martedì 31 marzo 2015

Mira Cuba!


Cono! Donde le buscaste? Estas cosas son cosas muy raras! (Cavoli! Ma dove li hai trovati? Sono pezzi molto rari!). Quando gli chiesero dove aveva trovato quei manifesti, che anche per loro era difficilissimo trovare, Luigino Bardellotto, cinquant’anni appena compiuti, una vita fra Veneto e Friuli, capì di essere diventato per metà cubano.
“La prima volta ci sono andato nel 1998. In quel periodo leggevo molto Hemingway, che a pochi chilometri dall’Avana negli anni Quaranta comprò la Finca Vigia, la casa in cui scrisse Per chi suona la campana e Il vecchio e il mare. È un posto straordinario con quella torretta che guarda il mare ... Quella volta girai dappertutto e mi accorsi che mancava tutto, in particolare le medicine. Fu così che iniziai a collaborare con l’ospedale pediatrico di Remedios portando valigie di farmaci dall’Italia.
Poi ci sono tornato sempre più spesso, volevo capire la storia di quel paese che con le sue contraddizioni e i suoi segreti ha attirato scrittori come Vargas Llosa, Galeano, Marquez,  Paco Taibo II, Benedetti.
Un pomeriggio, era l’agosto del 2005, entro in una libreria dell’Habana vieja e li vedo, i manifesti, i cartel appesi alle pareti che parlano di cinema, di politica, di solidarietà, con uno stile unico, un mix di pop art, dada, avanguardia russa, espressionismo tedesco. M’innamoro e scelgo Hasta La victoria siempre di Niko, il Clik di Felix Beltran, il Che di Olivio Martinez e il Fantomas di Bachs.”
La chiacchierata con Luigino, berretto da marinaio e faccia da viaggiatore solitario,  prosegue fra un piatto di canestrelli e un bianco, in una trattoria all’ombra del campanile di Noventa di Piave. Si parla anche del film Ritorno all’Avana, di un paese che è riuscito a dire No agli Stati Uniti e per questo No paga un prezzo altissimo: l’embargo comprende i farmaci antitumorali pediatrici, le cui licenze sono americane; l’Onu si è pronunciata più volte contro questa vergogna ma inutilmente.
 “Ho trascorso ore seduto sui sillon, le sedie a dondolo cubane, a chiacchierare con i grafici per capirne di più dei cartel che raccontano la storia di Cuba dal 1959, l’ anno della rivoluzione, ai giorni nostri. Ho incontrato persone straordinarie che mi hanno accolto come dei veri amici e raccontato i momenti difficili delle loro vite e del loro lavoro di artigiani dell'imperfezione (1). In otto anni con il loro insostituibile aiuto sono riuscito a raccogliere tutte le pubblicazioni sull’argomento e più di mille manifesti.” 
Alla fine del 2013 Luigino Bardellotto, insieme ai curatori Simona Biolcati e Ivo Boscariol, organizza in collaborazione con l’Assessorato alla cultura di Pordenone la mostra Mira Cuba! L’arte del manifesto cubano dal 1959, (catalogo Silvana Editoriale pp. 256) che espone 220 cartel e in tre mesi richiama più di novemila persone.

(1) “Si potrebbe perciò dire  - scrive Sara Vega Miche - che ogni manifesto ha la sua storia tecnica, la sua peculiarità visuale, le sue virtù e i suoi difetti. Quando vengono commercializzati, molti non notano tanti dettagli che sono avvertiti soltanto da questi “artigiani dell’imperfezione”. A quanto racconta Rafael Morante, ‘ci fu un momento in cui tutto cominciò a scarseggiare: la pittura per far lavorare i pittori, la carta colorata, gli inchiostri da stampa, e spesso perfino la carta. A volte uno degli stampatori di manifesti, per me il più importante, Eliadio Rivadulla, grafico e pittore lui stesso, che stampava i manifesti dell’ICAIC, arrivava e mi diceva: ‘Gli inchiostri che ho oggi sono il rosa e il marrone’. Ma un giorno accadde la vera catastrofe. Non c’era la carta e Rivadulla ebbe un’idea geniale per risolvere il problema: andò nella redazione di un giornale, credo El Mundo, e comprò copie arretrate invendute; io realizzai uno schizzo che si armonizzava con quella carta da giornale, utilizzando ciò che era già stampato come un ulteriore elemento del progetto. Il risultato fu un affiche strana, perché, siccome un giornale ha numerose pagine, un manifesto veniva stampato sulla seconda pagina e un altro sulla pagina cinque o sulla pagina otto, e alcuni avevano fotografie e altri no, alcuni erano stampati sui necrologi e altri sulla pagina dello sport. Il film in questione era Un maledetto imbroglio, di Pietro Germi. Qualche tempo dopo dovetti farne uno per il quale utilizzai volontariamente questa risorsa: Muerte al invasor di Tomás Gutiérrez Alea. Qualche tempo dopo dovetti farne uno per il quale utilizzai volontariamente questa risorsa: Muerte al invasor di Tomás Gutiérrez Alea. Dal canto suo, Antonio Fernández Reboiro ricorda che per il manifesto di Harakiri il rosso venne fatto con farina di mais e tintura di mercurocromo, quella che si usava come antisettico per le ferite.”
(Sara Vega Miche, Manifesti cubani: senso e sensibilità, in L’arte del manifesto cubano dal 1959, Silvana editoriale, Pordenone, 2013)

Altre notizie in Il mio amore per Cuba  e Cartel Cubano da cui è tratta la foto


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