“Di solito il professor Magris se ne sta tranquillo a casa sua, o nel suo caffè, contemplando una piazza di Trieste spazzata dalla bora, socchiudendo gli occhi al passare frettoloso di qualche “mula” di spettacolare bellezza e facendosi prendere da una malinconia leggera, qualcosa come il senso degli imperi, delle generazioni e delle letterature che passano, mandando così qualche tenue pensiero alla Cripta dei cappuccini, a Joseph Roth, a Lernet Holenia, a Schnitzler, a Walser e a una decina di scrittori di seconda fascia dell’impero asburgico, quando a tradimento, nel vuoto della casa ovattata dai libri, squilla il telefono e dal “Corriere della sera” una voce che tradisce una certa tensione dice: Professore, abbiamo un problema.
ORA, VOI SAPETE BENISSIMO CHE, quando una voce fa risuonare quella frase maledetta non importa che arrivi a Houston dall’Apollo 13 o a Trieste dall’ufficio centrale del “Corriere”: vuol dire che, vada come vada, la situazione è grave. Probabilmente non seria, ma disperata sì. Lo si capisce non appena la voce la telefono prosegue con una voce che cita alla rinfusa alcune notizie di giornata, che possono essere anche abbastanza letterarie, per la verità, e si rifà a un presunto desiderio del direttore Paolo Mieli che il celebrato professor Magris commenti, “come sa fare lei, alla sua maniera”, quelle notizie incoerenti individuando, dice la voce, un filo rosso, una coerenza ultima, il raggio dell’ultravioletto che fa trascolorare l’utopia in una chance, o in una trance, letteraria, ma anche filosofica e mistica, chissà.
Boh. Prima che il redattore dell’organo ufficiale della grande e piccola borghesia dell'Italia produttiva, l’addetto alla sezione culturale, abbia finito di inanellare altre considerazioni a casaccio sullo Zeitgeist o l’Entfremdung, l’intelligenza proteiforme e prensile del professor Magris ha già individuato ed estratto il nocciolo della questione, la reliquia vivente di quel pensiero privo di noccioli: trattasi di cazzata."
"...Mentre per andare sul popolare, anzi sul molto popolare c'era sempre Dario Fo, sui cui si potrebbe anche aprire una parentesi: perché lo sapevamo tutti che fo era un guitto formidabile, un istrione eccezionale. E quando Fo "fa" il suo numero medievale in cui racconta e mima storie di frati e di contadini, storie materiali e carnali, di maiali e truogoli, "el pursèl in tel smerdasso", c'è davvero da farsela addosso per la sua gigioneria terrigna e anzi fangosa, per l'allegria contagiosa del letame quando un frate ci cade dentro."
Da "Venerati maestri" di Edmondo Berselli , "un libro per ridere su una cultura da piangere”.
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