lunedì 3 giugno 2013

La grande bellezza e l’ombelicopatia


Alcune scene a memoria: un colpo di cannone, feste tristi sulle terrazze Roma, una ragazzina che si perde nel tempietto del Bramante, la mostra di un artista che espone migliaia di autiritratti, uno per ogni giorno della sua vita, l’arresto di un mafioso che dice Siamo noi che governiamo questo paese, una bambina che dipinge un grande quadro astratto lanciando  barattoli di vernice e piangendo, una donna nuda che prende la rincorsa e sbatte la testa contro il muro, un mago che fa sparire una giraffa, il funerale di un artista suicida.
Di grande bellezza gli abiti del protagonista Jep Gambardella interpretato da Toni Servillo. Un abito da sera blu, che Jep indossa mentre passeggia all’alba, un completo bianco, giacche giallo limone, arancio vivo a quadri, bordeaux intenso, fantasia Principe di Galles ecc. A pensarci bene il film potrebbe essere un trucco, come dice il protagonista nel finale, forse è solo uno spot riuscito della Sartoria Attolini di Napoli, e anche dell’Ente tabacchi italiano. Servillo Jep, autore di un solo romanzo in vita sua, fuma in continuazione, tanto da far venir voglia di fumare anche a chi non ha mai fumato. Ma veniamo alla storia che vorrebbe, forse, farci riflettere sulla Bellezza, sul Tempo, sul Nulla. Sorrentino cita e rinvia a Proust e a Flaubert nei dialoghi, testi che perdono la gara con la fotografia, questa sì straordinaria. Cosa c’è che non va? L’ombelicopatia. Sorrentino rappresenta il mondo che ha frequentato, artisti, attori e scrittori che sognano di diventare famosi e acclamati, ma che la capitale ha spinto ai margini, e che disperatamente si aggrappano all’illusione di quel che non sono. Torna alla mente La Terrazza di Scola, che nel 1980 a Cannes vinse il premio per la miglior sceneggiatura e per la miglior attrice non protagonista, Carla Gravina. L’apparizione di una suora di centoquattro anni, deus ex machina che proclama: La povertà va vissuta non raccontata, è una grigia didascalia alle inconsistenti riunioni degli amici di Jep. Il tempo passa è vero, è inganno, a volte nulla, anche al cinema. Il segreto è  suggerirlo non sottolinearlo a ogni passo. Spiazzante il cameo di Verdone che interpreta uno scrittore fallito: dopo quarant’anni di illusioni torna dai genitori a Nepi. Bravo Servillo che emoziona davvero quando scoppia a piangere durante un funerale, meno quando rimembra il primo amore. E la trama? Già la trama.

4 commenti:

  1. Visto proprio ieri sera... Sto ancora rielaborando i pensieri e le emozioni che mi ha suscitato. A caldo dico, che non ha una trama scontata... forse è un po' saturo, caotico nell'intento di ficcare dentro ad ogni costo tutte le luci ed ombre della vita di una generazione al tramonto e allo sbando, con dei figli che ne rispecchiano le conseguenze (dalla spogliarellista, al poeta psicotico suicida, alla piccola pittrice che piange rabbiosa).
    Sembra un viaggio su un'altalena di fragili illusioni e disillusioni rinfrancate solo da alcuni sporadici sprazzi di eterea bellezza "spirituale" e/o legata al ricordo di ciò che non c'è più... Impietosa alla fine la resa dei conti...
    Chiara

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  2. Visto anch'io ieri sera. La forza di questo film è propio quella di essere un "non racconto", non una storia che inizia, si sviluppa e termina su un canovaccio apparentemente logico, ma un insieme di momenti, illusioni, tristezze, stupori, fatiche, fantasie... come forse ci apparirà la vita sul tramonto

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  3. ma perchè il divo ha una trama? this must be the place ha una trama?
    se si segue il cinema di sorrentino dall'inizio si dovrebbe aver capito che dall'uomo in più in poi l'idea di sorrentino è quella di un divincolarsi dal racconto per portare emozioni e idee allo spettatore sulla base dell'immagine e della forza dei personaggi.

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  4. revival deludente di 8 e 1/2

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