'efficacia o l'inefficacia di una pagina, bensì le abilità apparenti dello scrittore: i suoi paragoni, la sua acustica, gli episodi della sua punteggiatura e della sua sintassi. Sono indifferenti alla propria convinzione o alla propria emozione: cercano tecnicismi (la parola è di Miguel de Unamuno) che li informeranno se lo scritto ha il diritto o no di essere loro gradito. (...) Costoro non badano all'efficacia del meccanismo, ma alla disposizione delle sue parti. Subordinano l'emozione all'etica, o piuttosto a un'etichetta indiscussa." Borges prosegue con l'esempio del Don Chisciotte, romanzo sopravvissuto alle più improbabili traduzioni perché il suo valore è la storia non certo lo stile. Stile a proposito del quale Arthur Schopenhauer nel Mestiere dello scrittore e dello scrivere afferma: "La prima regola, e forse l'unica, del buono stile è che si abbia qualcosa da dire: con questa regola si va lontano!". Più profondo Cervantes: "Tutto quello che occorre all'autore, in ciò che andrà scrivendo, è il gusto di rappresentare le cose; più questo sarà perfetto, e migliore risulterà ciò che ha scritto." "La pagina 'perfetta', la pagina in cui nessuna parola può essere alterata senza danno - continua Borges - è la più precaria di tutte. I mutamenti del linguaggio cancellano i sensi secondari e le sfumature; la pagina 'perfetta' è quella appunto che poggia su tali delicati valori. Al contrario, la pagina che ha vocazione di immortalità può attraversare il fuoco dei refusi, delle versioni approssimative, delle letture distratte, delle incomprensioni, senza lasciare l'anima nella prova." Sarebbe davvero interessante leggere i romanzi e libri di poesie promossi dalla odierna grancassa del capolavoro con gli occhiali di Borges, il quale aggiunge: "Lo sbaglio preferito della letteratura di oggi è l'enfasi. Parole definitive, parole che postulano sapienze divinatorie o angeliche o decisioni di una più che umana fermezza - unico, mai, sempre, tutto, perfezione, rifinito - appartengono al commercio abituale di tutti gli scrittori. Non pensano che dire qualcosa un po' troppo è tanto inabile quanto non dirlo interamente, e che la sbadata generalizzazione e intensificazione non è che una povertà, e che così la sente il lettore."
venerdì 22 luglio 2011
Echi
Alcuni temi echeggiano nelle opere dei grandi autori del passato dei quali non conosciamo le opere originali ma solo copie di copie (sul tema l'interessantissimo e chiaro Copisti e filologi di Leighton D. Reynolds e Nigel G. Wilson).
Entrano negli stessi fiumi, ma acque sempre diverse scorrono verso loro.
Eraclito (535-475 a.c.) Arius Didymus ap. Eus Praep. ev. 15 20,2
Tutto scorre, e ogni fenomeno ha forme errabonde. Anche il tempo fila via con moto incessante, non diversamente dal fiume: e infatti, come il fiume, neppure l'ora fuggevole può fermarsi, bensì come l'onda è sospinta dall'onda e quella che arriva è premuta e insieme preme quella quella che l'ha preceduta, così gli attimi fuggono e insieme inseguono, e sono sempre nuovi: quello che è stato si perde, quello che non era diviene, ed è tutto un continuo rinnovarsi.
Ovidio (43-17 a.C) Metamorfosi L. XV 178-185
I confini dell'anima, per quanto lontano tu vada, non li scoprirai, neanche se percorri tutte le vie: così profondamente si dispiega.
Eraclito, Diogenes Laertius 9,7
Lo spirito vaga e da lì viene qui e da qui va lì e s'infila in qualsiasi corpo, e dagli animali passa nei corpi umani e da noi negli animali, mai si consuma.
Ovidio, Metamorfosi, L. XV 165-168
Entrano negli stessi fiumi, ma acque sempre diverse scorrono verso loro.
Eraclito (535-475 a.c.) Arius Didymus ap. Eus Praep. ev. 15 20,2
Tutto scorre, e ogni fenomeno ha forme errabonde. Anche il tempo fila via con moto incessante, non diversamente dal fiume: e infatti, come il fiume, neppure l'ora fuggevole può fermarsi, bensì come l'onda è sospinta dall'onda e quella che arriva è premuta e insieme preme quella quella che l'ha preceduta, così gli attimi fuggono e insieme inseguono, e sono sempre nuovi: quello che è stato si perde, quello che non era diviene, ed è tutto un continuo rinnovarsi.
Ovidio (43-17 a.C) Metamorfosi L. XV 178-185
I confini dell'anima, per quanto lontano tu vada, non li scoprirai, neanche se percorri tutte le vie: così profondamente si dispiega.
Eraclito, Diogenes Laertius 9,7
Lo spirito vaga e da lì viene qui e da qui va lì e s'infila in qualsiasi corpo, e dagli animali passa nei corpi umani e da noi negli animali, mai si consuma.
Ovidio, Metamorfosi, L. XV 165-168
martedì 19 luglio 2011
Strada sconosciuta
(...) Solo dopo pensai
che quella strada della sera era estranea,
che ogni casa è un cadelabro
dove le vite degli uomini ardono
come candele isolate (...)
Jorge Luis Borges, Fervore di Buenos Aires
che quella strada della sera era estranea,
che ogni casa è un cadelabro
dove le vite degli uomini ardono
come candele isolate (...)
Jorge Luis Borges, Fervore di Buenos Aires
sabato 16 luglio 2011
Sirene
Esterno, notte. Piove con forza. Due amici, una birra, un mojito, e quei cento metri, nel buio, a due passi da loro. In cima alla collina una chiesa illuminata. Parlano di sirene.
- Nell'Odissea Omero non le descrive mai fisicamente, ma dice che dalle loro labbra esce una voce soave che abbellisce, arricchisce la mente. È Circe che mette in guardia Ulisse dalle "argute labbra" delle sirene il cui canto impedisce a chi lo ascolta di tornare a casa, dalla sposa fedele e dai figli. Rapiti dai loro canti i naviganti si schiantano contro un'alta scogliera. Per questo Circe suggerisce ad Ulisse di turarsi le orecchie con la cera in modo che non vi possa penetrar la loro voce. Per Ovidio sono esseri metà donna e metà uccello, nelle Metamorfosi hanno "penne e zampe d'uccelli", "visi di fanciulle", "arti dorati da penne".
- E Orfeo che dalla nave degli argonauti canta più dolcemente di loro, le sirene precipitano in mare e si trasformano in rocce perché la loro punizione è la morte se non riescono a incantare i viaggiatori. Lo racconta Apollonio Rodio nelle Argonautiche.
- Anche la Sfinge precipitò dall'alto quando il suo enigma venne indovinato.
- Ma qual è secondo te l'origine della parola sirena?
- L'origine non è chiara, il greco seiren forse deriva dal verbo eiro che vuol anche dire annunziare, raccontare, narrare
- E c'è un momento in cui da semiuccelli si trasformano in semipesci?
- Probabilmente nel Medioevo con il diffondersi dei bestiari e del Liber Monstrorum nel quale l'autore le rappresenta come "fanciulle marine che perdono i naviganti con le loro grazie e con la dolcezza del loro canto, hanno natura mista di vergine e di pesce."
- Questa mescolanza di caratteristiche umane e animali che si ritrova in molte immagini della pittura e in diversi miti del mondo greco, Minotauro, Centauro, Arpie, ma anche di altre culture, quella egizia, quella indiana, e anche nelle rafffigurazioni di angeli e diavoli, esseri alati i primi, alati e con teste, code e artigli animaleschi i secondi. Che significa, cosa mostrano i mostri?
- Domanda impegnativa, continua a piovere, forse è meglio che ce ne andiamo. Mi vengono in mente diverse parole: sogno, paura, inconscio, differenza, composizione, insufficienza, vertigine, trasgressione, oscurità, disordine, natura, mistero, incontro, magia, fantastico, perturbante, inferno, collegamento, altrove, mistero, unione.
- Forse non c'entra nulla, ma la tua parola unione mi fa pensare al mito dell'androgino nel Simposio di Platone, "l'androgino era il terzo genere umano "composto dal maschile e dal femminile così nel nome come nell'aspetto reale". E senti come descrive l'uomo: "La figura di ogni uomo era tutta rotonda, con dorso e fianchi in cerchio, quattro mani e lo stesso numero di gambe, e due volti, in tutto eguali, su un collo cilindrico; e con una sola testa per entrambi i visi rivolti in senso contrario, e quattro orecchie, e due genitali, e tutto il resto come si potrebbe figurare in conseguenza. E camminava pure eretta come ora, in quel dei due sensi preferisse; e quando voleva prender la rincorsa, come i saltimbanchi volteggiano in cerchio facendo girare in aria le gambe, così essi, appoggiandosi sulle otto membra che avevano, avanzavano rapidamente ruotando". Platone dice che avevano questo aspetto circolare perché il maschile aveva avuto origine dal sole, il femminile dalla terra e l'androgino dalla luna che partecipa di entrambi.
- Caro amico i racconti e quelli che raccontano son come le sirene, vogliono farsi ascoltare e portarci dove voglion loro, e se non ci riescono la loro voce si spegne. Possiamo ascoltarli o, come Ulisse, turarci le orecchie con la cera. Andiamo che ha smesso di piovere.
- Nell'Odissea Omero non le descrive mai fisicamente, ma dice che dalle loro labbra esce una voce soave che abbellisce, arricchisce la mente. È Circe che mette in guardia Ulisse dalle "argute labbra" delle sirene il cui canto impedisce a chi lo ascolta di tornare a casa, dalla sposa fedele e dai figli. Rapiti dai loro canti i naviganti si schiantano contro un'alta scogliera. Per questo Circe suggerisce ad Ulisse di turarsi le orecchie con la cera in modo che non vi possa penetrar la loro voce. Per Ovidio sono esseri metà donna e metà uccello, nelle Metamorfosi hanno "penne e zampe d'uccelli", "visi di fanciulle", "arti dorati da penne".
- E Orfeo che dalla nave degli argonauti canta più dolcemente di loro, le sirene precipitano in mare e si trasformano in rocce perché la loro punizione è la morte se non riescono a incantare i viaggiatori. Lo racconta Apollonio Rodio nelle Argonautiche.
- Anche la Sfinge precipitò dall'alto quando il suo enigma venne indovinato.
- Ma qual è secondo te l'origine della parola sirena?
- L'origine non è chiara, il greco seiren forse deriva dal verbo eiro che vuol anche dire annunziare, raccontare, narrare
- E c'è un momento in cui da semiuccelli si trasformano in semipesci?
- Probabilmente nel Medioevo con il diffondersi dei bestiari e del Liber Monstrorum nel quale l'autore le rappresenta come "fanciulle marine che perdono i naviganti con le loro grazie e con la dolcezza del loro canto, hanno natura mista di vergine e di pesce."
- Questa mescolanza di caratteristiche umane e animali che si ritrova in molte immagini della pittura e in diversi miti del mondo greco, Minotauro, Centauro, Arpie, ma anche di altre culture, quella egizia, quella indiana, e anche nelle rafffigurazioni di angeli e diavoli, esseri alati i primi, alati e con teste, code e artigli animaleschi i secondi. Che significa, cosa mostrano i mostri?
- Domanda impegnativa, continua a piovere, forse è meglio che ce ne andiamo. Mi vengono in mente diverse parole: sogno, paura, inconscio, differenza, composizione, insufficienza, vertigine, trasgressione, oscurità, disordine, natura, mistero, incontro, magia, fantastico, perturbante, inferno, collegamento, altrove, mistero, unione.
- Forse non c'entra nulla, ma la tua parola unione mi fa pensare al mito dell'androgino nel Simposio di Platone, "l'androgino era il terzo genere umano "composto dal maschile e dal femminile così nel nome come nell'aspetto reale". E senti come descrive l'uomo: "La figura di ogni uomo era tutta rotonda, con dorso e fianchi in cerchio, quattro mani e lo stesso numero di gambe, e due volti, in tutto eguali, su un collo cilindrico; e con una sola testa per entrambi i visi rivolti in senso contrario, e quattro orecchie, e due genitali, e tutto il resto come si potrebbe figurare in conseguenza. E camminava pure eretta come ora, in quel dei due sensi preferisse; e quando voleva prender la rincorsa, come i saltimbanchi volteggiano in cerchio facendo girare in aria le gambe, così essi, appoggiandosi sulle otto membra che avevano, avanzavano rapidamente ruotando". Platone dice che avevano questo aspetto circolare perché il maschile aveva avuto origine dal sole, il femminile dalla terra e l'androgino dalla luna che partecipa di entrambi.
- Caro amico i racconti e quelli che raccontano son come le sirene, vogliono farsi ascoltare e portarci dove voglion loro, e se non ci riescono la loro voce si spegne. Possiamo ascoltarli o, come Ulisse, turarci le orecchie con la cera. Andiamo che ha smesso di piovere.
Umanesimo del quadrivio e modernità
Lunedì 11 luglio Apertura del corso: Pierre Caye (CNRS), Introduzione al corso: Annarita Angelini (Università di Bologna), Mariangela Regoliosi (Università di Firenze) Lorenzo Valla filosofo, Gian Mario Anselmi (Università di Bologna – Centro Studi sul Rinascimento) Lorenzo Valla storico , Francesco Furlan (CNRS) Alberti teorico delle scienze, teorico delle arti, Frédéric Vengeon (CIPh/CNRS) L'artificialità del mondo umano in Nicola Cusano. Martedì 12 luglio Veteris vestigia flammae. Pier Daniele Napolitani (Università di Pisa) Archimede nel Rinascimento Michela Malpangotto (Observatoire de Paris) Euclide tra Quattro e Cinquecento, Pierre Caye (CNRS) La questione della tecnica e la tradizione vitruviana, Simonetta Bassi (Università di Pisa) La rinascita del lullismo, Franco Bacchelli (Università di Bologna) La ripresa di Lucrezio. Mercoledì 13 luglio – Villa Gandolfi-Pallavicini - Architetture del sapere. Andrea Severi e Gian Mario Anselmi (Università di Bologna) Il commento umanistico, Walter Tega (Università di Bologna) Giorgio Valla, Poliziano e l'enciclopedia umanistica, Michel Blay (CNRS) La trasformazione del sapere nei secoli XVI-XVII (1550-1650). Un nuovo modo di pensare l’infinito, Romano Nanni (Vinci, Biblioteca Leonardiana) Quadrivium e artes mechanicae: il caso di Leonardo tra Quattro e Cinquecento , Martine Groult (CNRS) Arte, scienza e filosofia attraverso il prisma della classificazione moderna. Giovedì 14 luglio – Villa Gandolfi-Pallavicini - Eco e Narciso. Paolo Gozza (Università di Bologna) L'immaginario sonoro, Florence Malhomme (Université Paris IV) La musica nell'umanesimo del Quadrivio tra scienza e arte, Giovanni Matteucci (Università di Bologna) L'immagine senza testo nell'età moderna, Elisabetta Scapparone (Università di Bologna) Tra filosofia naturale e magia, Thierry Gontier (Université de Lyon III), Dalla noetica aristotelica all'Umanesimo: il De immortalitate animae di Pomponazzi. Venerdì 15 luglio – Palazzo Poggi – Museo e Sala di Ulisse - La scienza dell’arte . Bruno Pinchard (Université de Lyon III) Sogno di Polifilo o sogni bizzarri? Rabelais alla scuola di Polifilo, Fulvio Simoni (Università di Bologna) L'anatomia e le arti del disegno , Lucia Corrain (Università di Bologna) Scienza e pittura – pittura e scienza: gli artisti e le arti di Ulisse Aldrovandi , Daniel Dauvois (C.N.R.S./G.E.M.R.) Dal disegno al dessein. Presenza delle scienze e reticenze delle arti. Sabato 16 luglio – Villa Gandolfi-Pallavicini - L’arte della scienza. Stefania Bonfiglioli (Università di Bologna) I linguaggi del simbolo. Mariassunta Picardi (Università di Cosenza) Geroglifici della natura e simbolismo magico in John Dee , Alessandra Sorci (Università di Roma 3) Piero della Francesca e la prospettiva Rinascimentale, Rossella Lupacchini (Università di Bologna) Azzardo, congettura, probabilità in Cardano .
Bologna, Villa Gandolfi Pallavicini.
Bologna, Villa Gandolfi Pallavicini.
martedì 12 luglio 2011
Autori
Se volessi mettermi a seguire le opinioni e congetture altrui, si aprirebbe un campo sconfinato di cose così incerte e diverse fra loro che è veramente una mostruosità tanta discordia e licenza degli scrittori. Infinita è infatti la diversità degli ingegni e nessuno tiene a freno l'audacia di nuove proposte (...) Del resto le cose stesse sono tali da ammettere sensi molteplici e vari, che, purché siano veri e la lettera li consenta, se anche forse non siano mai venuti in mente a coloro che quelle favole hanno scritto, non saranno da respingere. Giacché in tanta perplessità chi se la sentirebbe di vaticinare la verità insita in qualsivoglia cosa accuratemente occultata affermando senza esitazione che mille anni fa gli autori intendessero proprio questo e non altro?
Petrarca, Sen. IV, 5, 7-9
We can easily imagine a culture where discourse would circulate without any need for an author. Discourses, whatever their status, form or value, and regardless of our manner of handling them, would unfold in a pervasive anonymity. No longer the tiresome repetitions:
"Who is the real author?"
"Have we proof of his authenticity and originality?"
"What has he revealed of his most profound self in his language?"
New question will be heard:
"What are the modes of existence of this discourse?"
"Where does it come from; how is it circulated; who controls it?"
"What placements are determined for possible subject?"
Behind all these questions we would hear little more than the murmur of indifference:
"What matter who's speaking?"
Michel Foucault, What is an author?
Da notare che imitazione non significa mancanza di autenticità, perché l'individuo non può non imitare ciò che è già stato; per quanto sincero egli è, è solo una reincarnazione; per quanto schietto, è soltanto il risultato delle suggestioni e delle ingiunzioni che gli pervengono dal pozzo del passato.
Milan Kundera, I testamenti traditi
Se le pagine di questo libro consentono
qualche verso felice, mi perdoni il lettore
la scortesia di averle usurpate io,
previamente. I nostri nulla differiscono
di poco; è banale e fortuita la circostanza
che sia tu il lettore di questi
esercizi, ed io il loro estensore.
J.L. Borges, Fervore di Buenos Aires
Petrarca, Sen. IV, 5, 7-9
We can easily imagine a culture where discourse would circulate without any need for an author. Discourses, whatever their status, form or value, and regardless of our manner of handling them, would unfold in a pervasive anonymity. No longer the tiresome repetitions:
"Who is the real author?"
"Have we proof of his authenticity and originality?"
"What has he revealed of his most profound self in his language?"
New question will be heard:
"What are the modes of existence of this discourse?"
"Where does it come from; how is it circulated; who controls it?"
"What placements are determined for possible subject?"
Behind all these questions we would hear little more than the murmur of indifference:
"What matter who's speaking?"
Michel Foucault, What is an author?
Da notare che imitazione non significa mancanza di autenticità, perché l'individuo non può non imitare ciò che è già stato; per quanto sincero egli è, è solo una reincarnazione; per quanto schietto, è soltanto il risultato delle suggestioni e delle ingiunzioni che gli pervengono dal pozzo del passato.
Milan Kundera, I testamenti traditi
Se le pagine di questo libro consentono
qualche verso felice, mi perdoni il lettore
la scortesia di averle usurpate io,
previamente. I nostri nulla differiscono
di poco; è banale e fortuita la circostanza
che sia tu il lettore di questi
esercizi, ed io il loro estensore.
J.L. Borges, Fervore di Buenos Aires
domenica 10 luglio 2011
E l'amore
(...)E l’amore che pensi aver avuto
Come un feudo per te, senza scadenza,
Potresti averlo già tutto perduto
E continui a guardare, in ogni sguardo
Ogni viso che passa, ogni tramonto
Per vedere se dietro c’è qualcosa
Quella cosa che cerchi, quella rosa
Lì sospesa nel vuoto senza appigli (...)
Riccardo Held, Di qua del mondo, di là del mondo
Come un feudo per te, senza scadenza,
Potresti averlo già tutto perduto
E continui a guardare, in ogni sguardo
Ogni viso che passa, ogni tramonto
Per vedere se dietro c’è qualcosa
Quella cosa che cerchi, quella rosa
Lì sospesa nel vuoto senza appigli (...)
Riccardo Held, Di qua del mondo, di là del mondo
sabato 9 luglio 2011
I quaderni di Malte
"Oh, ma con i versi si fa ben poco, quando li si scrive troppo presto. Bisognerebbe aspettare e raccogliere senso e dolcezza per tutta una vita e meglio una lunga vita, e poi, proprio alla fine, forse si riuscirebbe poi a scrivere dieci righe che fossero buone. Poiché i versi non sono, come crede la gente, sentimenti (che si hanno già presto), sono esperienze. Per un solo verso si devono conoscere gli animali, si deve sentire come gli uccelli volano, e sapere i gesti con cui i fiori si schiudono al mattino. Si deve poter ripensare a sentieri in regioni sconosciute, a incontri inaspettati e a separazioni che si videro venire da lungi, a giorni d'infanzia che sono ancora inesplicati, ai genitori che eravamo costretti a mortificare quando ci porgevano una gioia e non la capivamo (era una gioia per altri), a malattie dell'infanzia che cominciavano in modo così strano con tante trasformazioni così profonde e gravi, a giorni in camere silenziose, raccolte, e a mattine sul mare, al mare, a mari, a notti di viaggio che passavano alte rumoreggianti e volavano con tutte le stelle, e non basta ancora poter pensare a tutto ciò. Si devono avere ricordi di molte notti d'amore, nessuna uguale all'altra, di grida di partorienti, e di lievi e bianche puerpere addormentate che si richiudono. Ma anche presso i moribondi si deve essere stati, si deve essere rimasti presso i morti nella camera con la finestra aperta e i rumori che giungono a folate. E anche avere ricordi non basta. Si deve poterli dimenticare, quando sono molti, e si deve avere la grande pazienza di aspettare che ritornino. Poiché i ricordi di per sé stessi ancora non sono. Solo quando divengono in noi sangue, sguardo e gesto, senza nome e non più scindibili da noi, solo allora può darsi che in una rarissima ora sorga nel loro centro e ne esca la prima parola di un verso. Tutti i miei versi però sono nati diversamente, dunque non sono affatto versi."
"Ancora per un poco posso scrivere e dire tutto. Ma verrà il giorno in cui la mia mano sarà lontana da me, e quando le ordinerò di scrivere, scriverà parole che non volevo. Spunterà il tempo della spiegazione altra, e non resterà più una parola sull'altra, e ogni senso si dissolverà come le nuvole e ricadrà come acqua. Con tutta la mia paura io sono però, in fondo, come uno che sta dinanzi a qualcosa di grande, e ricordo che già prima una sensazione simile era in me, prima che cominciassi a scrivere. Ma questa volta io sarò scritto. Io sono l'impressione che si trasformerà."
Rilke, I quaderni di Malte Laurids Brigge
"Ancora per un poco posso scrivere e dire tutto. Ma verrà il giorno in cui la mia mano sarà lontana da me, e quando le ordinerò di scrivere, scriverà parole che non volevo. Spunterà il tempo della spiegazione altra, e non resterà più una parola sull'altra, e ogni senso si dissolverà come le nuvole e ricadrà come acqua. Con tutta la mia paura io sono però, in fondo, come uno che sta dinanzi a qualcosa di grande, e ricordo che già prima una sensazione simile era in me, prima che cominciassi a scrivere. Ma questa volta io sarò scritto. Io sono l'impressione che si trasformerà."
Rilke, I quaderni di Malte Laurids Brigge
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