mercoledì 7 settembre 2011

Diario marocchino - Fes



Fes è uno scrigno che contiene dentro di sé mille strade e mille sguardi, ma sopra ogni cosa, ogni the alla menta, ogni saluto, c’è un signore che non ha un volto ma 99 nomi: Allah, Rafi, Latif, Nur... Tutto rimanda a dio, qui religione e vita sono una cosa sola, non c’è spazio per il dialogo socratico né per lo spirito illuministico, è le bon dieu che ha già deciso quel puoi e non puoi fare, quel che accadrà. Le Matin, uno dei quotidiani del Marocco, dedica ogni giorno un’intera pagina al Ramadan, il mese sacro. In quella di oggi sono riportati anche gli orari delle preghiere e un hadith (precetto): “Chi per dimenticanza mangia o beve deve continuare a digiunare perché è dio che ha deciso che lui abbia mangiato o bevuto”. Una delle espressioni usate più frequentemente nei dialoghi è Insciallah, “se dio vuole”, ma anche “dio sia con te”; che Allah sia presente anche nelle formule di saluto hello, hallo, Holà? La fede di questa gente è contagiosa, invita a parteciparvi e nello stesso tempo non ci appartiene. La medina di Fes è la metafora dello scrigno, di questa religione segreta non perché siano segreti i testi cui si ispira, ma perché privato, personale, segreto, impenetrabile, è il rapporto che ogni musulmano ha con dio, un rapporto che impregna e guida e spiega ogni gesto della sua vita. Un dio così segreto da essere irrapresentabile. La medina è una metafora di questo scrigno con le mille botteghe che contengono spazi che non immagineresti, terrazze che si aprono su panorami inattesi. Segrete sono le parole in arabo che non capisci e le mille vite che ti passano accanto e che non conoscerai mai, i mille poveri che farai finta di non vedere o che fotografi perché ti sembra che anche loro abbiano un segreto, loro ti raccontano che si può vivere con niente, tendendo una mano, cosa che tu non faresti, non la faresti mai una vita da niente, perché ti sfugge il segreto, anzi no, un po’ lo intuisci, il vero piacere non sta in quanto puoi avere ma nel godere di quel niente, di quel nulla che non è nulla ma acquista grandezza nella mancanza, nell’assenza. Come quando rinunci a mangiare pur avendo fame o a bere pur essendo assetato, prova a resistere anche solo quattro ore e poi qualsiasi cosa ti sembrerà la migliore che tu abbia mai mangiato o bevuto. I poveri che tendono la mano ti raccontano la fiaba di quel niente che può trasformarsi in fiore profumato, in una focaccia calda, in un the alla menta, in un sorriso. Sono cose da niente?
La medina ti racconta anche il segreto di tante strade, di tanti vicoli, e porte che non scoprirai eppure vorresti. Le strade che non percorri sono scrigni che restano chiusi La medina è la metafora di un mistero, di quel qualcosa di cui non potrai dire, di quel qualcosa che si nasconde dietro altre porte che stanno nascoste dietro quelle che vedi. Mentre passeggi nello scrigno della medina sei inseguito dalle domande, domande di carità per vivere o sopravvivere, in questo senso sono domande essenziali: Dirham, Dirham, sussurra il poveraccio all’angolo; Vuole comprare un tappeto dice sorridente un commerciante. Indimenticabile quello che salì con i piedi sulla teiera per dimostrare che era robusta e che il prezzo era regalato. Gentile il gioane che aveva messo da parte l’obiettivo dimenticato della macchina fotografica. Sgarbato il venditore che dopo averci fatto salire sulla terrazza da cui si vedevano i conciatori ci ha obbligati a comprare una borsa.
Serve una guida? Taxi? Un piccolo specchio? In somma : mi dai da mangiare? O anche: tu che sei uno che ha più di me perché non mi aiuti? Ci sono anche altre domande che stanno sullo sfondo di molti dialoghi in cui in modo beneaugurante ricorre il nome di Allah: Come mai non capisci che questa è la strada da seguire, Perché non diventi mussulmano, pensaci non c’è una buona ragione per non diventarlo. Viene in mente la guida del mausoleo di Moulay Ismail a Meknes che davanti ad una fontana mostrava le abluzioni che devono precedere la preghiera, al di là delle parole che spiegavano il susseguirsi e il significato dei diversi gesti, i suoi occhi dicevano Purificati anche tu, Prega Allah insieme a noi. Non puoi sfuggire al religioso in Marocco. Allah era presente anche nel riad che ci ospitava, il suo nome, Baraka, che in italiano rimanda a una poco rassicurante costruzione, in arabo significa energia spirituale, l’energia che si sprigiona nelle preghiere. Il riad Baraka, come molte altre costruzioni, non annunciava la sua architettura dall’esterno, un esterno anonimo se non fosse per due piante ornamentali ai lati dell’ingresso. Ma una volta varcata la soglia mostrava i colori rossi e marroni della sala del the, i colori più chiari delle zelliges, le piastrelle colorate che compongono motivi geometrici e floreali, e delle fontane intorno alla piscina costruita come un impluvium romano, con l’apertura che permette al cielo azzurro chiaro di specchiarsi nell’acqua, e poi tante porte e piccole scale. Come non pensare a una fiaba delle Mille e una notte raccontata dopo il tramonto. In una di quelle stanze, la sera prima di partire, una figura bianca si alzava e si abbassava, cantava sottovoce, stava pregando, era la cuoca del riad. Samir, direttore del piccolo albergo, invece era il maggiordomo perfetto già incontrato in alcuni gialli inglesi: occhi attenti, voce calma, gentilezza attiva e massima discrezione, uno che non ama far domande ma nemmeno riceverne.
Se uno dorme poco in camera la notte, svegliato dagli scherzi e dalle frasi dei ragazzotti che in festa per il Ramadan si attardano nella via sotto la finestra, puo raggiungere uno dei divani ai bordi della piscina e, cullato dall’ultimo canto del muezzin e da una leggera brezza che sembra arrivare direttamente dal cielo stellato, addormentarsi. Mario e Alessia erano in viaggio di nozze, sono due avvocati di Roma, li abbiamo conosciuti il primo giorno appena arrivati al riad. Lui ama scherzare e se ne intende di tecnologia, lei è più riflessiva e sognante. A volte le persone si riconoscono per affinità. I mussulmani aggiungono un alcunché, a volte ti senti accolto come da un parente che non vedi da molto tempo. C’è un’educazione che mostra le sue percettibili tracce nel corso dell’incontro. Forse è venuto il momento di parlare di Chaimà. Chaimà è una ragazza che abbiamo incontrato per caso nella medina. Stavamo cercando di raggiungere piazza...quando Chaimà, il bel volto incorniciato dal velo, ci ha sorpreso in perfetto italiano: “Ma siete italiani?”. Nata e cresciuta a Sanremo era tornata in Marocco per il Ramadan. Insieme alle cugine ci ha invitato a fare un tratto di strada insieme e poi a casa sua poiché si approssimava l’ora della ftur, il pasto che interrompe il digiuno e nel quale non mancano mai i datteri e la harira, una zuppa di legumi. Sarebbe stata anche l’occasione per presentarci suo zio che fa la guida turistica. Abbiamo cercato di opporre una gentilezza europea ma il suo solare entusiasmo ci ha convinto. Così ci siamo trovati intorno ad un tavolo a interrompere il digiuno insieme a una famiglia marocchina mai vista prima. Impensabile in Italia.

6 commenti:

  1. stupendoo...ora leggo con frenesia tutti gli altri ma gia' dal primo noto che il viaggio è stato MERAVIGLIOSO..e voi siete dentro al paese!!!!!!!!!!

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  2. Come sempre sai trasportarci, Mario. Ero sicura che saresti rimasto affascinato, avvolto e stupito da un paese che io non conosco, ma che i racconti e ciò che sappiamo ci aiutano a comprendere un po'. Prima di andarci. Magari con una malcelata presunzione europea... Quando ci andiamo forse le certezze svaniscono, forse si avverano, forse non comprendiamo più il confine tra un'antica certezza e la voluttà della conoscenza nuova. Sarà, forse, che siamo tutti figli non dello stesso dio, ma di sicuro dello stesso mare.
    Isabella Gianelloni

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  3. Brividi.
    Brividi del ricordo e per la vividità del ricordo, la sua presenza netta che squarcia la violenta quotidianità della vita metropolitana.
    Nelle tue parole tonitrua la vivacità delle immagini apparse davanti agli occhi, la nitidezza dei suoni ascoltati, la forma degli oggetti toccati, l'anima delle persone vissute.
    Anche io porto con me da questo viaggio una delle essenze di questo paese ovvero le false apparenze, il bello che si cela dietro al brutto, il fatiscente che si ricopre di fascino... e percepivo in quei giorni il vostro stesso sentire...GRAZIE PER QUESTO DIARIO DA LEGGERE E RILEGGERE E RILEGGERE...
    Alessia

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  4. Il tuo diario di viaggio.
    Attese e sorprese.
    Ho letto di religioni, precetti, spazi, panorami, idiomi, sorrisi, misteri, domande, architetture, colori, tramonti, sguardi, voci, sogni, incontri, animali, musica, sfide, ancora colori, ancora idiomi, luce, preghiere, leggende, colline, monumenti, sabbia, miraggi, treni, cimiteri, spiagge, fortezze, librai, botteghe, focacce, sguardi, digiuni, cene, bevande, tram, persone, amici, villaggi, moschee, dune, gabbiani, piante, vicoli, spezie, odori, labirinti, pescatori, serpenti, piazze, spettacoli, tamburi, ancora leggende, pastori, ancora incontri, ancora attese e ancora sorprese.
    Grazie a te ho conosciuto terre lontane. Paesi e mari che non ho mai veduto e vissuto, ma che mi hai fatto subito amare. I tuoi ricordi sono contagiosi. Anche questa volta mi hai fatto viaggiare, davvero.
    Bravo, Mario.
    Dui

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  5. Che bello ricevere i vostri commenti Lauretta, Isabella, Alessia, Duilio! Grazie a tutti davvero e...al prossimo viaggio

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  6. E' verissimo, sono stato a Fes; a Rabat; a Tangeri; è incantevole il rispetto, l'ospitalità, che hanno tutte le persone.
    Prego Dio affinchè ci aiuti sempre al rispetto fraterno. Ciao da Fernando da Roma.

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