Le trasmissioni in italiano di Radio Londra iniziarono il 27 settembre del 1938 e si intensificarono notevolmente dal 1939 al 1945, durante la Seconda Guerra Mondiale. Si passò da trasmissioni di un quarto d’ora al giorno a punte di oltre quattro ore, con una ventina di messaggi, registrate nel 1943. Il governo inglese aveva affidato la sua propaganda alla Bbc e la rete inglese svolse l’incarico attenendosi sempre ai fatti, con obiettività, raccontando sia le vittorie che le sconfitte. Questo le valse una grande credibilità in tutt’Europa. La voce in italiano era del colonnello Stevens, inglese di origini napoletane, che ben presto diventò popolarissimo. Altri speakers italiani sono stati Ruggero Orlando e Umberto Colosso, che trasmetteva direttamente da Londra.
«Radio Londra faceva controinformazione- racconta Mario Mauri. Si creavano dei veri e propri centri di ascolto: ci si riuniva a casa di quei pochi che possedevano un apparecchio radio, di solito il farmacista, il notaio, il prete del paesino, e si ascoltavano le ultime notizie dal fronte. Poi si diffondevano, si comunicavano agli altri. Era pericoloso. Bisognava usare molta cautela, perché il regime aveva proibito l’ascolto di Radio Londra, imponendo pesanti sanzioni penali. Proprio per questo la radio la si nascondeva sotto al letto, nella stalla o nell’armadio per poi tirarla fuori, con circospezione e con il volume sempre basso, alla sera».
da: http://www2.unicatt.it/pls/catnews/
"Nel blog l'altro può firmare nel tuo testo, esiste uno spazio per chiunque decida di arrivare"
martedì 30 dicembre 2008
lunedì 29 dicembre 2008
Venice-Gatwick
Il programma è di trascorrere cinque giorni a London passando da Brick Lane tra gli odori della curcuma, del cumino e di altre spezie orientali, senza perderci il caffè pakistano, la cucina del Gujarat, i pides, l'anatra alla cantonese, gli scampi reali fritti con salsa chili dolce, gli squisiti bagel, il barracuda grigliato con zucchine e salsa di cocco, le torte giamaicane di bullah (pan di zenzero), i tahini, il bigosz, i pudding, la crème brulée con mango e banana...partenza il 31, volo Venice-Gatwick BA2583.
I libri
I libri che da tanto tempo hai in programma di leggere
i libri che da anni cercavi senza trovarli
i libri che riguardano qualcosa di cui ti occupi in questo momento
i libri che vuoi avere per tenerli a portata di mano in ogni evenienza
i libri che potresti mettere da parte per leggerli magari quest'estate
i libri che ti mancano per affiancarli ad altri libri nel tuo scaffale
i libri che ti ispirano una curiosità improvvisa, frenetica
e non chiaramente giustificabile
i libri che vorresti scrivere e che non hai ancora scritto.
Written by Italo Calvino
mercoledì 24 dicembre 2008
A chi
A
chi
ama la nebbia
perché
assomiglia ai sogni
A chi ride se la neve
fiocca morbida e silenziosa
A chi quando piove guarda
i riflessi dell’acqua e le gocce che
suonano sui tetti
A chi fissa le stelle di notte
e pensa che lassù c’è qualcuno che ci ama
A chi se vede un’ingiustizia
non si fa i fatti suoi ma quegli degli altri
A chi vuol bene agli amici
per quello che sono e non per quello che danno
A chi davanti allo specchio avrebbe tante cose da dirsi
e molte di più da migliorare
A chi non ha sicurezze ma sa dare serenità ai suoi cari
A chi a Natale fa ancora l’albero e il presepe perché ha trovato il tempo
A chi cerca
la poesia che
rende fantastica la vita
BUON NATALE E UN 2009 DOLCE E ZUCCHERATO
DEM, der den Nebel liebt, weil er dem Träumen ähnlich ist.
DEM, der lacht, wenn es schneit, weich und still.
DEM, der, wenn es regnet auf das Wiederspiegeln des Wassers und auf die Tropfen, die auf den Dächern spielen schaut.
DEM, der zu den Sternen in der Nacht starrt und denkt, dass dort oben uns irgendjemand liebt.
DEM, der, wenn es eine Ungerechtigkeit gibt, nicht nur an seine Sache, sondern auch an die Dinge der anderen denkt.
DEM, der die Freunde für das, was sie sind und nicht nur für das, was sie geben liebt.
DEM, der vor dem Spiegel viele Worte zu sich zu sagen hat, aber auch viele mehr um sich zu verbessern.
DEM, der keine Sicherheiten hat, aber seine Lieben zu beruhigen weiß.
sucht, weil sie das Leben phantastisch macht.
DEM, der für Weihnachten noch den Weihnachtsbaum und eine Krippe aufstellt, weil er sich Zeit dafür gefunden hat.
DEM, der die Poesie Frohe Weihnachten und ein süsses und gezuckertes Jahr 2009
(Uebersetzung:Christa Baier)
lunedì 22 dicembre 2008
Il caffè è una vacanza
Il caffè è una vacanza. Cos’altro scrivere. Evitiamo la noia. Il caffè è un sollievo in un mondo sbagliato. Forse qualcuno l’ha già detto. Il caffè è un attimo bello e dolce. Questo non è granché. Forse ci vuole un caffè. Tutto da scrivere ancora. Una storia di famiglia che attraversa il mondo e comincia a Pereira. Una storia di caffè e di viaggi. Di amori e di odori. Di energia e pensiero. Un nonno con i baffi, una piccola trattoria che era il centro del paese, lungo il fiume Real, che nome Real, un nome da società sportiva. Il nonno si chiamava Luis Argüello, il primogenito Esteban. Esteban aveva sposato ... , chi l’ha conosciuto diceva che era ... E poi quel viaggio in Europa e la festa a Pereira, dopo la liberazione. La prima bottega era in calle...
domenica 21 dicembre 2008
I racconti del caffè
Veronika Brecelj scrive che a Trieste “I racconti del caffè” rappresentarono una straordinaria combinazione di genio e talento, un viaggio con molte digressioni fantastiche tra mostre, libri e persone. “I racconti del caffè” furono pubblicati a cura della casa editrice Botemann tra il 1932 e il 1934. A quell’epoca l’azienda Illy finanziò interamente l’idea di un giovane scrittore che aveva già pubblicato “Le ore del tè” e “Chiacchiere del dopocena”. Si chiamava Federico Menis e discendeva dalla famiglia di Guglielmo Menis, autore nel 1848 di “Adriatico”. L’opera sta ora per essere ristampata per i tipi della casa editrice Illywords, venuta in possesso dell’unica raccolta completa de “I racconti del caffè”. La scoperta si deve ad Ariella Rischenwald, che li ha rinvenuti dopo anni di ricerche a Londra negli archivi della casa editrice Hodder & Stoughton.
sabato 20 dicembre 2008
Trois rendez-vous in Paris
Michaël, une profession fixé dans le magazine de l'aéroport,
Alexandre, un esprit parlant de la bibliothèque,
Emmanuelle, un’âme que frappe a la porte.
Paris, Rue Princesse
Sous nostalgie
Alexandre, un esprit parlant de la bibliothèque,
Emmanuelle, un’âme que frappe a la porte.
Paris, Rue Princesse
Sous nostalgie
giovedì 18 dicembre 2008
La palla che rimbalza
Nella mitologia greca Τύχη è figlia di Zeus, "a taluni concede i doni della sua cornucopia ad altri nega persino il necessario. Τύχη è irresponsabile delle sue decisioni e corre qua e là facendo rimbalzare una palla per dimostrare che la sorte è incerta. Ma se capita che un uomo, che essa abbia favorito, si vanti delle sue ricchezze né mai ne sacrifichi parte agli dei, né se ne serva per alleviare le pene dei suoi concittadini, ecco che l'antica dea Nemesi, figlia di Oceano, si fa avanti per umiliarlo"
da I Miti Greci di Robert Graves
da I Miti Greci di Robert Graves
mercoledì 17 dicembre 2008
Un bell'ingegno
Infatti non basta un bell'ingegno; l'essenziale è farne buon uso. Le anime più grandi sono capaci dei più grandi vizi come delle più grandi virtù, e chi cammina molto piano seguendo la retta via può andare molto più in là di chi corre allontanandosene.
Written by Descartes Discorso sul metodo
Written by Descartes Discorso sul metodo
martedì 16 dicembre 2008
Venezia con la pioggia
Nella fretta dei cammini le facce piovono improvvise e scompaiono come gocce nei canali. I vetri appannati dei caffè, le pozzanghere nascoste, gli impermeabili luccicanti come pesci al mercato.
lunedì 15 dicembre 2008
Chi ci ascolta
Chi ci ascolta sovrappone al nostro discorso la sua rete di credenze, opinioni, conoscenze, emozioni. Può quindi accadere che un discorso logico e coerente non si riveli tale per chi ci legge o ci ascolta, con tutte le conseguenze che ciò comporta in termini di possibilità di dialogo e di malintesi. D'altra parte può succedere che un discorso troppo ricco di informazioni possa rivelarsi offensivo in quanto, in modo nemmeno tanto sottile, evidenzia la sua ignorantia.
domenica 14 dicembre 2008
La mafia
"Signor Coppola, che cosa è la mafia?". Il vecchio, che non è nato ieri, ci pensa su e poi ribatte: "Signor giudice, tre magistrati vorrebbero oggi diventare Procuratore della Repubblica. Uno è intelligentissimo, il secondo gode dell'appoggio dei partiti di governo, il terzo è un cretino, ma proprio lui otterrà il posto. Questa è la mafia."
"Per lungo tempo si sono confuse la mafia e la mentalità mafiosa, la mafia come organizzazione illegale e la mafia come semplice modo d'essere. Quale errore! Si può avere un mentalità mafiosa senza essere un criminale."
Da Giovanni Falcone in collaborazione con Marcelle Padovani (ed. Rizzoli)
"Per lungo tempo si sono confuse la mafia e la mentalità mafiosa, la mafia come organizzazione illegale e la mafia come semplice modo d'essere. Quale errore! Si può avere un mentalità mafiosa senza essere un criminale."
Da Giovanni Falcone in collaborazione con Marcelle Padovani (ed. Rizzoli)
I'm an Englishman in New York
I am an Englishman in New York, so even though I am an alien here, people hardly recognize me as one. I look like one of them unless I open up my mouth to talk. My eight years of staying here was more of an drama, I wanted to leave many times but like this time, I cannot simply give up the life as an alien. Now I chose to stay at least one more year here. I am not sure how the new year will open up to me, it can be more challenging, it can be easier, only God will know. My first blog starts with a hope.
imanenglishmaninnewyork
imanenglishmaninnewyork
venerdì 12 dicembre 2008
Il blog
È un po' come scrivere una "cartolina", diciamo che in media una mezz'ora al giorno o ogni due può bastare, qualche volta la sera, altre il sabato o la domenica, il lato interessante per chi scrive è che il blog è un luogo che ti chiama a scrivere proprio perché nessuno te lo chiede, almeno io ho fatto questa esperienza, certo se arrivassero commenti da centinaia di persone le cose cambierebbero, ma a quel punto diventerebbe un lavoro...e non più un divertissement (et voilà il francese che compare a dar lustro alla frase), e poi ci sono delle analogie interessanti con il concetto di ospitalità descritto in un articolo di A.A. su Derrida, che potrebbe essere riscritto così: "Nel blog l'altro può firmare nel tuo testo, esiste uno spazio per chiunque decida di arrivare, fuori da qualsiasi orizzonte di attesa, il blog va nella direzione dell'ospitalità..." .
mercoledì 10 dicembre 2008
I mediocri
I mediocri non si affacciano mai ad altri saperi ed è per questo che quel poco che sanno ha un sapore amaro.
martedì 9 dicembre 2008
Brina
Il bianco della brina sembra neve che gibigianna nel blunerochiaro dell'alba; bagliori elettrici nelle case e ai ai semafori; è l'ora del primo caffè, brulicano le piazze e le stazioni; nel giorno che inizia davvero, c'è tempo per un nuovo pensiero.
domenica 7 dicembre 2008
A man who
The presidency of George Bush provided plenty of evidence that a man who has problems with his prepositions may also struggle to govern well. We can only hope that Obama's presidency proves that opposite.
Written by Charlotte Higgins
Written by Charlotte Higgins
sabato 6 dicembre 2008
Heidegger critica Marx
Nelle Tesi su Feuerbach Karl Marx scrive: "I filosofi hanno solo interpretato diversamente il mondo , è venuta l'ora di cambiarlo." Nel 1969 Martin Heidegger osserva : "Un cambiamento del mondo presuppone una rappresentazione del cambiamento stesso, che si raggiunge attraverso un'interpretazione del mondo. Per questa ragione l'affermazione di Marx si dimostra infondata, poiché contesta i filosofi e nello stesso tempo postula una filosofia."
giovedì 4 dicembre 2008
La mia avventura
Non esiste al mondo un'avventura pura e semplice; c'è solo la mia avventura, la tua, la sua - e questo perché la più grande di tutte le avventure sta proprio nel fatto di essere ciascuno di noi quello che siamo.
Ciò che ci accade è solo un altro nome per indicare il modo in cui le circostanze premono su di noi, cosicché un resoconto di ciò che ci accade non è che un resoconto delle circostanze in cui ci troviamo.
Written by H.J.
Ciò che ci accade è solo un altro nome per indicare il modo in cui le circostanze premono su di noi, cosicché un resoconto di ciò che ci accade non è che un resoconto delle circostanze in cui ci troviamo.
Written by H.J.
mercoledì 3 dicembre 2008
Menzogna e cortesia
Nella vita di tutti i giorni la menzogna e la cortesia sono altrettante forme di bontà. Quando siamo sinceri gli altri si arrabbiano o si rattristano. Capita anche con noi stessi. Nello stesso tempo la messinscena ha sempre un fondo di tristezza.
Written by A.C. & C.
Written by A.C. & C.
lunedì 1 dicembre 2008
La memoria è polvere sottile
Mi trovavo nella sala di lettura della Marciana a Venezia, circondato da migliaia di libri, alcuni coperti appena dalla polvere, altri confusi tra i riflessi dei vetri, quelli all’ultimo piano assomigliavano a delle tastiere rosse, verdi, marroni.. Da qualche parte avevo letto che tutti quei rettangoli ordinati come finestre di falansteri potevano ricordare i loculi, assiepati uno accanto all’altro, in attesa di qualcuno che li venise a trovare. Già ma quando? E perché? Il libro di Gerhard Jaeger su Alessandro di Afrodisia, o La storia del papiro di Tebe di Douglas Walton sarebbero mai stati cercati da qualcuno? E il manoscritto tradotto da Friedrich Brodinger nel 1932 riguardante il primo esempio di testo chiasmatico della commedia attica, uno strano intreccio fra Le nuvole di Aristofane e L’apologia di Socrate, sarebbe mai stato chiesto alla signora che guardava lo schermo del computer con fissità impiegatizia. Nella biblioteca universale di Borges ogni libro è già stato scritto; nella biblioteca de Il Nome della rosa l’ordine è stato distrutto per sempre, l’incendio ha trasformato la grande libreria in un insieme di frammenti, in un miscuglio di segni. Proprio tu caro Umberto Eco hai scritto: “Soltanto il libro è memoria, perché la carta e non il computer conserva tracce del passaggio umano”. Il libro quindi come paradigma indiziario, come traccia del cammino dell’uomo, come particella induttiva nell’universo del sapere. L’unica? Non credo, e le riflessioni sono molte. Il libro è certamente memoria dell’uomo, ma è in ottima compagnia. Lo sono anche le carte d’archivio su cui ci chiniamo compiendo un viaggio fra i morti: i nostri simili che ci hanno preceduto e hanno vergato quei fogli. Nel loro gesto riconosciamo il nostro e la nostra storia. Lo sono i quadri, questi antichi film in cui recitano attori muti, dove una mano indica un volto, dove un paesaggio evoca un viaggio, dove quell’albero incontra una lancia e forma una croce. Anche la musica è memoria dell’uomo, corda che vibra nel suo paesaggio interiore, nelle intermittenze di uno sguardo, di un mare in tempesta, di un volo di farfalla o del vento improvviso che scompiglia i capelli. “Non il computer conserva tracce del passaggio umano”, dici. Certo non l’impiegata alla quale mi avvicino per chiedere una copia de La carte postale di Derrida. “La carta come?”. Va beh ho capito: non è un problema di memoria. Gli scaffali della Marciana La carte postale non l’hanno mai conosciuta, ma il computer per fortuna se la ricorda: l’indice Opac informa la mia stanca interlocutrice che nel Veneto ce n’è una sola copia all’Archivio Luigi Nono. Allora Umberto come la mettiamo? Solo il libro è memoria? E poi di che memoria parliamo, di una memoria lontana, di una memoria vicina, di una memoria che potrebbe volatilizzarsi. Certo il pulviscolo lucreziano dei bit digitali, che Calvino avrebbe apprezzato, pare inconsistente, instabile come sabbia, ma sei sicuro che i libri, figli degli alberi pronti ad accendersi alla prima fiammella, siano casseforti più sicure del nostro misero sapere, del nostro riscrivere raccontando la storia delle Mille e una notte per illuderci che la nostra storia non abbia mai fine. La memoria non è solo memoria della Storia, ma è anche la memoria degli aliti minimi, dei microcosmi individuali, dei piccoli gesti che compiamo per sfuggire ai nostri limiti, al nostro esserci qui e ora. Un coro di voci diverse che echeggiano nel computer, diventano memoria, non secolare ma sufficiente e relativa ai nostri giorni. Ti sto parlando dei blog, un brutto nome l’avrebbe definito Derrida, un’onomatopea da rigurgito, uno sbocco improvviso, un conato esistenziale, un fraseggio confuso di quello che un individuo ricorda e vuol ricordare a sé stesso e agli altri. Ci sono, esisto, anche se a fatica: Blog. E poi c’è Google, amico Umberto, che ti ricorda per più di un milione di volte, a volte meglio di certe biblioteche in cui mancano i tuoi scritti migliori. La memoria è polvere sottile.
domenica 30 novembre 2008
Nelle terre estreme - Into the Wild
Cos’è la liberta? Fuggire dalla dalla vita di tutti i giorni oppure fare i conti con la quotidianità. Nelle terre estreme (ed. Corbaccio) è un bel libro di Jon Krakauer che racconta la vera storia di Chris McCandless, un giovane che dopo la laurea abbandona la sua casa e la famiglia per inseguire la libertà. Morirà di fame in un vecchio autobus abbandonato nelle foreste dell’Alaska. Dal libro è stato tratto anche il film Into the Wild, scritto e diretto da Sean Penn.
Krakauer attraverso un posa coinvolgente e ricca di dettagli ci porta nei luoghi e nella mente di Chris. Nelle amicizie che incontra lungo il suo cammino. Intensa quella con il vecchio signor Ronald Franz che vuole adottarlo, ma Chris non si ferma, prosegue il suo viaggio verso le terre estreme. In una cartolina a Franz scrive: ”Apprezzo sinceramente l’aiuto che mi hai dato e i momenti che abbiamo trascorso insieme. Potrebbe passare molto tempo prima di rivederci ma, ammesso che io superi l’affare Alaska tutto d’un pezzo, riceverai di sicuro mie notizie. Vorrei ripeterti di nuovo il consiglio che già ti diedi in passato, ovvero che secondo me dovresti apportare un radicale cambiamento al tuo stile di vita, cominciando con coraggio a fare cose che mai avresti pensato di fare o che mai hai osato. C’è tanta gente infelice che tuttavia non prende l’iniziativa di cambiare la propria situazione perché è condizionata dalla sicurezza, dal conformismo, dal tradizionalismo, tutte cose che sembrano assicurare la pace dello spirito, ma in realtà per l’animo avventuroso di un uomo non esiste nulla di più devastante di un futuro certo.”
Per Krakauer lo spirito con il quale Chris si è avventurato nella foresta è lo stesso che porta gli alpinisti a sfidare la montagna, un bisogno spirituale di confrontarsi con sé stessi e con la natura. Una delle ultime cose che il ragazzo fa verso la fine dei suoi quattro mesi in Alaska è scattarsi una foto: “Chris sorride – scrive Krakauer, e il suo sguardo è inequivocabile: McCandless era in pace, beato come un monaco che va dal Signore.
Su un pannello all'interno dell'autobus, Chris aveva scritto di sé: “Da due anni cammina per il mondo. Niente telefono, niente piscina, niente animali, niente sigarette. Il massimo della libertà. Un estremista. Un viaggiatore esteta la cui dimora è la strada. (…) Per non essere mai più avvelenato dalla civiltà, egli fugge, e solo cammina per smarrirsi nelle terre estreme.”
Krakauer attraverso un posa coinvolgente e ricca di dettagli ci porta nei luoghi e nella mente di Chris. Nelle amicizie che incontra lungo il suo cammino. Intensa quella con il vecchio signor Ronald Franz che vuole adottarlo, ma Chris non si ferma, prosegue il suo viaggio verso le terre estreme. In una cartolina a Franz scrive: ”Apprezzo sinceramente l’aiuto che mi hai dato e i momenti che abbiamo trascorso insieme. Potrebbe passare molto tempo prima di rivederci ma, ammesso che io superi l’affare Alaska tutto d’un pezzo, riceverai di sicuro mie notizie. Vorrei ripeterti di nuovo il consiglio che già ti diedi in passato, ovvero che secondo me dovresti apportare un radicale cambiamento al tuo stile di vita, cominciando con coraggio a fare cose che mai avresti pensato di fare o che mai hai osato. C’è tanta gente infelice che tuttavia non prende l’iniziativa di cambiare la propria situazione perché è condizionata dalla sicurezza, dal conformismo, dal tradizionalismo, tutte cose che sembrano assicurare la pace dello spirito, ma in realtà per l’animo avventuroso di un uomo non esiste nulla di più devastante di un futuro certo.”
Per Krakauer lo spirito con il quale Chris si è avventurato nella foresta è lo stesso che porta gli alpinisti a sfidare la montagna, un bisogno spirituale di confrontarsi con sé stessi e con la natura. Una delle ultime cose che il ragazzo fa verso la fine dei suoi quattro mesi in Alaska è scattarsi una foto: “Chris sorride – scrive Krakauer, e il suo sguardo è inequivocabile: McCandless era in pace, beato come un monaco che va dal Signore.
Su un pannello all'interno dell'autobus, Chris aveva scritto di sé: “Da due anni cammina per il mondo. Niente telefono, niente piscina, niente animali, niente sigarette. Il massimo della libertà. Un estremista. Un viaggiatore esteta la cui dimora è la strada. (…) Per non essere mai più avvelenato dalla civiltà, egli fugge, e solo cammina per smarrirsi nelle terre estreme.”
giovedì 27 novembre 2008
Non che io
Caro Amico,
non che io sia contento di quello che faccio: soprattutto, a volte mi sento mancare il cuore davanti all'enormità della massa che devo districare. Dico fra me che è impossibile che scriva solo delle fesserie, che il mio è un farfugliamento; sospiro un po' di talento, quel tanto che basterebbe a farmi lavorare nell'esultanza invece che in questa interminabile smania, ... e alla fine vado avanti.
Written by A.C.
non che io sia contento di quello che faccio: soprattutto, a volte mi sento mancare il cuore davanti all'enormità della massa che devo districare. Dico fra me che è impossibile che scriva solo delle fesserie, che il mio è un farfugliamento; sospiro un po' di talento, quel tanto che basterebbe a farmi lavorare nell'esultanza invece che in questa interminabile smania, ... e alla fine vado avanti.
Written by A.C.
mercoledì 26 novembre 2008
Il treno dei desideri
... battesimo del nostro essere binario, il treno dei desideri va all'incontrario, deraglia sul binario delle paure, sferraglia entrando nel vapore di porto marghera, uscendo come per incanto sul ponte della libertà... ticche tacche gocce di pioggia si posano sul cappotto come la panna sul cioccolato... il treno ci ha coccolato, le nostre facoltà filosofiche prima o poi vengono centrifugate, ma saremo mai pronti a salire sul treno del ritardo che sfida l'attesa delle coincidenze?
... non ancora! Intanto però rimane intatto il fascino della stazione nel vedere i treni passare come incantatori del nostro fanciullesco con-vivere?!
Written by Loris Tessari
... non ancora! Intanto però rimane intatto il fascino della stazione nel vedere i treni passare come incantatori del nostro fanciullesco con-vivere?!
Written by Loris Tessari
domenica 23 novembre 2008
La carte postale 2
Dall’altro lato della cartolina guardi la sigla S e p, Socrates et plato. Per una volta il primo sembra scrivere e addirittura con l’altra mano cancella. Ma che fa Platone con il dito teso dietro la sua schiena. Quando cerchi di girarla in tutti i sensi è l’immagine che torna a te come una lettera. Tu ti trovi, tu, sul suo tragitto.
Il supporto spesso della carta, un libro pesante e leggero, è lo spettro di questa scena, l’analisi tra Socrate e Platone, secondo il programma di qualun altro. Come un indovino, un “fortune telling book” vecchio e speculare su ciò che deve arrivare, su quello che può voler dire: arrivare, dovere arrivare, lasciare o far arrivare, destinare, indirizzare, inviare, trasmettere, ereditare, se essa significa ancora tra qui e là, il vicino e il lontano, da un fort, l’uno e l’ltro. Tu collochi il soggetto del libro tra le poste e il movimento analitico, il principio di piacere e la storia delle telecomunicazioni, la cartolina e la lettre volée, in definitiva il transfert da Socrate a Freud ed oltre. Questa satira della letteratura epistolare dovrebbe essere infarcita : di indirizzi, di codici postali, di messaggi criptati, di lettere anonime, il tutto descritto in numerosi modi, generi e toni. E si potrebbe approfittare anche di date, firme titoli, riferimenti, e della stessa lingua.
(liberamente da La carte postale di Jacques Derrida)
Il supporto spesso della carta, un libro pesante e leggero, è lo spettro di questa scena, l’analisi tra Socrate e Platone, secondo il programma di qualun altro. Come un indovino, un “fortune telling book” vecchio e speculare su ciò che deve arrivare, su quello che può voler dire: arrivare, dovere arrivare, lasciare o far arrivare, destinare, indirizzare, inviare, trasmettere, ereditare, se essa significa ancora tra qui e là, il vicino e il lontano, da un fort, l’uno e l’ltro. Tu collochi il soggetto del libro tra le poste e il movimento analitico, il principio di piacere e la storia delle telecomunicazioni, la cartolina e la lettre volée, in definitiva il transfert da Socrate a Freud ed oltre. Questa satira della letteratura epistolare dovrebbe essere infarcita : di indirizzi, di codici postali, di messaggi criptati, di lettere anonime, il tutto descritto in numerosi modi, generi e toni. E si potrebbe approfittare anche di date, firme titoli, riferimenti, e della stessa lingua.
(liberamente da La carte postale di Jacques Derrida)
sabato 22 novembre 2008
La carte postale
17 novembre 1979
Tu potresti leggere una lettera un po’ retrò, l’ultima della storia. Ma tu non l’hai ancora ricevuta. Sì, per uno uno sbaglio o un errore d’indirizzo, essa si presta a cadere nelle mani di tutti: una cartolina, una lettera aperta il cui segreto pare indecifrabile, tu puoi tenerla o farla passare per un messaggio da Socrate a Freud. Cosa ti vuole dire una cartolina? A quali condizioni è possibile? La sua destinazione ti attraversa, tu non sai più chi sei. Nell’istante stesso in cui l'indirizzo interpella te, unicamente te, invece di unirti essa ti divide, si allontana da te, delle volte t’ignora. E tu ami e tu non ami, essa fa di te ciò che vuole, essa ti prende, ti lascia, ti dà.
(liberamente da La carte postale di Jacques Derrida)
Tu potresti leggere una lettera un po’ retrò, l’ultima della storia. Ma tu non l’hai ancora ricevuta. Sì, per uno uno sbaglio o un errore d’indirizzo, essa si presta a cadere nelle mani di tutti: una cartolina, una lettera aperta il cui segreto pare indecifrabile, tu puoi tenerla o farla passare per un messaggio da Socrate a Freud. Cosa ti vuole dire una cartolina? A quali condizioni è possibile? La sua destinazione ti attraversa, tu non sai più chi sei. Nell’istante stesso in cui l'indirizzo interpella te, unicamente te, invece di unirti essa ti divide, si allontana da te, delle volte t’ignora. E tu ami e tu non ami, essa fa di te ciò che vuole, essa ti prende, ti lascia, ti dà.
(liberamente da La carte postale di Jacques Derrida)
giovedì 20 novembre 2008
Obama 2
Barack Obama ha 47 anni, l'età media di chi ci governa e di chi ci governava è 70 anni. Non c'è bisogno di aggiungere null'altro. A chi voglia conoscere l'avvincente storia di Obama consiglio il suo libro "I sogni di mio padre" (ed. Nutrimenti), scritto a trent'anni quando frequentava la facoltà di legge e fu eletto presidente della Harward Law Review. Era il primo afroamericano a ricoprire quella carica.
"Alzai lo sguardo verso la piccola finestra al secondo piano della chiesa, immaginando il vecchio pastore all'interno che abbozzava il sermone della settimana. Da dove trae la sua fede?, mi aveva chiesto. All'improvviso mi resi conto di non avere una risposta. Forse, però, avevo fede in me stesso. Ma la fede in sé stessi non è mai abbastanza."
"Di tanto in tanto mio padre mi dava un consiglio, di solito era un aforisma che non afferravo totalmente: "Come l'acqua prende la forma del suo recipiente, tu prenderai la strada che più ti si addice."
"Danzarono insieme fino a sembrare uno spirito solo. Alla fine della rappresentazione lo spirito intonò un unico e semplicissimo verso: Ho trovato la divinità in me / e l'ho amata/ l'ho amata con ardore."
"Mi turbavano e al tempo stesso mi confortavano, quegli alberi che sembrava potessero da un momento all'altro liberare dalla terra le proprie radici e andarsene, se non fosse stato per la consapevolezza che su questa terra nessun posto è così diverso dall'altro, e che ogni istante porta con sé tutto ciò che è già stato."
"Se solo potessimo ricordare quel primo passo in comune, quella prima parola in comune, quel tempo prima di Babele."
Barack Obama Dreams from My Father: A Story of Race and Inheritance
"Alzai lo sguardo verso la piccola finestra al secondo piano della chiesa, immaginando il vecchio pastore all'interno che abbozzava il sermone della settimana. Da dove trae la sua fede?, mi aveva chiesto. All'improvviso mi resi conto di non avere una risposta. Forse, però, avevo fede in me stesso. Ma la fede in sé stessi non è mai abbastanza."
"Di tanto in tanto mio padre mi dava un consiglio, di solito era un aforisma che non afferravo totalmente: "Come l'acqua prende la forma del suo recipiente, tu prenderai la strada che più ti si addice."
"Danzarono insieme fino a sembrare uno spirito solo. Alla fine della rappresentazione lo spirito intonò un unico e semplicissimo verso: Ho trovato la divinità in me / e l'ho amata/ l'ho amata con ardore."
"Mi turbavano e al tempo stesso mi confortavano, quegli alberi che sembrava potessero da un momento all'altro liberare dalla terra le proprie radici e andarsene, se non fosse stato per la consapevolezza che su questa terra nessun posto è così diverso dall'altro, e che ogni istante porta con sé tutto ciò che è già stato."
"Se solo potessimo ricordare quel primo passo in comune, quella prima parola in comune, quel tempo prima di Babele."
Barack Obama Dreams from My Father: A Story of Race and Inheritance
mercoledì 19 novembre 2008
martedì 18 novembre 2008
Pronto? non ancora . . .
Pronto?
non ancora . . .
riprovare più tardi . . .
senza pretese . . . ma con intensità.
rivedersi . . . come ritrovarsi,
riabituarsi . . . e . . .
nuovamente dimenticare.
pieni da svuotare,
ripieni di umanità residua,
tolta,
attraversata,
scandita
. . . e poi . . .
rigettata . . . in quell’ultimo respiro,
rantolo offuscato ma denso di liquidi rumori.
Pronto?
non ancora . . .
forse più tardi . . .
senza voler esserci . . . per forza.
stare . . . come pensare
ripercorrere ottusamente un ricordo inventato,
svelato . . .
non ancora formato . . .
immaginazione contenuta . . . a tratti . . violentata . . .
non ritrovare l’inizio . . . ed essere . . già . . alla fine.
ricominciare . . come se nulla . . fosse,
seguire con lo sguardo i propri passi,
ascoltarli
e poi lasciarli risuonare . . .
dentro.
Pronto?
non ancora . . .
basta che non sia troppo tardi . . .
senza più reti . . .
abbandonati brandelli vaganti di un sè
che . . . forse . . . sarà.
vite piegate . . inconsapevolmente vissute,
stratificazioni di emotività represse,
sbiadite,
diluite
ma incorniciate come ricordi importanti . . .
non più pericolosi . . .
dolciastri rigurgiti . . di pasti troppo recenti . . .
troppo abbondanti . . .
troppo . . . incalzanti.
Pronto?
non ancora . . .
anche se fosse tardi . . .
senza dover guardare troppo oltre
da vedere le proprie spalle,
proiezione garantita, rassicurante,
volontà de-formante,
farsi continuo di
apparenze rigenerate
desiderate
attese
vissute e rivissute fino alla nausea.
Pronto?
non ancora . . .
Written by Aldo Aliprandi
non ancora . . .
riprovare più tardi . . .
senza pretese . . . ma con intensità.
rivedersi . . . come ritrovarsi,
riabituarsi . . . e . . .
nuovamente dimenticare.
pieni da svuotare,
ripieni di umanità residua,
tolta,
attraversata,
scandita
. . . e poi . . .
rigettata . . . in quell’ultimo respiro,
rantolo offuscato ma denso di liquidi rumori.
Pronto?
non ancora . . .
forse più tardi . . .
senza voler esserci . . . per forza.
stare . . . come pensare
ripercorrere ottusamente un ricordo inventato,
svelato . . .
non ancora formato . . .
immaginazione contenuta . . . a tratti . . violentata . . .
non ritrovare l’inizio . . . ed essere . . già . . alla fine.
ricominciare . . come se nulla . . fosse,
seguire con lo sguardo i propri passi,
ascoltarli
e poi lasciarli risuonare . . .
dentro.
Pronto?
non ancora . . .
basta che non sia troppo tardi . . .
senza più reti . . .
abbandonati brandelli vaganti di un sè
che . . . forse . . . sarà.
vite piegate . . inconsapevolmente vissute,
stratificazioni di emotività represse,
sbiadite,
diluite
ma incorniciate come ricordi importanti . . .
non più pericolosi . . .
dolciastri rigurgiti . . di pasti troppo recenti . . .
troppo abbondanti . . .
troppo . . . incalzanti.
Pronto?
non ancora . . .
anche se fosse tardi . . .
senza dover guardare troppo oltre
da vedere le proprie spalle,
proiezione garantita, rassicurante,
volontà de-formante,
farsi continuo di
apparenze rigenerate
desiderate
attese
vissute e rivissute fino alla nausea.
Pronto?
non ancora . . .
Written by Aldo Aliprandi
lunedì 17 novembre 2008
Treno
Collana di destini, veloci paesaggi, indecise partenze, titoli di libri , dialoghi cellulari, audizioni auricolari, stampa piegata, occhi cullati dalle rotaie. Pronto? Non ancora.
giovedì 13 novembre 2008
Denaro
Molti uomini si trasformano per i soldi sia nel lavoro che nella vita privata. È una circostanza che non finisce mai di stupirmi come le giustificazioni che inventano per sentirsi nel giusto. Ma non sono dei giusti, sono solo delle persone meschine ed avide.
martedì 11 novembre 2008
Il gioco dell'angelo
Uno scrittore non dimentica mai la prima volta che accetta qualche moneta o un elogio in cambio di una storia.
Non dimentica mai la prima volta che avverte nel sangue il dolce veleno della vanità e crede che, se riuscirà a nascondere a tutti la sua mancanza di talento, il sogno della letteratura potrà dargli un tetto sulla testa, un piatto caldo alla fine della giornata e soprattutto quanto più desidera il suo nome stampato su un miserabile pezzo di carta che vivrà sicuramente più a lungo di lui.
Uno scrittore è condannato a ricordare quell’istante, perché a quel punto è già perduto e la sua anima ha ormai un prezzo.
(Carlo Ruiz Zafon)
Non dimentica mai la prima volta che avverte nel sangue il dolce veleno della vanità e crede che, se riuscirà a nascondere a tutti la sua mancanza di talento, il sogno della letteratura potrà dargli un tetto sulla testa, un piatto caldo alla fine della giornata e soprattutto quanto più desidera il suo nome stampato su un miserabile pezzo di carta che vivrà sicuramente più a lungo di lui.
Uno scrittore è condannato a ricordare quell’istante, perché a quel punto è già perduto e la sua anima ha ormai un prezzo.
(Carlo Ruiz Zafon)
domenica 9 novembre 2008
Minuti
In un giorno ci sono 1440 minuti, potresti impiegarne almeno uno per scrivere qualcosa. Se non ti viene in mente nulla, visita: oneminutewriter
venerdì 7 novembre 2008
Obama
Il mondo va nella direzione indicata dalle elezioni americane. Meno male. Speriamo che anche per la salvaguardia dell'ambiente accada qualcosa di altrettanto straordinario.
martedì 4 novembre 2008
lunedì 3 novembre 2008
Pericle
"Amiamo il bello ma con compostezza, e ci dedichiamo al sapere, ma senza debolezza; adoperiamo la ricchezza più per la possibilità di agire che essa ci offre, che per sciocco vanto di discorsi; e la povertà non è vergognosa ad ammettersi per nessuno, mentre lo è assai di più il non darsi da fare per liberarsene ..." (Pericle)
venerdì 31 ottobre 2008
Piove
Senza sosta piovono le lacrime delle nuvole, infinite gocce di felicità o di tristezza? Ma dimmi tu come ti senti quando piove e il traffico s'accalca tra le luci rosse degli stop, e gli occhi dei passanti scompaiono sotto le tende variopinte degli ombrelli, e le poche biciclette zigzagano lente sotto i portici?
mercoledì 29 ottobre 2008
Al caffè
Guardalo attraverso i suoi occhi, il mondo.
Lei è lontana.
In un villaggio al di là dell'oceano, forse
da qualche parte, a Sud ...
Written by Luigina
Lei è lontana.
In un villaggio al di là dell'oceano, forse
da qualche parte, a Sud ...
Written by Luigina
martedì 28 ottobre 2008
L'appuntamento
All’appuntamento nel solito ristorante era arrivato prima di tutti; come sempre, pensai. Indossava un impermeabile sformato e un cappello nero a tesa larga. Impugnava saldamente un ombrello, come se dovesse servirgli da punto d’appoggio più che da riparo.
Quando mi vide, tolse di scatto il braccio che teneva intorno alle spalle del cameriere, e mi venne incontro trasformando la sua risata in un semplice sorriso. Non potei fare a meno di notare sua la barba incolta e il passo appesantito. Lo sguardo, invece, era quello di sempre: luminoso, contagioso. Erano passati pochi mesi dal nostro precedente incontro, ma sembravano pochi giorni. Preoccupato mi chiese come stavo, forse perché ai suoi occhi apparivo come lui ai miei.
Written by Duilio
Quando mi vide, tolse di scatto il braccio che teneva intorno alle spalle del cameriere, e mi venne incontro trasformando la sua risata in un semplice sorriso. Non potei fare a meno di notare sua la barba incolta e il passo appesantito. Lo sguardo, invece, era quello di sempre: luminoso, contagioso. Erano passati pochi mesi dal nostro precedente incontro, ma sembravano pochi giorni. Preoccupato mi chiese come stavo, forse perché ai suoi occhi apparivo come lui ai miei.
Written by Duilio
domenica 26 ottobre 2008
Vicky Cristina Barcelona
L'amore vero, l'amore romantico, è inappagato, dice Maria Helena (Penelope Cruz), una delle protagoniste dell'ultimo film di Woody Allen. Due amiche, Vicky (Rebecca Hall) e Cristina (Scarlett Johansson) trascorrono l'estate a Barcellona ospiti di Judy e di suo marito, una coppia di mezza età. L'incontro con il pittore Juan Antonio (Javier Bardem) darà il via a una serie di relazioni amorose.
Juan prima sedurrà l'apparentemente fredda e razionale Vicky che sta per sposarsi con il classico ragazzo di buona famiglia. Poi riuscirà a conquistare la sensuale e nevrotica Cristina, la quale inizierà una movimentata convivenza con il pittore e con la sua ex moglie Maria Helena, artista instabile e reduce da un tentativo di suicidio. Cristina accetterà questo menage a trois, nel quale avrà anche un incontro ravvicinato con Maria Helena, sua Musa nell'arte della fotografia, in camera oscura. Sullo sfondo l'anziano padre di Juan, un grande poeta che non pubblica le sue poesie perché il mondo non le merita.
Nel frattempo Vicky si è sposata con il suo ragazzo e scopre che Judy da anni tradisce il marito a cui vuole bene ma che non ama più. Allora si decide a confidare a Judy la sua passione segreta per Juan. I due si incontrano di nuovo; lui intanto è rimasto solo, perché prima Cristina e poi Maria Helena lo hanno lasciato. Mentre stanno per baciarsi davanti ai quadri dell'atelier, irrompe di nuovo sulla scena Maria Helena con una pistola.
Alla fine ...la fine è aperta e lascia intuire come tra desideri e realtà spesso non vi sia una corrispondenza. La storia è narrata con garbo: alcuni passaggi raccontati da una voce fuori campo, un bacio qui e là, musica catalana, alcuni dialoghi in spagnolo, Barcelona e Gaudi in trasparenza.
Juan prima sedurrà l'apparentemente fredda e razionale Vicky che sta per sposarsi con il classico ragazzo di buona famiglia. Poi riuscirà a conquistare la sensuale e nevrotica Cristina, la quale inizierà una movimentata convivenza con il pittore e con la sua ex moglie Maria Helena, artista instabile e reduce da un tentativo di suicidio. Cristina accetterà questo menage a trois, nel quale avrà anche un incontro ravvicinato con Maria Helena, sua Musa nell'arte della fotografia, in camera oscura. Sullo sfondo l'anziano padre di Juan, un grande poeta che non pubblica le sue poesie perché il mondo non le merita.
Nel frattempo Vicky si è sposata con il suo ragazzo e scopre che Judy da anni tradisce il marito a cui vuole bene ma che non ama più. Allora si decide a confidare a Judy la sua passione segreta per Juan. I due si incontrano di nuovo; lui intanto è rimasto solo, perché prima Cristina e poi Maria Helena lo hanno lasciato. Mentre stanno per baciarsi davanti ai quadri dell'atelier, irrompe di nuovo sulla scena Maria Helena con una pistola.
Alla fine ...la fine è aperta e lascia intuire come tra desideri e realtà spesso non vi sia una corrispondenza. La storia è narrata con garbo: alcuni passaggi raccontati da una voce fuori campo, un bacio qui e là, musica catalana, alcuni dialoghi in spagnolo, Barcelona e Gaudi in trasparenza.
sabato 25 ottobre 2008
"There's probably no God"
"Buses with the slogan ''There's probably no God. Now stop worrying and enjoy your life" could soon be running on the streets of Britain. The atheist posters are the idea of the British Humanist Association (BHA) and have been supported by prominent atheist Professor Richard Dawkins."
Lo slogan si riferisce al dio che premia e castiga, ma questa non è l'unica idea che puoi avere di dio. Quello che a volte ti impedisce di goderti la vita non è dio ma la vita stessa con i suoi limiti e la sua complessità.
Lo slogan si riferisce al dio che premia e castiga, ma questa non è l'unica idea che puoi avere di dio. Quello che a volte ti impedisce di goderti la vita non è dio ma la vita stessa con i suoi limiti e la sua complessità.
giovedì 23 ottobre 2008
La filosofia e il cretino
La filosofia non può nulla contro il cretino che vicino a scuole, negozi, marciapiedi, lascia acceso il motore della sua auto, spesso un diesel di grossa cilindrata. Più in generale essa è sconfitta dal male. E questo è un bel problema filosofico.
mercoledì 22 ottobre 2008
Complimenti
I veri complimenti sono come gli amici, si contano sulle dita di una mano. I più sono pro forma; quelli eccessivi possono precedere la richiesta di un favore o, qualche volta, propiziare un congedo.
Al termine di una lettera o di una telefonata che manifesta profondo disaccordo, assolvono la funzione di mandare il destinatario in quel famoso posto.
Al termine di una lettera o di una telefonata che manifesta profondo disaccordo, assolvono la funzione di mandare il destinatario in quel famoso posto.
lunedì 20 ottobre 2008
Davanti ad un camino
"Scorrendo velocemente le pagine ho pensato che sarebbe bello trovarsi in un posto confortevole, di fronte ad un bel camino con qualcosa di caldo da bere, magari con qualche caldarrosta da gustare, magari con ognuno il proprio libro e ogni tanto discorrere del più e del meno. Forse è il periodo autunnale o forse le foto dei tuoi libri mi hanno ispirato tale desiderio. Forse anch'io dovrei annotare i miei pensieri."
Wtitten by Vittoria
Wtitten by Vittoria
sabato 18 ottobre 2008
Amico lontano
Amico lontano eppur visibile come il volo di una farfalla bianca sulla neve, il mio pensare corre a Est dove tu vivi l'irregolarità dei giorni nella permanenza del distacco. Il sole arriva nella mia stanza ma di sponda, rifratto dalla corte chiusa e insieme all'odore di fritto del balcone dei cinesi.
giovedì 16 ottobre 2008
Le cicale
Narra il mito greco che un tempo le cicale fossero uomini, i quali conosciute le Muse furono rapiti a tal punto dal piacere del canto da non nutrirsi più e perciò morire. Nacque così la stirpe delle cicale a cui le Muse diedero il privilegio di non aver bisogno di alcun cibo sin dalla nascita e di poter cantare per tutta la vita. Una volta giunte nell'aldilà il loro compito era di informare le Muse su quali uomini avessero reso loro onore sulla terra.
Per i greci le cicale simboleggiavano l'amore ed erano simili agli dei. Secondo La Fontaine l'insetto, contrapposto alla formica, è l'emblema dello spreco. Nella lingua comune una cicala è persona chiacchierona e fastidiosa, e cicalare significa parlare troppo e di argomenti frivoli. Eppure il Poeta ci ricorda "l'alacre frinir delle cicale".
mercoledì 15 ottobre 2008
Chi scrive
"Chi scrive parla di cose che tutti conoscono ma che non sanno ancora di conoscere. Così, scrittori e lettori, usando la fantasia, avvertono quanto tutti gli uomini hanno in comune. La grande letteratura non parla delle nostre capacità di giudizio, ma della nostra abilità di metterci nei panni dell'altro."
Orhan Pamuk, La valigia di mio padre
Orhan Pamuk, La valigia di mio padre
lunedì 13 ottobre 2008
Beyond building or beyond architecture?
Le cose dette in inglese assumono più importanza di quelle dette in italiano per varie ragioni: la prima è che “suona bene”, poi molti (troppi in Italia) ancora l’inglese non lo conoscono e quindi hanno una sorta di timore reverenziale verso ciò che non capiscono, un’altra è che l’inglese è la lingua di Inghilterra e America, paesi vincitori nella storia, nella letteratura, nella musica.
Benvenuti allora a Out There (Là fuori) Architecture beyond building (l’architettura oltre il costruire), undicesima mostra internazionale di architettura (labiennale.org) che si svolge a Venezia fino al 23 novembre. Rassegna in cui gli architetti su un tema paiono interrogarsi senza requie: sarà mai possibile salvare la città dalla deriva, dalla moltiplicazione incontrollata, dagli squilibri ambientali e sociali?
Let’s go. In un video - in mostra ce ne sono non meno di un migliaio - Aaron Betsky spiega che l’architettura e il costruire sono due cose diverse, l’architettura è ciò che sta prima e intorno al progettare. Gli architetti diventano in alcuni casi videoartisti, tecnoartisti, popartisti, dando vita a una mise en scene del clima contemporaneo, del mondo fluido, per citare Bauman che cita Eraclito, nel quale ognuno è il tutto, e il molteplice è contemplabile da ognuno.
Ma andiamo ora ai Giardini per cercare di capire se non fosse il caso di chiamarla “Beyond architecture”. After the party, il padiglione del Belgio, stupisce con una distesa di coriandoli che copre il pavimento e dà modo ai visitatori di lanciarsi i “confetti”. Carnevale veneziano, logica fuzzy, confondersi dei popoli e delle idee, infinite combinazioni possibili del progettare. Spiega una didascalia: “Il progetto non coinvolge piani e modellini, ma un’architettura intesa come realtà da esperire fisicamente”, anche lanciandosi i coriandoli of course, che poi si ritrovano sul parquet di casa e ci si ricorda oggi dove s’era ieri.
Tanta creatività e tanti progetti dalla Spagna, fra cui un’interessante architettura-scultura sul lungomare di Marbella che “suona” al vento del mare. Padiglione Italia con spazio a mo’di Serpentine Gallery londinese, coperto da cuscini imbottiti su cui sdraiarsi attorno a colonne con video e cuffie, per sperimentare il guardare e l’esser guardati tipico delle nostre città, continuamente riprese dai telefonini-telecamera e spiate dalla onnipresente rete di videsorveglianza che segue ogni nostro passo. Geniale il filmato Koolhaas houselife (koolhaashouselife.com), in cui una simpatica domestica racconta le sue difficoltà nella pulizia dell’originale casa di Bordeaux, spiegando così in modo nuovo ed efficace l’architettura. Lungo il percorso, la curiosa stanza dei frigoriferi: apri e trovi un occhio magico, oppure delle radio, delle catene che ti impediscono di aprire la porta, delle diapositive appese a dei fili, una luce arancione. Frigoriferi anche al padiglione ceco per raccontare la spesa degli italiani. Poi, d’improvviso, fra il padiglione dell’Egitto e quello della Polonia, incontri Carlo Scarpa che ti parla da un monitor e tu, che non l’hai conosciuto, capisci che avresti voluto conoscerlo.
Sosta polacca quasi d’obbligo visto che è stata premiata con il Leone d’oro. Hotel Polonia mette a disposizione dei letti matrimoniali da affittare per una notte e una serie di spiazzanti fotomontaggi che trasformano stazioni in parchi acquatici e condomìni in cimiteri. Sulla parete di Israele filmati di colline e paesi che attraverso un “trascinamento digitale” si trasformano in dei paesaggi alla Max Ernst. Il padiglione americano, invece, si apre con un’aiuola coltivata a radicchio, finocchio, insalata; il tema è quello del radicamento dell’architettura... Riposante e intelligente nella sua semplicità il padiglione della Finlandia dedicato a musei e librerie.
Salutati dalla gas-pipe gialla dell’Estonia, lasciamo i Giardini per visitare gli spazi dell’Arsenale.
Start con “gli oggetti di Asymptote governati da un’aerodinamica perversa”. Più avanti, tra televisori e installazioni si legge: “Gli edifici si devono preparare alla propria assenza e comprendere la complessità delle proprie narrazioni. Invece di distruggere e ricostruire all’infinito, un futuro già obsoleto dobbiamo passare a strutture collaborative e sitemi redentori”. Buone intenzioni anche in altri pannelli: “L’obiettivo ultimo è creare una città diversa, aprire il dialogo sulla direzione da intraprendere, re-immaginare uno spazio pubblico condiviso e raggiungere un equilibrio sostenibile con l’ecosistema”. Visionario il corto che illustra il progetto Skycar City di Winy Maas e Grace La, i quali nel loro studio di Rotterdam sognano una città di macchine volanti. Questa tecnologia renderebbe superflui i parcheggi e le strade, “ma soprattutto libererà l’urbanistica dalla sua dipendenza dal piano”. Altri spunti: Singletown, la città illuminata dall’alto di Giammetta e quella invisibile di Tstudio. Un corridoio-collage di progetti e disegni, con pavimento in pendenza “effetto Escher”, è a poca distanza dalla Hypnerotosphere (ispirata alla Hypnerotomachia Poliphili , Venezia, 1499), di Nigel Coates, un salotto circondato da uno schermo circolare che accosta due uomini che danzano ai palazzoni della periferia romana. Proseguendo, la riedizione della mostra “Roma interrotta” del 1978, introdotta da uno scritto di Carlo Giulio Argan: “È più facile progettare le città del futuro che quelle del passato. Roma è una città interrotta perché si è cessato di immaginarla e si è incominciato a progettarla (male)”. Tra i disegni esposti, quelli dell’architetto Paolo Portoghesi che evidenziano le straordinarie corrispondenze tra le forre e i paesaggi naturali intorno a Roma e l’architettura e l’impianto viario di alcuni quartieri della Capitale. Sarebbe stato bello dedicare un intero padiglione a questo tema che non finisce di sorprendere, è come se l'uomo inconsciamente ripercorresse gli stessi sentieri. Anche il Cile si schiera dalla parte dell’architettura sostenibile mostrando abitazioni ed edifici tradizionali in cima a degli alti sgabelli di legno; un’immagine poetica e sognante, un piccolo villaggio in miniatura (foto accanto al titolo) all’interno del quale è piacevole vagare con lo sguardo. A Zara l’architetto Goran Rako costruisce una piazza, alimentata da energia solare, che si illumina e suona al ritmo delle onde. Verso l’uscita spunta un video, l’ennesimo, con uno schermo a neve e la celebre frase di Mc Luhan “The medium is the message”.
Una mostra gremita di ideas, alcune beyond architecture, e di una moltitudine di facce, alcune beyond imagination, che ti vengono incontro come coriandoli, e capita che alcune le conosci e non ti aspettavi di vederle lì, e così tra tanti coriandoli ho incontrato per caso Fabio, Alberto, Andrea e Cristina. See you.
sabato 11 ottobre 2008
"Questa è la verità"
Da un'intervista di Russel Wilkinson a Catherine, la figlia diAlbert Camus, svoltasi nell'ottobre del 1995 all'Hotel Basil di Londra. "Mio padre sosteneva anche che non c'è la verità in ciò che costringe all'esclusione. Siamo quindi obbligati ad accettare le contraddizioni se non vogliamo rifiutare alcune evidenze della vita. Qualora invece si prenda una concezione del mondo, un sistema filosofico o una religione e si affermi "Questa è la verità", ci si avvia lungo una strada che esclude le altre strade e uccide la vita."
Il migliore dei cannocchiali
"Al principio di maggio, per quanto scrutasse la pianura col migliore dei cannocchiali d'ordinanza, Giovanni non riusciva ancora a scorgere alcun segno d'attività umana; neanche il lume di notte, e sì che i fuochi si vedono facilmente anche a smisurate distanze."
Rileggendo alcune pagine del Deserto dei Tartari di Dino Buzzati si rafforza in me l'idea che è il più grande romanzo del Novecento italiano.
Rileggendo alcune pagine del Deserto dei Tartari di Dino Buzzati si rafforza in me l'idea che è il più grande romanzo del Novecento italiano.
giovedì 9 ottobre 2008
mercoledì 8 ottobre 2008
Delitto di cronaca
Il passante all’inizio di giugno guardò le locandine e lesse delle solite tragedie. Cominciò così a raccogliere gli “strilli” per un mese e poi li lesse uno dopo l’altro: sangue, rapine, violenze e tanti morti. Gli venne in mente che “Memento mori” era il saluto dei monaci trappisti; forse anche i giornali, sconfitti dalla Rete, si preparavano al commiato.
Uscendo dalla metafora, penso che il giornalismo, anche quello locale, sia qualcosa di diverso: innanzitutto critica e indagine su qualunque potere, capacità di raccontare aspetti interessanti della realtà, impegno nella difesa dei più deboli. La cronaca, come la vita, ha tanti colori. Scegliere sempre il nero, il Grand Guignol, non è più diritto di cronaca, può diventare delitto di cronaca.
Uscendo dalla metafora, penso che il giornalismo, anche quello locale, sia qualcosa di diverso: innanzitutto critica e indagine su qualunque potere, capacità di raccontare aspetti interessanti della realtà, impegno nella difesa dei più deboli. La cronaca, come la vita, ha tanti colori. Scegliere sempre il nero, il Grand Guignol, non è più diritto di cronaca, può diventare delitto di cronaca.
La civiltà dei barbari
"I barbari sono tali rispetto a quella che si considera — a noi che ci consideriamo — la civiltà, la quale si sente devastata nei suoi valori essenziali: la durata, l'autenticità, la profondità, la continuità, la ricerca del senso della vita e dell'arte, l'esigenza di assoluti, la verità, la grande forma epica, la logica consueta, ogni gerarchia d'importanza tra i fenomeni. In luogo di tutto questo trionfano la superficie, l'effimero, l'artificio, la spettacolarità, il successo quale unica misura del valore, l'uomo orizzontale che cerca l'esperienza in una girandola continuamente mutevole. Il vivere diventa un surfing, una navigazione veloce che salta da una cosa all'altra come da un tasto all'altro su Internet; l'esperienza è una traiettoria di sensazioni in cui Pulp Fiction e Disneyland valgono quanto Moby Dick e non lasciano il tempo di leggere Moby Dick."
(conversazione tra Claudio Magris e Alessandro Baricco dal Corriere della Sera del 7 ottobre)
(conversazione tra Claudio Magris e Alessandro Baricco dal Corriere della Sera del 7 ottobre)
lunedì 6 ottobre 2008
Lo scrittore
Lo scrittore al centro della sala è un bersaglio perfetto. La signorachelegge è pronta a sparare le sue domande. Alla fine giunge, giunge come una cannonata, un fulmine, un colpo di clacson, la prima domanda. Lo scrittore vacilla, la sua figura indietreggia appena, poi in un sussulto risponde. La signorachelegge incalza con un'altra domanda, e poi un'altra ancora. Lo scrittore sta per soccombere, quando la donna tace all'improvviso, la dentiera le intrappola la lingua. Salvo.
venerdì 3 ottobre 2008
Fari veloci come stelle
Fari veloci come stelle cadenti, bagliori bianchi lungo la collina, e dalla chiesa si vede laggiù, nella pianura verso il mare, una distesa di punti color mandarino; si accendono e si spengono i finestrini di un treno, e sulle nuvole blurossonotte la luna apre una parentesi: l'aria fresca dell'autunno sembra primavera.
giovedì 2 ottobre 2008
Il viaggio dell'elefante
Come nasce un romanzo? A volte nasce in un ristorante, guardando delle statuette che raccontano il viaggio di un elefante da Lisbona a Vienna. Nel 1551, re Joao III, sovrano del Portogallo e dell'Algarve, e sua moglie Caterina d'Austria decisero di regalare al cugino Massimiliano d'Austria un elefante di nome Salomone. L'elefante arrivò a Vienna dopo un lungo viaggio, passò anche da Salisburgo dove oggi si trova il locale chiamato "l'Elefante". Proprio in quel ristorante una sera di qualche anno fa cenò José Saramago e, conosciuta la storia di Salomone, decise di raccontarla nel suo nuovo romanzo: "A Viagem do Elefante", che ci porta con sé nell'Europa del Cinquecento insieme alla fantastica carovana di personaggi veri e inventati che accompagna l'insolito dono. "Scrivere come leggere non sono azioni innocenti - ha sottolineato Pilar Del Rìo moglie di Saramago-, sono tentativi per forzare l'intelligenza, per andare un po' più in là di Vienna o di Lisbona, più in là di ciò che eravamo quando ci siamo svegliati al mattino con un nuovo giorno davanti."
mercoledì 1 ottobre 2008
In un mondo battuto dal vento
"...questo dramma di enigmi e di doppi fondi, di sofferenze e di tristi gioie, queste cose umane nell'elementare vastità di un mondo battuto dal vento."
12 novembre 1947
"Un elemento che distrugge nella gente il senso del bene e del male è il fatto che "si vive una volta sola" e "più si ha, meglio è", più soldi si hanno e più grande è la fama. È difficile comprendere davvero l'enorme senso di sé delle persone poiché capire veramente vuol dire abbandonare il proprio sé. Spinti da un tremendo egoismo, tutti noi diciamo: "Non ho che una vita da vivere, solo una possibilità di essere ricco o povero". E questo annulla immediatamente le aspirazioni ideali. Ecco perché tutte le religioni mettono in risalto l'immortalità, o un'altra possibilità in un altro mondo."
Primavera 1948
Dal "blog" di Jack Kerouac: Un mondo battuto dal vento.
12 novembre 1947
"Un elemento che distrugge nella gente il senso del bene e del male è il fatto che "si vive una volta sola" e "più si ha, meglio è", più soldi si hanno e più grande è la fama. È difficile comprendere davvero l'enorme senso di sé delle persone poiché capire veramente vuol dire abbandonare il proprio sé. Spinti da un tremendo egoismo, tutti noi diciamo: "Non ho che una vita da vivere, solo una possibilità di essere ricco o povero". E questo annulla immediatamente le aspirazioni ideali. Ecco perché tutte le religioni mettono in risalto l'immortalità, o un'altra possibilità in un altro mondo."
Primavera 1948
Dal "blog" di Jack Kerouac: Un mondo battuto dal vento.
sabato 27 settembre 2008
Palladio raccontato “alla Lucarelli”
Dialogo in treno:
R. Hai visto la mostra “Palladio 500 anni” (www.palladio500anni.it) a Vicenza?
M. Sì, dieci euro per una bella confezione, un allestimento curato, un’audioguida con le spiegazioni registrate dallo stesso curatore “alla Lucarelli”
R. Come alla Lucarelli?
M. Sì Lucarelli, quello di Blu Notte, quello con la barba e gli occhi bovini, quel modo di raccontare con le pause e con tante domande, per coinvolgerti
R. A sì,sì Lucarelli, bravooo
M. Ecco, cercava di imitarlo, ma tra la calata veneta e tra che ogni tanto gli mancava il fiato, vabbè scherzi della vanità
R. A parte questo
M. Alcune tesi discutibili, come quella secondo cui Palladio a partire da un certo momento avrebbe rubato la scena a Sansovino a Venezia, invece come spiega Tafuri Palladio non riuscì mai ad essere il prediletto della classe dirigente, ed è per questo che costruì lungo i confini di Venezia, come a Santa Lucia o a San Giorgio Maggiore, ma mai al centro della città: perse il concorso per la ricostruzione del ponte di Rialto e anche il suo progetto per Palazzo ducale venne rifiutato.
R. Ma ci sarà stato qualcosa di interessante
M. Sì, un ritratto di El Greco spacciato per un ritratto di Palladio senza la benché minima prova storica, ma solo sulla base di deboli congetture, come il fatto che El Greco abbia abitato per alcuni anni a Venezia. È interessante notare come pur di dire qualcosa di nuovo alle volte anche importanti istituzioni cedano all’invenzione
R. Sei proprio un criticone, dai dimmi le cose positive
M. Straordinaria la storia di Inigo Jones, un architetto inglese che nel Seicento compra da Vicenzo Scamozzi, allievo di Palladio, una serie I disegni del maestro, che giungono così nel Regno Unito e contribuiscono alla diffusione del palladianesimo nel mondo. Una chicca della mostra sono gli schizzi sulla disposizione delle truppe in battaglia e le piante di case pensate per gente normale, una specie di housing…ah dimenticavo c’è una splendida veduta di San Giorgio Maggiore del Canaletto e, naturalmente, i progetti, i rilievi, le riflessioni “a matita” di Andrea della Gondola, è affascinate il racconto dei segni, i segni raccontano che dallo studio attento di ciò che ti sta attorno nasce la creazione di quello che non c’è ancora.
R. Hai visto la mostra “Palladio 500 anni” (www.palladio500anni.it) a Vicenza?
M. Sì, dieci euro per una bella confezione, un allestimento curato, un’audioguida con le spiegazioni registrate dallo stesso curatore “alla Lucarelli”
R. Come alla Lucarelli?
M. Sì Lucarelli, quello di Blu Notte, quello con la barba e gli occhi bovini, quel modo di raccontare con le pause e con tante domande, per coinvolgerti
R. A sì,sì Lucarelli, bravooo
M. Ecco, cercava di imitarlo, ma tra la calata veneta e tra che ogni tanto gli mancava il fiato, vabbè scherzi della vanità
R. A parte questo
M. Alcune tesi discutibili, come quella secondo cui Palladio a partire da un certo momento avrebbe rubato la scena a Sansovino a Venezia, invece come spiega Tafuri Palladio non riuscì mai ad essere il prediletto della classe dirigente, ed è per questo che costruì lungo i confini di Venezia, come a Santa Lucia o a San Giorgio Maggiore, ma mai al centro della città: perse il concorso per la ricostruzione del ponte di Rialto e anche il suo progetto per Palazzo ducale venne rifiutato.
R. Ma ci sarà stato qualcosa di interessante
M. Sì, un ritratto di El Greco spacciato per un ritratto di Palladio senza la benché minima prova storica, ma solo sulla base di deboli congetture, come il fatto che El Greco abbia abitato per alcuni anni a Venezia. È interessante notare come pur di dire qualcosa di nuovo alle volte anche importanti istituzioni cedano all’invenzione
R. Sei proprio un criticone, dai dimmi le cose positive
M. Straordinaria la storia di Inigo Jones, un architetto inglese che nel Seicento compra da Vicenzo Scamozzi, allievo di Palladio, una serie I disegni del maestro, che giungono così nel Regno Unito e contribuiscono alla diffusione del palladianesimo nel mondo. Una chicca della mostra sono gli schizzi sulla disposizione delle truppe in battaglia e le piante di case pensate per gente normale, una specie di housing…ah dimenticavo c’è una splendida veduta di San Giorgio Maggiore del Canaletto e, naturalmente, i progetti, i rilievi, le riflessioni “a matita” di Andrea della Gondola, è affascinate il racconto dei segni, i segni raccontano che dallo studio attento di ciò che ti sta attorno nasce la creazione di quello che non c’è ancora.
giovedì 25 settembre 2008
Quattro stelle amiche
Premetto sono amico dell’ideatore del sito e quindi forse poco obiettivo. Prima cosa mi stupisce che appena arriviamo non vediamo il suo viso, diciamo che l’uomo sa di valere, sa che è sopra la media e quindi ci aspettavamo un bianconero con sguardo ispirato e magari una nostalgica olivetti o una splendida penna stilografica. No! La foto c’è, ma bisogna cercarla e la troviamo sotto le sue opere letterarie con lo sguardo sornione di un agente di publitalia-finivest, “vieni con me ti aiuto io”. La frase iniziale che stiamo navigando-cazzeggiando è sbagliata. Cioè se io sono arrivato qua è perché sto cercando il non banale, perché ho spento la televisione e cerco di usare i pochi neuroni rimasti. Grazie per i sogni ne abbiamo bisogno. Le foto belle, il ragazzo è eclettico arte-libri-musica e fotografia, ci ricorda che il mondo ha diverse vedute, varie prospettive e che sta a noi essere curiosi e cercare il particolare. L’archivio ci ricorda che mette la sua arte a disposizione per raccontare la vita e l’evolvere dei fatti, che attraverso i suoi resoconti emergono dall’anonimato. Certo sa lavorare bene anche nel business, ma il meglio si evidenzia quando l’argomento si avvicina all’arte in ogni sua manifestazione, si sale e delle volte si guarda giù e si vedono le proprie miserie. Ma c’è chi vola, chi striscia e chi scava. Il blog è bello, pieno di spunti, bisogna farlo emergere.
Quindi diciamo che se la valutazione va da una stella a cinque (il massimo) le quattro stelle ci sono tutte.
Evviva!
Written by Luca S.
Quindi diciamo che se la valutazione va da una stella a cinque (il massimo) le quattro stelle ci sono tutte.
Evviva!
Written by Luca S.
martedì 23 settembre 2008
L’amicizia
Un sentimento sottile e fragile quando vive della memoria dei momenti passati, un legame indistruttibile quando accompagna un progetto, un tempo, un fare. I veri amici sono pochi, ma non perché gli esseri umani siano così inaffidabili, la verità è che abbiamo poco tempo per stare insieme a molte persone e per condividere i loro cammini.
sabato 20 settembre 2008
Pordenonelegge: spilli e bolle
“Sto leggendo! Non voglio essere disturbato!” … Il cartoncino giallo, da appendere alla maniglia, come quello che si trova negli alberghi , dondola ora sulla porta del salotto. In una pasticceria d’antan, davanti a due cioccolate in tazza piccola, ho incontrato un uomo con la barba vestito di nero, al di là del banco una pallavolista con la coda veloce con i portafiltri; curiosando ho conosciuto uno scrittore, anzi due, no anzi tre, no anzi Quattro, e rincontrato un editore; ho comprato una guida di New York e un paio di occhiali; messo il naso nella mostra “Il pittore e il pesce”, sold out a “Non chiedermi come sto, ma dimmi cosa c’è fuori”. Nella shopping bag sono finiti anche il giornale, un paio di libri e il trailer cartaceo di Gargoyle di Andrew Davidson: “Le sventure ci colgono di sorpresa, spesso con violenza, proprio come l’amore”. Pordenonelegge.it – sintetizzo dalla guida- non si illude di poter evadere dall’universo di bolle mediatiche (rectius balle) nel quale siamo immersi, ma offre l’opportunità di sentirsi pungere da semplici spilli: i libri.
Un muro di impenetrabile umanità
Ad un'ora della sera, seduto al tavolo di un bar, sotto i rintocchi del campanile del duomo, con i fari delle macchine che spuntavano dalla sua nuca, egli si è definito un "muro di impenetrabile umanità". Non ero d'accordo con quell'affermazione e, tra un abbagliamento e l'altro, mi veniva in mente Albert Camus: "È certo che, in apparenza, io non posso conoscere meglio di persona un attore, per il solo fatto di averlo visto cento volte, tuttavia, se, facendo la somma degli eroi che ha incarnati, dico di conoscerlo un po' di più dopo aver enumerato il centesimo personaggio, si sente che in questa asserzione sta una parte di verità, poiché l'apparente paradosso è anche un apologo e ha una sua parte di morale. Questo insegna che un uomo può essere definito altrettanto bene dalle sue commedie che dai suoi impulsi sinceri."
venerdì 19 settembre 2008
Piccole gocce di resina
Piccole gocce di resina, le ha staccate Rossana da un’acacia dell’orto botanico di Cagliari. Ora stanno adagiate su un sasso piatto accanto ad alcuni libri del mio studio e sembrano dei piccoli brillanti. ln ogni viaggio raccogliamo qualcosa per il nostro bazar di pietre e souvenir mineralvegetali.
venerdì 12 settembre 2008
La nuova Londra
“Ecco perché, Signore, voi non trovate nessun uomo con un briciolo di intelletto che desideri lasciare Londra. No, Signore, quando un uomo è stanco di Londra, è stanco della vita, perché a Londra si trova tutto ciò che la vita può offrire” (Samuel Johnson, letterato e poeta, 1709-1784). Marco Niada, corrispondente del Sole 24 Ore dalla capitale britannica, sceglie questa dichiarazione d’amore per cominciare il suo libro "La nuova Londra- capitale del XXI secolo". Il ritratto, affollato da una miriade di cifre e dati, è pieno di entusiasmo per una città che alcuni definiscono “la New York d’Europa”. Su sette milioni e mezzo di abitanti due sono stranieri. Londra è riuscita a trasformare il multiculturalismo in una risorsa; l’eredità storica delle colonie si è evoluta in una rete di relazioni che le consentono di primeggiare, oltre che nella finanza, nella cosiddetta knowledge economy: sono due milioni e mezzo le persone impiegate nei settori della consulenza, della comunicazione e della cultura. La città attrae ogni giorno migliaia di turisti e di aspiranti residenti, fra cui moltissimi italiani: un milione e quattro nel 2006. La comunità dei britaliani a Londra è composta da 100.000 persone: manager, ricercatori, artisti, cuochi. Il libro si conclude con le vicende della band The Zimmers, formata da novantenni e diventata famosa. Un esempio per dire che a Londra il detto “finché c’è vita c’è speranza” è più vero che altrove.
mercoledì 10 settembre 2008
Il malinteso e Chesil Beach
“Il mondo va avanti solo grazie al malinteso. È grazie al malinteso universale che tutti si trovano d’accordo. Se infatti, per disgrazia, ci si comprendesse, non ci si potrebbe più mettere d’accordo." La citazione di Baudelaire compare all’inizio di un saggio di Alberto Andronico “Le radici del malinteso. La lacità tra identità e differenza”, che ho trovato per caso cercando, come a volte accade, altro. Ci sono malintesi scoperti, taciuti, voluti, tutti sono inevitabili, perché parole e gesti sono compresi con le lenti dello stato d’animo, del bagaglio culturale, della posizione sociale, dell’occasione, della convenienza, dell’inconscio…del meteo. Il malinteso può portare anche alla fine di una storia d’amore che sarebbe stata bellissima. Accade in Chesil Beach di Ian McEwan. Florence è una violinista di talento che non sente il bisogno di provare i piaceri del corpo, l’arte è l’universo che la appaga in modo totale. Edward, suo marito, invece è passionale e attratto dal corpo della moglie. La prima notte di nozze è un disastro. Lei fugge inorridita dalla camera dell’albergo e si allontana lungo la spiaggia di Chesil Beach. Lui si offende, interpreta quella fuga come un abbandono, non come un momento di disperazione. Scrive McEwan: “A Chesil Beach, Edward avrebbe potuto richiamare Florence o seguirla. Non sapeva, e nemmeno avrebbe voluto scoprirlo, che correndo lontano, sicura, nella sua diperazione, di essere sul punto di perderlo, Florence non si era mai sentita tanto innamorata e sgomenta, e che il suono della sua voce l’avrebbe raggiunta come una salvezza, che si sarebbe senz’altro voltata. Edward invece era rimasto impassibile nel suo silenzio virrtuoso, in quel crepuscolo estivo, a guardarla correre via sulla spiaggia, mentre lo sciabordio delle piccole onde copriva il rumore dei suoi passi faticosi e Florence si riduceva a un punto sfocato in fuga nell’interminabile rettilineo di ciottoli sfavillanti nella luce fioca.”
domenica 7 settembre 2008
Pioggia improvvisa
Giornata di pioggia improvvisa. Oltre il cancello dei ragazzi ammazzano il tempo aspettando che spiova. Nel grigio delle nuvole un arcobaleno disegna una linea triste ma i suoi colori muovono i sorrisi della gente. Il vento forte ha spezzato le fronde di alcuni alberi: sull’asfalto le foglie lucide diventano forme astratte. Nell’aria odore di mosto, di fumo e pietre bagnate. In lontananza le luci della costa.
venerdì 5 settembre 2008
Harry's Dolci
Si possono ancora incontrare la gentilezza, lo stile e le buone maniere? Sì, all’Harry’s Dolci di Venezia. Per raggiungerlo due minuti di traghetto, linea 2 dalle Zattere. La vista è strepitosa, in particolare verso il tramonto: una lunga cornice di case-quadri dai colori diversi, da Santa Marta a San Marco, e giù in fondo la cupola della Salute e la facciata in Pietra d’Istria di San Giorgio Maggiore. Il personale sorridente e gentile ti accoglie, ti accompagna al tavolo ed è sempre pronto ad assisterti. Se ti domandi come mai non ci sono le candele sui tavoli, né la musica in sottofondo, la spiegazione è semplice: non ci sono mai state, la scelta di Mr.Cipriani è quella della sobrietà. Ideale per una cena romantica. Dopo si può passeggiare in un’altra Venezia, nella Giudecca dei silenzi, dei piccoli prati verdi, delle architetture scarpiane, dei gatti che sonnecchiano negli angoli scuri.
mercoledì 3 settembre 2008
La bastarda di Istanbul
Il libro ha una copertina forte come il titolo: un minareto che infilza un melograno. L'autrice Elif Shafak è stata processata in Turchia per offesa all'identità della nazione e poi assolta, come il premio Nobel Orhan Pamuk.
Intorno all'amicizia delle due giovani protagoniste, l'armena Armanoush e la turca Asya (è lei la bastarda di Istanbul), si ricostruisce con qualità la storia di una famiglia armena perseguitata dai turchi nei primi anni del Novecento. La spilla comprata da Hovhannes Stamboulian rappresenta un melograno e passerà di generazione in generazione fino ad arrivare a...
"Tutta la verità è... che certi armeni della diaspora in realtà non vogliono che i turchi riconoscano il genocidio. Se mai lo facessero, ci sfilerebbero il tappeto di sotto i piedi e ci toglierebbero il legame più forte che ci tiene in piedi. Proprio come i turchi si sono abituarti a negare le loro malefatte , noi armeni ci siamo abituati a crogiolarci nel vittimismo. A quanto pare, certe vecchie abitudini andrebbero cambiate da entrambe le parti", si legge nel libro.
Inconsueto l'indice che stuzzica il gusto e l'olfatto con titoli come "Cannella", "Nocciole tostate", "Scorze d'arance", "Uva passa". Ingredienti di una buona ricetta che termina con il Cianuro di potassio e con una figlia, Asya, che ritrova e comprende il rapporto con sua madre Zeliha.
Sullo sfondo una città magica:" A Istanbul marzo è squilibrato. Può decidere di appartenere alla primavera, mite e fragrante, solo per cambiare idea in ventiquattr'ore e tornare all'inverno, scagliando venti gelidi e pioggia ghiacciata ovunque."
Intorno all'amicizia delle due giovani protagoniste, l'armena Armanoush e la turca Asya (è lei la bastarda di Istanbul), si ricostruisce con qualità la storia di una famiglia armena perseguitata dai turchi nei primi anni del Novecento. La spilla comprata da Hovhannes Stamboulian rappresenta un melograno e passerà di generazione in generazione fino ad arrivare a...
"Tutta la verità è... che certi armeni della diaspora in realtà non vogliono che i turchi riconoscano il genocidio. Se mai lo facessero, ci sfilerebbero il tappeto di sotto i piedi e ci toglierebbero il legame più forte che ci tiene in piedi. Proprio come i turchi si sono abituarti a negare le loro malefatte , noi armeni ci siamo abituati a crogiolarci nel vittimismo. A quanto pare, certe vecchie abitudini andrebbero cambiate da entrambe le parti", si legge nel libro.
Inconsueto l'indice che stuzzica il gusto e l'olfatto con titoli come "Cannella", "Nocciole tostate", "Scorze d'arance", "Uva passa". Ingredienti di una buona ricetta che termina con il Cianuro di potassio e con una figlia, Asya, che ritrova e comprende il rapporto con sua madre Zeliha.
Sullo sfondo una città magica:" A Istanbul marzo è squilibrato. Può decidere di appartenere alla primavera, mite e fragrante, solo per cambiare idea in ventiquattr'ore e tornare all'inverno, scagliando venti gelidi e pioggia ghiacciata ovunque."
lunedì 1 settembre 2008
L'eleganza del riccio
L’eleganza del riccio, regalatomi da un amico, è uno dei romanzi più piacevoli che mi sia capitato di leggere negli ultimi anni. Scritto dalla francese Muriel Barbery, narra le vicende di Renée, una portinaia intellettuale che legge Tolstoj, e di Paoloma una dodicenne ironica, secchiona e “aspirante suicida”. Deus ex machina, monsieur Ozu, un raffinato e ricco uomo d’affari giapponese che si innamorerà di Renée.
Filosofia e ironia – davvero esilaranti alcuni passaggi del diario di Paloma - si intrecciano nelle pagine che raccontano come le persone non sempre sono come sembrano, non sempre corrispondono allo stereotipo che noi gli assegniamo.
“Madame Michel ha l'eleganza del riccio – scrive Paloma – fuori è protetta da aculei, una vera e propria fortezza, ma ho il sospetto che dentro sia semplice e raffinata come i ricci, animaletti fintamente indolenti, risolutamente solitari e terribilmente eleganti".
Si parla di bellezza, arte, destino, senso della vita, ma anche della possibilità per un individuo di travalicare i limiti della propria classe sociale, impresa quasi impossibile, in barba alle varie dichiarazioni di fratellanza e uguaglianza. Qualche dubbio sulla conclusione che avrei preferito più aperta.
Filosofia e ironia – davvero esilaranti alcuni passaggi del diario di Paloma - si intrecciano nelle pagine che raccontano come le persone non sempre sono come sembrano, non sempre corrispondono allo stereotipo che noi gli assegniamo.
“Madame Michel ha l'eleganza del riccio – scrive Paloma – fuori è protetta da aculei, una vera e propria fortezza, ma ho il sospetto che dentro sia semplice e raffinata come i ricci, animaletti fintamente indolenti, risolutamente solitari e terribilmente eleganti".
Si parla di bellezza, arte, destino, senso della vita, ma anche della possibilità per un individuo di travalicare i limiti della propria classe sociale, impresa quasi impossibile, in barba alle varie dichiarazioni di fratellanza e uguaglianza. Qualche dubbio sulla conclusione che avrei preferito più aperta.
sabato 23 agosto 2008
Kairòs
Kairòs per i Greci era il momento opportuno, l’occasione favorevole, ma attenzione: alle volte ciò che cerchiamo ce l'abbiamo sotto il naso....
kairòs, togli due lettere e diventa kaos, aggiungi la l e diventa kalòs, ma se metti la g allora ...-)
kairòs, togli due lettere e diventa kaos, aggiungi la l e diventa kalòs, ma se metti la g allora ...-)
venerdì 22 agosto 2008
Una bella poesia di Montale
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr'occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.
(Eugenio Montale, Satura, Xenia II)
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr'occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.
(Eugenio Montale, Satura, Xenia II)
mercoledì 20 agosto 2008
“Against Order? Against disorder?”
Dopo una giornata trascorsa tra i padiglioni della Biennale, gli allestimenti all’Arsenale e la mostra al Correr “Da Rauschenberg a Murakami, 1964-2003” mi sono affacciato a una finestra che si trova lungo la Riva degli Schiavoni. Riflettevo su quanto visto. Davanti a me, nella luce rossastra del tramonto, l’andirivieni nel Bacino di San Marco e il viavai cosmopolita fra il ponte della Paglia e quello dei Greci.
“Less oil more courage” è la scritta incontrata nel padiglione italiano su un piccolo quadro di Rirkrit Tiravanija. L’inglese è sempre una lingua efficace per gli slogan.
A pochi passi “Silicone e polistirolo” di Rudolf Stingel. Mettere a disposizione una superficie su cui ognuno può incidere la propria frase o conficcare la bottiglietta d’acqua minerale o il il suo biglietto da visita seduce. Io ho scritto l’indirizzo del mio sito Internet, poi mi sono ricordato che anche all’asilo di mia figlia c’è una parete su cui ognuno può disegnare ciò che vuole.
18.000 pillole fatte a mano sono l’opera di Dunia Hirst. In effetti la società occidentale è alla continua ricerca di pillole per i propri mali fisici e psichici. Riprodurre 18.000 volumi, qualcuno in più di quelli intagliati dal Pianta alla Scuola grande di San Rocco, non sarebbe stato attuale.
Don Graham fa girare i visitatori fra due specchi in cui ognuno può vedere la propria immagine “ritardata” dalla ripresa video. Si esiste perché si è un’immagine, come Narciso.
Un temenos formato da sei plasma è l’installazione di Amit Goren. Uno si siede al centro è viene bombardato da immagini e suoni. Un po’ come a casa, quando tua moglie accende l’aspirapolvere mentre guardi la partita.
“L’auto si riempie di sentimenti durante il viaggio? È una delle 300 domande personali, raccolte da Peter Fischli in vent’anni, proiettate in varie lingue all’interno di una camera oscura. Nel buio ogni domanda diventa più profonda di quel che sembra.
Non mi ricordo più chi disse che in fondo ognuno di noi è un numero, ma sicuramente Stanislaw Dkozdz si è concentrato sull’argomento. Il padiglione polacco ha le pareti ricoperte da 300.000 dadi. Al centro, su un tavolo da biliardo, cinque dadi per 46.656 combinazioni possibili.
Fuori dal padiglione mi sono accorto di una signora che, esausta, sonnecchiava sotto un melo. A pochi metri da lei uno scheletro si specchiava appoggiato a un vecchio comò. Insieme erano una vera opera d’arte.
Ne “La Zona” curata da Massimiliano Gioni un filmato riprendeva i volti di vari ragazzi impegnati a dire: “Non farò figli per questo paese”. Un altro filmato di mezz’ora “esplorava gli ultimi attimi di vita di un cane.”
In sintonia il padiglione svizzero: il video di Emanuelle Antille mostra dei ragazzi che pestano a sangue un gatto fino ad ucciderlo un gatto. Un altro filmato, invece, riprende l’agonia di un’anziana signora assistita dalla figlia. Stessa logica della tv del dolore?
Si respira nel padiglione della Danimarca trasformato in un vitale caleidoscopio da Olafur Eliasson.
All’Arsenale “Hotel Capsula” di Ozawa riproduce il luogo dove dormono i giapponesi che lavorano a Tokyo e la sera non riescono tornare a casa: un cubo di legno e stoffa. Al Museo Correr c’è un quadro che vale la visita se amate Guttuso: “La Vucciria”.
Per vedere un popolo più metafisico di quello del mercato di Palermo, invece, bisogna tornare ai Giardini, al padiglione israeliano. “Against Order? Against disorder?” di Michal Rowner ci mostra omini che vanno e che vengono, che girano intorno e poi si disperdono, figure uguali che ruotano su sé stesse. Ho chiesto se fosse una metafora della diaspora ebraica. Mi hanno assicurato che non è così, l’opera invita riflettere su bio-tecnologie, clonazione e nuovo ordine mondiale. Prendo atto. Guardo il bacino di San Marco: le barche si incrociano, si affiancano, poi si disperdono. Sotto di me centinaia di teste continuano a formicolare. Cinque turisti sul ponte dei Greci fotograno lo stesso soggetto: il tramonto.
Ci muoviamo tutti, in continuazione, ma verso cosa? “Against Order? Against disorder?”
“Less oil more courage” è la scritta incontrata nel padiglione italiano su un piccolo quadro di Rirkrit Tiravanija. L’inglese è sempre una lingua efficace per gli slogan.
A pochi passi “Silicone e polistirolo” di Rudolf Stingel. Mettere a disposizione una superficie su cui ognuno può incidere la propria frase o conficcare la bottiglietta d’acqua minerale o il il suo biglietto da visita seduce. Io ho scritto l’indirizzo del mio sito Internet, poi mi sono ricordato che anche all’asilo di mia figlia c’è una parete su cui ognuno può disegnare ciò che vuole.
18.000 pillole fatte a mano sono l’opera di Dunia Hirst. In effetti la società occidentale è alla continua ricerca di pillole per i propri mali fisici e psichici. Riprodurre 18.000 volumi, qualcuno in più di quelli intagliati dal Pianta alla Scuola grande di San Rocco, non sarebbe stato attuale.
Don Graham fa girare i visitatori fra due specchi in cui ognuno può vedere la propria immagine “ritardata” dalla ripresa video. Si esiste perché si è un’immagine, come Narciso.
Un temenos formato da sei plasma è l’installazione di Amit Goren. Uno si siede al centro è viene bombardato da immagini e suoni. Un po’ come a casa, quando tua moglie accende l’aspirapolvere mentre guardi la partita.
“L’auto si riempie di sentimenti durante il viaggio? È una delle 300 domande personali, raccolte da Peter Fischli in vent’anni, proiettate in varie lingue all’interno di una camera oscura. Nel buio ogni domanda diventa più profonda di quel che sembra.
Non mi ricordo più chi disse che in fondo ognuno di noi è un numero, ma sicuramente Stanislaw Dkozdz si è concentrato sull’argomento. Il padiglione polacco ha le pareti ricoperte da 300.000 dadi. Al centro, su un tavolo da biliardo, cinque dadi per 46.656 combinazioni possibili.
Fuori dal padiglione mi sono accorto di una signora che, esausta, sonnecchiava sotto un melo. A pochi metri da lei uno scheletro si specchiava appoggiato a un vecchio comò. Insieme erano una vera opera d’arte.
Ne “La Zona” curata da Massimiliano Gioni un filmato riprendeva i volti di vari ragazzi impegnati a dire: “Non farò figli per questo paese”. Un altro filmato di mezz’ora “esplorava gli ultimi attimi di vita di un cane.”
In sintonia il padiglione svizzero: il video di Emanuelle Antille mostra dei ragazzi che pestano a sangue un gatto fino ad ucciderlo un gatto. Un altro filmato, invece, riprende l’agonia di un’anziana signora assistita dalla figlia. Stessa logica della tv del dolore?
Si respira nel padiglione della Danimarca trasformato in un vitale caleidoscopio da Olafur Eliasson.
All’Arsenale “Hotel Capsula” di Ozawa riproduce il luogo dove dormono i giapponesi che lavorano a Tokyo e la sera non riescono tornare a casa: un cubo di legno e stoffa. Al Museo Correr c’è un quadro che vale la visita se amate Guttuso: “La Vucciria”.
Per vedere un popolo più metafisico di quello del mercato di Palermo, invece, bisogna tornare ai Giardini, al padiglione israeliano. “Against Order? Against disorder?” di Michal Rowner ci mostra omini che vanno e che vengono, che girano intorno e poi si disperdono, figure uguali che ruotano su sé stesse. Ho chiesto se fosse una metafora della diaspora ebraica. Mi hanno assicurato che non è così, l’opera invita riflettere su bio-tecnologie, clonazione e nuovo ordine mondiale. Prendo atto. Guardo il bacino di San Marco: le barche si incrociano, si affiancano, poi si disperdono. Sotto di me centinaia di teste continuano a formicolare. Cinque turisti sul ponte dei Greci fotograno lo stesso soggetto: il tramonto.
Ci muoviamo tutti, in continuazione, ma verso cosa? “Against Order? Against disorder?”
Ti va una partita?
G. Ti va una partita?
R. Siamo spettatori.
G. Facciamo il gioco delle domande?
R. E come si gioca?
Semplice, si fanno delle domande.
affermazione uno a zero
Non vale.
Perche?
Non avevo ancora cominciato.
Affermazione 2 a zero.
Ma che conti tutto?
Come?
Conti tutto?
Fallo, niente ripetizioni, tre a zero partita per me
G. Io non gioco se continui a questo modo
R. A chi il servizio?
G. ehhh
R.Esitazione zero a uno
A chi tocca?
Perché?
Perché no?
Per che cosa?
Fallo, niente sinonimi
In nome di dio ma che succede?
Fallo domanda retorica due a uno.
A che equivale tutto questo?
Non lo indovini?
Stai parlando con me
C’é qualcun altro
Chi?
E io che ne so?
Ma lo chiedi a me
Ma fai sul serio?
E’ una domanda retorica?
No
Negazione Due Pari, punto, partita
Ma che ti prende oggi?
Quando?
Cosa?
Sei sordo?
Sono morto?
Si o no?
C’è scelta?
C’è Dio?
Fallo, no no niente teologia, tre a due, una partita a testa
Come ti chiami?
E tu come ti chiami?
Prima tu.
Affermazione uno a zero.
Come ti chiami quando sei a casa?
Tu come ti chiami?
Quando sono a casa?
Perché è diverso a casa?
Quale casa?
Non ce l’hai?
Perché me lo chiedi?
G.Dove vuoi arrivare?
R.Come ti chiami?
G. Ah ripetizione due a zero punto partita
R.Ma chi credi di essere?
G.Domanda retorica partita e incontro per me
(Dialogo tratto dal film “Rosencrantz e Guildenstern” scritto e diretto da Tom Stoppard)
R. Siamo spettatori.
G. Facciamo il gioco delle domande?
R. E come si gioca?
Semplice, si fanno delle domande.
affermazione uno a zero
Non vale.
Perche?
Non avevo ancora cominciato.
Affermazione 2 a zero.
Ma che conti tutto?
Come?
Conti tutto?
Fallo, niente ripetizioni, tre a zero partita per me
G. Io non gioco se continui a questo modo
R. A chi il servizio?
G. ehhh
R.Esitazione zero a uno
A chi tocca?
Perché?
Perché no?
Per che cosa?
Fallo, niente sinonimi
In nome di dio ma che succede?
Fallo domanda retorica due a uno.
A che equivale tutto questo?
Non lo indovini?
Stai parlando con me
C’é qualcun altro
Chi?
E io che ne so?
Ma lo chiedi a me
Ma fai sul serio?
E’ una domanda retorica?
No
Negazione Due Pari, punto, partita
Ma che ti prende oggi?
Quando?
Cosa?
Sei sordo?
Sono morto?
Si o no?
C’è scelta?
C’è Dio?
Fallo, no no niente teologia, tre a due, una partita a testa
Come ti chiami?
E tu come ti chiami?
Prima tu.
Affermazione uno a zero.
Come ti chiami quando sei a casa?
Tu come ti chiami?
Quando sono a casa?
Perché è diverso a casa?
Quale casa?
Non ce l’hai?
Perché me lo chiedi?
G.Dove vuoi arrivare?
R.Come ti chiami?
G. Ah ripetizione due a zero punto partita
R.Ma chi credi di essere?
G.Domanda retorica partita e incontro per me
(Dialogo tratto dal film “Rosencrantz e Guildenstern” scritto e diretto da Tom Stoppard)
martedì 19 agosto 2008
Venti righe straordinarie sulla stupidità
"Egli ripagava il suo secolo col definire volgare stupidità l'origine delle misteriose alterazioni che ne costituivano la malattia, distruggendo il genio.
Né l'intendeva affatto in senso offensivo. Infatti se di dentro la stupidità non somigliasse straordinariamente all'intelligenza, se di fuori non si potesse scambiare per progresso, genio, speranza, perfezionamento, nessuno vorrebbe esser stupido e la stupidità non esisterebbe. O almeno sarebbe molto facile combatterla. Purtroppo invece essa ha qualcosa di singolarmente simpatico e naturale. Se si trova, ad esempio, che una oleografia è una produzione artistica più ingegnosa di un quadro dipinto a mano , anche questo contiene una verità, ed è più facile dimostrarla che non dimostrare la grandezza di Van Gogh. Allo stesso modo è molto agevole e rimunerativo essere un drammaturgo più forte di Shakespeare o un narratore più armonico di Goethe, e in un autentico luogo comune v'è certamente più umanità che in una nuova scoperta. Non esiste una sola idea importante di cui la stupidità non abbia saputo servirsi, essa è pronta e versatile e può indossare tutti i vestiti della verità. La verità invece ha un abito solo e una sola strada, ed è sempre in svantaggio."
Robert Musil, da: Der Mann ohne Eigenschaften, Berlin 1931, S.54
Né l'intendeva affatto in senso offensivo. Infatti se di dentro la stupidità non somigliasse straordinariamente all'intelligenza, se di fuori non si potesse scambiare per progresso, genio, speranza, perfezionamento, nessuno vorrebbe esser stupido e la stupidità non esisterebbe. O almeno sarebbe molto facile combatterla. Purtroppo invece essa ha qualcosa di singolarmente simpatico e naturale. Se si trova, ad esempio, che una oleografia è una produzione artistica più ingegnosa di un quadro dipinto a mano , anche questo contiene una verità, ed è più facile dimostrarla che non dimostrare la grandezza di Van Gogh. Allo stesso modo è molto agevole e rimunerativo essere un drammaturgo più forte di Shakespeare o un narratore più armonico di Goethe, e in un autentico luogo comune v'è certamente più umanità che in una nuova scoperta. Non esiste una sola idea importante di cui la stupidità non abbia saputo servirsi, essa è pronta e versatile e può indossare tutti i vestiti della verità. La verità invece ha un abito solo e una sola strada, ed è sempre in svantaggio."
Robert Musil, da: Der Mann ohne Eigenschaften, Berlin 1931, S.54
venerdì 15 agosto 2008
Otto Weininger
Scrive Magris citando Otto Weininger:
"Il viaggio è anche una benevola noia, una protettrice insignificanza. L'avventura più rischiosa, difficile e seducente si svolge a casa; è la che si gioca la vita, la capacità o incapacità di amare e di costruire, di avere e dare felicità, di crescere con coraggio o rattrappirsi nella paura; è la che ci si mette a rischio.
La casa non è un idillio; è lo spazio dell’esistenza concreta e dunque esposta al conflitto, al malinteso, all’errore, alla sopraffazione e all’aridità, al naufragio. Per questo essa è il luogo centrale della vita, col suo bene e il suo male; il luogo della passione più forte.
Andare in giro per il mondo vuol dire pure riposarsi dall’intensità domestica, adagiarsi in piacevoli pause pantofolaie, lasciarsi andare passivamente - immoralmente secondo Weininger - al fluire delle cose”.
"Il viaggio è anche una benevola noia, una protettrice insignificanza. L'avventura più rischiosa, difficile e seducente si svolge a casa; è la che si gioca la vita, la capacità o incapacità di amare e di costruire, di avere e dare felicità, di crescere con coraggio o rattrappirsi nella paura; è la che ci si mette a rischio.
La casa non è un idillio; è lo spazio dell’esistenza concreta e dunque esposta al conflitto, al malinteso, all’errore, alla sopraffazione e all’aridità, al naufragio. Per questo essa è il luogo centrale della vita, col suo bene e il suo male; il luogo della passione più forte.
Andare in giro per il mondo vuol dire pure riposarsi dall’intensità domestica, adagiarsi in piacevoli pause pantofolaie, lasciarsi andare passivamente - immoralmente secondo Weininger - al fluire delle cose”.
domenica 10 agosto 2008
Tre immagini della vita
Tre immagini della vita tratte da Wittgestein: la bottiglia nella quale la mosca vola a casaccio; il pesce nella rete e l'errabondo nel labirinto. Il pesce nella rete non ha prospettive per il futuro, la mosca spera d'imboccare a caso la via d'uscita, l'uomo nel labirinto coltiva la speranza.
(L. Wittgenstein)
(L. Wittgenstein)
venerdì 8 agosto 2008
La mela
"Se tu hai una mela, e io ho una mela, e ce la scambiamo, allora tu ed io abbiamo sempre una mela per uno. Ma se tu ha un’idea, ed io ho un’idea, e ce la scambiamo, allora abbiamo entrambi due idee."
George Bernard Shaw
George Bernard Shaw
giovedì 7 agosto 2008
Con tutte le tue forze
Se non riesci a fare la vita che vorresti
almeno questo tenta con tutte
le tue forze: non sciuparla
nei continui contatti con la gente
nelle continue chiacchiere e viavai.
Non sciuparla portandotela
sempre in giro e mettendola in mostra
nella stupidità giornaliera di rapporti e frequentazioni
finché non diventi fastidiosa estranea.
1913 Costantino Kavafis
almeno questo tenta con tutte
le tue forze: non sciuparla
nei continui contatti con la gente
nelle continue chiacchiere e viavai.
Non sciuparla portandotela
sempre in giro e mettendola in mostra
nella stupidità giornaliera di rapporti e frequentazioni
finché non diventi fastidiosa estranea.
1913 Costantino Kavafis
mercoledì 6 agosto 2008
Il mitico Magris e il popolare Fo "venerati maestri"
“Di solito il professor Magris se ne sta tranquillo a casa sua, o nel suo caffè, contemplando una piazza di Trieste spazzata dalla bora, socchiudendo gli occhi al passare frettoloso di qualche “mula” di spettacolare bellezza e facendosi prendere da una malinconia leggera, qualcosa come il senso degli imperi, delle generazioni e delle letterature che passano, mandando così qualche tenue pensiero alla Cripta dei cappuccini, a Joseph Roth, a Lernet Holenia, a Schnitzler, a Walser e a una decina di scrittori di seconda fascia dell’impero asburgico, quando a tradimento, nel vuoto della casa ovattata dai libri, squilla il telefono e dal “Corriere della sera” una voce che tradisce una certa tensione dice: Professore, abbiamo un problema.
ORA, VOI SAPETE BENISSIMO CHE, quando una voce fa risuonare quella frase maledetta non importa che arrivi a Houston dall’Apollo 13 o a Trieste dall’ufficio centrale del “Corriere”: vuol dire che, vada come vada, la situazione è grave. Probabilmente non seria, ma disperata sì. Lo si capisce non appena la voce la telefono prosegue con una voce che cita alla rinfusa alcune notizie di giornata, che possono essere anche abbastanza letterarie, per la verità, e si rifà a un presunto desiderio del direttore Paolo Mieli che il celebrato professor Magris commenti, “come sa fare lei, alla sua maniera”, quelle notizie incoerenti individuando, dice la voce, un filo rosso, una coerenza ultima, il raggio dell’ultravioletto che fa trascolorare l’utopia in una chance, o in una trance, letteraria, ma anche filosofica e mistica, chissà.
Boh. Prima che il redattore dell’organo ufficiale della grande e piccola borghesia dell'Italia produttiva, l’addetto alla sezione culturale, abbia finito di inanellare altre considerazioni a casaccio sullo Zeitgeist o l’Entfremdung, l’intelligenza proteiforme e prensile del professor Magris ha già individuato ed estratto il nocciolo della questione, la reliquia vivente di quel pensiero privo di noccioli: trattasi di cazzata."
"...Mentre per andare sul popolare, anzi sul molto popolare c'era sempre Dario Fo, sui cui si potrebbe anche aprire una parentesi: perché lo sapevamo tutti che fo era un guitto formidabile, un istrione eccezionale. E quando Fo "fa" il suo numero medievale in cui racconta e mima storie di frati e di contadini, storie materiali e carnali, di maiali e truogoli, "el pursèl in tel smerdasso", c'è davvero da farsela addosso per la sua gigioneria terrigna e anzi fangosa, per l'allegria contagiosa del letame quando un frate ci cade dentro."
Da "Venerati maestri" di Edmondo Berselli , "un libro per ridere su una cultura da piangere”.
ORA, VOI SAPETE BENISSIMO CHE, quando una voce fa risuonare quella frase maledetta non importa che arrivi a Houston dall’Apollo 13 o a Trieste dall’ufficio centrale del “Corriere”: vuol dire che, vada come vada, la situazione è grave. Probabilmente non seria, ma disperata sì. Lo si capisce non appena la voce la telefono prosegue con una voce che cita alla rinfusa alcune notizie di giornata, che possono essere anche abbastanza letterarie, per la verità, e si rifà a un presunto desiderio del direttore Paolo Mieli che il celebrato professor Magris commenti, “come sa fare lei, alla sua maniera”, quelle notizie incoerenti individuando, dice la voce, un filo rosso, una coerenza ultima, il raggio dell’ultravioletto che fa trascolorare l’utopia in una chance, o in una trance, letteraria, ma anche filosofica e mistica, chissà.
Boh. Prima che il redattore dell’organo ufficiale della grande e piccola borghesia dell'Italia produttiva, l’addetto alla sezione culturale, abbia finito di inanellare altre considerazioni a casaccio sullo Zeitgeist o l’Entfremdung, l’intelligenza proteiforme e prensile del professor Magris ha già individuato ed estratto il nocciolo della questione, la reliquia vivente di quel pensiero privo di noccioli: trattasi di cazzata."
"...Mentre per andare sul popolare, anzi sul molto popolare c'era sempre Dario Fo, sui cui si potrebbe anche aprire una parentesi: perché lo sapevamo tutti che fo era un guitto formidabile, un istrione eccezionale. E quando Fo "fa" il suo numero medievale in cui racconta e mima storie di frati e di contadini, storie materiali e carnali, di maiali e truogoli, "el pursèl in tel smerdasso", c'è davvero da farsela addosso per la sua gigioneria terrigna e anzi fangosa, per l'allegria contagiosa del letame quando un frate ci cade dentro."
Da "Venerati maestri" di Edmondo Berselli , "un libro per ridere su una cultura da piangere”.
martedì 5 agosto 2008
Leggere romanzi
"...Non intendo che tutti dovremmo leggere romanzi rosa o thriller (però se è questo che volete leggere per me va benissimo, perché ...Ascoltate , vi confesserò una cosa che nessuno vi dirà mai: se non leggete i classici o il romanzo che ha vinto l'ultimo Booker Prize non vi succederà niente di male; e soprattutto, se li leggete non vi succederà niente di straordinario); voglio dire soltanto che voltare le pagine non dovrebbe essere come arrancare in un denso pantano ..."
Nick Hornby
Nick Hornby
lunedì 4 agosto 2008
Oriana Fallaci
Ecco, su Oriana sai come la penso, non mi piace la sua violenza verbale, ma sul fatto che sia stata una grande giornalista e che sapesse scrivere non si discute. Sull'Islam l'unico insegnamento che terrei per buono è quello di non aver paura: non aver paura di conoscere, di studiare, di parlare, di incontrarli un domani al matrimonio dei nostri figli o in ufficio, ma anche di mandare in scena un'opera come l'Idomeneo o di ospitare uno come Rushdie, di inserire nella Carta europea che le nostre radici sono cristiane;
invece mi pare che il non aver paura si esprima solo in certe sconsiderate azioni militari invece che nei nostri comportamenti quotidiani che invece virano sempre più pericolosamente verso il timore dell'altro con conseguenze disastrose: quando mostri di aver paura hai già perso. Puoi bombardare tutto l'Iraq o l'Iran, ma il vero confronto nei prossimi anni sarà in Europa non in Iraq.
Pax et bonum
invece mi pare che il non aver paura si esprima solo in certe sconsiderate azioni militari invece che nei nostri comportamenti quotidiani che invece virano sempre più pericolosamente verso il timore dell'altro con conseguenze disastrose: quando mostri di aver paura hai già perso. Puoi bombardare tutto l'Iraq o l'Iran, ma il vero confronto nei prossimi anni sarà in Europa non in Iraq.
Pax et bonum
sabato 2 agosto 2008
Neve e Alexis
"Io adesso sono molto felice. Non voglio assolutamente diventare un eroe. Sognare l'eroismo è la consolazione degli infelici. E poi gente come noi, per fare qualcosa di eroico, o uccide qualcuno o si uccide."
Orhan Pamuk " Neve"
“Quando scoprì leggendolo su alcuni libri, che dal momento in cui il fiocco di neve si cristallizza in cielo a forma di una stella a sei braccia, e poi scende a terra e scompare perdendo il suo aspetto, passano circa otto, dieci minuti, e venendo a sapere che ogni fiocco di neve si modella grazie al vento, al freddo, all’altezza delle nuvole, ma anche a tanti altri fattori misteriosi e incomprensibili, intuì che tra i fiocchi di neve e gli uomini c’era una relazione.
...Ogni persona doveva avere un suo fiocco di neve, in cui c’era una mappa interna della sua vita.”
Orhan Pamuk " Neve"
"E ora ti dico addio. Penso con infinita dolcezza, alla tua bontà femminile, o piuttosto materna: ti lascio con dispiacere , ma invidio il tuo bambino. eri il solo essere davanti al quale mi ritenessi colpevole, ma scrivere la mia vita mi conferma in me stesso; finisco per compiangerti senza condannarmi con severità. Ti ho tradita; non ho voluto ingannarti. Tu sei di quelle che scelgono sempre, per dovere, il cammino più stretto e più difficile: non voglio, implorando la tua pietà darti un pretesto per sacrificarti di più. Non avendo saputo vivere secondo la morale comune, cerco, almeno, di essere in accordo con la mia: è al momento in cui si respingono tutti i principi, che conviene munirsi di scrupoli. Avevo assunto nei tuoi riguardi impegni imprudenti che la vita avrebbe disdetto: ti chiedo scusa, il più umilmente possibile, non tanto di lasciarti, quanto di essere rimasto così a lungo.”
Yourcenar “Alexis”
“,,...e abbiamo, ogni volta che ci si addormenta, la sensazione di affidarci a un amico.
Lo so bene, è un amico infedele, come tutti gli altri; quando siamo troppo infelici anche lui ci abbandona. Ma sappiamo che ritornerà i, forse sotto un altro nome, e che finiremo per riposare in lui”
Yourcenar “Alexis”
Orhan Pamuk " Neve"
“Quando scoprì leggendolo su alcuni libri, che dal momento in cui il fiocco di neve si cristallizza in cielo a forma di una stella a sei braccia, e poi scende a terra e scompare perdendo il suo aspetto, passano circa otto, dieci minuti, e venendo a sapere che ogni fiocco di neve si modella grazie al vento, al freddo, all’altezza delle nuvole, ma anche a tanti altri fattori misteriosi e incomprensibili, intuì che tra i fiocchi di neve e gli uomini c’era una relazione.
...Ogni persona doveva avere un suo fiocco di neve, in cui c’era una mappa interna della sua vita.”
Orhan Pamuk " Neve"
"E ora ti dico addio. Penso con infinita dolcezza, alla tua bontà femminile, o piuttosto materna: ti lascio con dispiacere , ma invidio il tuo bambino. eri il solo essere davanti al quale mi ritenessi colpevole, ma scrivere la mia vita mi conferma in me stesso; finisco per compiangerti senza condannarmi con severità. Ti ho tradita; non ho voluto ingannarti. Tu sei di quelle che scelgono sempre, per dovere, il cammino più stretto e più difficile: non voglio, implorando la tua pietà darti un pretesto per sacrificarti di più. Non avendo saputo vivere secondo la morale comune, cerco, almeno, di essere in accordo con la mia: è al momento in cui si respingono tutti i principi, che conviene munirsi di scrupoli. Avevo assunto nei tuoi riguardi impegni imprudenti che la vita avrebbe disdetto: ti chiedo scusa, il più umilmente possibile, non tanto di lasciarti, quanto di essere rimasto così a lungo.”
Yourcenar “Alexis”
“,,...e abbiamo, ogni volta che ci si addormenta, la sensazione di affidarci a un amico.
Lo so bene, è un amico infedele, come tutti gli altri; quando siamo troppo infelici anche lui ci abbandona. Ma sappiamo che ritornerà i, forse sotto un altro nome, e che finiremo per riposare in lui”
Yourcenar “Alexis”
La distanza
“Nei viaggi di un tempo, quando la distanza non poteva esser vinta senza fatica, ma la fatica veniva compensata in parte dall’agio con cui si potevano osservare i paesi che si percorrevano e in parte dalla felicità delle ore della sera, quando, dal colmo dell’ultima collina appena scrinata, il viaggiatore scorgeva nella valle il paese immoto in cui avrebbe riposato, le case sparse sui prati, presso il rivo; oppure, quando dalla svolta a lungo attesa nella fuga polverosa della strada, vedeva le torri d’una qualche città famosa svaporare all’ora del tramonto - ore di piacere calmo e intenso con le quali non ha nulla a che vedere, per la maggior parte degli uomini, l’arrivo forsennato a una stazione ferroviaria - in quei tempi lontani, ripeto, quando si doveva indovinare o ricordare qualcosa di più che non fosse una nuova forma di tettoia di cristallo o cancellata di ferro nel luogo d’arrivo, erano pochi i momenti il cui ricordo fosse più caro al viaggiatore di quello che lo conduceva in vista di Venezia, allorché la sua gondola sortiva dal canale di Mestre nell’aperta laguna.”
John Ruskin (1850)
John Ruskin (1850)
venerdì 1 agosto 2008
Accadde a Cortina di Goffredo Parise
ACCADDE A CORTINA
di Goffredo Parise
In una pubblicità televisiva appaiono alcune sequenze di sciatori in neve fresca: non so dove. Appaiono e scompaiono perché l’immagine dura molto poco, quanto basta per darmi ogni volta un’emozione molto forte, come di innamoramento, che mi fa bere quelle immagini così come si beve, cercando di possederne sempre il mistero, il volto della persona amata. È quello che io chiamo il mio amore per lo sci. Non è l’amore per la tecnica dello sci, né in particolare per la montagna, che infatti amo solo d’inverno, quando è coperta di neve, ma qualche cosa di molto più semplice e di molto più complesso che potrei impropriamente chiamare solitudine.
Mi piace molto sciare da solo, anche se è sconsigliato e non è raccomandabile mai, specie se fuori pista e in luoghi dove nessuno può soccorrerti nel caso anche di un minimo incidente. Sciare fuori pista, in neve fresca, tra i boschi e dove non si incontra gente può essere infatti molto pericoloso. Ma in quei momenti non importa. Basta una sciocchezza a un attacco, un minimo particolare tecnico che non funziona e si può rischiare di passare la notte al gelo, di essere introvabili, di morire. Non importa. Non posso dire dunque che il mio amore per lo sci è amore del rischio, ma appunto amore di qualche ora di solitudine e di bellezza.
Sopravvive naturalmente qualche cosa di infantile nel mio amore per lo sci, qualche cosa che non è mai stato appagato perché quando cominciai a sciare io, nell’inverno del 1945, nonostante l’età (avevo quindici anni) e l’entusiasmo un po’ canino che si ha a quell’età, la giornata di sci pura e intensa, senza mai fermarsi, non era mai veramente appagata.
Si finiva alla sera, di solito la sera della domenica, per tornare a casa con i mezzi di fortuna di allora, esausti, felici anche, ma mai veramente appagati. C’era sempre qualche cosa di inappagato: non essere riusciti a imparare abbastanza bene a curvare, un "cristiania" che non era riuscito a diventare parallelo, le brevi discese, sempre troppo brevi, la mancanza di impianti e in generale il sogno (anche quello inappagato) di sciare veramente bene. Per un certo numero di anni smisi di sciare e ricominciai molto più tardi all’età di trentacinque. Mi resi conto che si doveva rifare tutto daccapo. E lo feci, con l’umiltà e la passione di quello scolaro (rarissimo) che ama la cultura per la cultura.
Accadde, come si dice, a Cortina. Per molte stagioni presi una casa in affitto e mi trasferivo lì per tutto l’inverno. Con l’aiuto di un maestro, Miccia Alverà, imparai veramente a sciare. Poi con l’aiuto di un altro, una specie di folletto, Mario Lacedelli, imparai a sciare fuori pista e in neve fresca. Raggiunsi in tarda età quello che avevo sognato a quindici anni.
E come sempre quando si raggiunge quello che si è sempre sognato, non si desidera più o non si può più andare avanti. Allora accade quello che è sempre accaduto nell’uomo: il desiderio di trasmettere agli altri non soltanto la propria tecnica, che altro non è che tecnica, ma il senso profondo, intimo e solitario di questa bellezza, l’amore per lo sci diventa l’amore di insegnare quanto è bello lo sci. È l’età. E credo avvenga per molti.
Per quanto mi riguarda negli anni scorsi ho dovuto, con piacere e dispiacere al tempo stesso, ammettere che provavo una gioia molto più grande a vedere imparare qualche mio occasionale allievo che sciare io stesso. "Ormai, quello che è fatto è fatto", mi dicevo per quanto riguardava i miei apprendimenti, la mia personale tecnica o, come è più esatto dire, la mia esperienza. Un po’ come la vita. L’esperienza, cioè gli anni, se dotati di energia a sufficienza, mi avevano dato tutto o quasi tutto sullo sci: la traversata delle Tofane fino al Valon de La Ola, un canalone molto ripido, esposto a nord, di cui non si conoscono mai le condizioni della neve fino al momento in cui si giunge sul posto; il Bus de Tofane, appunto un buco che attraversa la punta di quella montagna, in cui si penetra per scendere poi, a capofitto, è il caso di dirlo, fino al rifugio Dibona; lo Sci Diciotto e la Vallorita sul Faloria, la Armentarola, che ormai è diventata una vera e propria pista, ma anche la Marmolada, il Sestriere, la Thuile, la traversata Plateau Rosa-Zermatt, il Monte Bianco, la Mer de Clace e moltissime altre discese.
L’esperienza, dico, che, purtroppo, si acquista soltanto con l’età, quindi con il trascorrere della vita e che diminuisce, ad ogni esperienza successiva, il bagaglio di esperienze che ci è dato vivere.
Uno dei dati e dei piaceri maggiori dell’esperienza è uscire di casa al mattino e indovinare anzi "combinare" le condizioni atmosferiche nel punto in cui ci si trova e da quelle indovinare le condizioni della neve lassù, dove si è deciso di andare a sciare.
Non è facile, perché il tempo può cambiare e tutto si capovolge ma, se le condizioni rimangono quelle annunciate, si può godere del piacere della qualità della neve che si andrà a raggiungere fin dalla porta di casa. E la qualità della neve è uno, se non il primo, massimo piacere dello sci. Abbastanza raramente si può avere una qualità di neve perfetta, sia in pista, che soprattutto fuori pista. Verso primavera invece si può stare più sicuri.
La neve si è assestata durante tutto l’inverno e con qualche giornata di vento caldo si è "cotta" abbastanza, con il sole durante il giorno e gelate durante le notti ancora fredde.
Allora in marzo o aprile, se il manto nevoso è esposto a sud, già fin dal primo mattino la neve si scioglie al sole di uno, due, tre centimetri. La discesa è per così dire vergine e, con quella qualità di neve, si può sciare dovunque e con molta facilità.
Spesso si incontrano camosci e caprioli in branchi, attratti dalla prima erbetta che spunta dalla neve sciolta: fuggono alla comparsa degli uomini verso tracciati anti valanga che essi solo conoscono.
La neve di primavera è meravigliosa ma la vera, la grande, la sublime, la matematica neve è quella polverosa, microscopica neve a ghiaccioli di pieno inverno, in gennaio. Soffice e così silenziosa che non si ode alcun rumore, appena il respiro degli sci quando il corpo si alza e si abbassa rapidamente per curvare, e lo scricchiolío quando si sta fermi.
La bellezza di questa neve è nutrita dal silenzio e dalla luce: una luce fredda e purissima, radente o a picco, senza ombre, dove il blu del cielo si appoggia al candore delle vette e dei manti, e il sole è un disco bianco e rovente come la bocca di un altoforno nell’infinito.
Allora cominciare a sciare, avendo davanti a sé una lunga discesa immacolata dove nessuno è mai passato, soli, contro il sole, aspirando quel profumo quasi impercettibile che il sole estrae dalla neve, un po’ ozono, un po di iodio, ascoltando i suoni interni dei propri muscoli, del respiro, dello sguardo e soprattutto il suono della propria energia in espansione, allora, e solo allora e per pochi istanti, si può dire e ripetere e ricordare: "Sì, sono e sono stato veramente felice di vivere".
di Goffredo Parise
In una pubblicità televisiva appaiono alcune sequenze di sciatori in neve fresca: non so dove. Appaiono e scompaiono perché l’immagine dura molto poco, quanto basta per darmi ogni volta un’emozione molto forte, come di innamoramento, che mi fa bere quelle immagini così come si beve, cercando di possederne sempre il mistero, il volto della persona amata. È quello che io chiamo il mio amore per lo sci. Non è l’amore per la tecnica dello sci, né in particolare per la montagna, che infatti amo solo d’inverno, quando è coperta di neve, ma qualche cosa di molto più semplice e di molto più complesso che potrei impropriamente chiamare solitudine.
Mi piace molto sciare da solo, anche se è sconsigliato e non è raccomandabile mai, specie se fuori pista e in luoghi dove nessuno può soccorrerti nel caso anche di un minimo incidente. Sciare fuori pista, in neve fresca, tra i boschi e dove non si incontra gente può essere infatti molto pericoloso. Ma in quei momenti non importa. Basta una sciocchezza a un attacco, un minimo particolare tecnico che non funziona e si può rischiare di passare la notte al gelo, di essere introvabili, di morire. Non importa. Non posso dire dunque che il mio amore per lo sci è amore del rischio, ma appunto amore di qualche ora di solitudine e di bellezza.
Sopravvive naturalmente qualche cosa di infantile nel mio amore per lo sci, qualche cosa che non è mai stato appagato perché quando cominciai a sciare io, nell’inverno del 1945, nonostante l’età (avevo quindici anni) e l’entusiasmo un po’ canino che si ha a quell’età, la giornata di sci pura e intensa, senza mai fermarsi, non era mai veramente appagata.
Si finiva alla sera, di solito la sera della domenica, per tornare a casa con i mezzi di fortuna di allora, esausti, felici anche, ma mai veramente appagati. C’era sempre qualche cosa di inappagato: non essere riusciti a imparare abbastanza bene a curvare, un "cristiania" che non era riuscito a diventare parallelo, le brevi discese, sempre troppo brevi, la mancanza di impianti e in generale il sogno (anche quello inappagato) di sciare veramente bene. Per un certo numero di anni smisi di sciare e ricominciai molto più tardi all’età di trentacinque. Mi resi conto che si doveva rifare tutto daccapo. E lo feci, con l’umiltà e la passione di quello scolaro (rarissimo) che ama la cultura per la cultura.
Accadde, come si dice, a Cortina. Per molte stagioni presi una casa in affitto e mi trasferivo lì per tutto l’inverno. Con l’aiuto di un maestro, Miccia Alverà, imparai veramente a sciare. Poi con l’aiuto di un altro, una specie di folletto, Mario Lacedelli, imparai a sciare fuori pista e in neve fresca. Raggiunsi in tarda età quello che avevo sognato a quindici anni.
E come sempre quando si raggiunge quello che si è sempre sognato, non si desidera più o non si può più andare avanti. Allora accade quello che è sempre accaduto nell’uomo: il desiderio di trasmettere agli altri non soltanto la propria tecnica, che altro non è che tecnica, ma il senso profondo, intimo e solitario di questa bellezza, l’amore per lo sci diventa l’amore di insegnare quanto è bello lo sci. È l’età. E credo avvenga per molti.
Per quanto mi riguarda negli anni scorsi ho dovuto, con piacere e dispiacere al tempo stesso, ammettere che provavo una gioia molto più grande a vedere imparare qualche mio occasionale allievo che sciare io stesso. "Ormai, quello che è fatto è fatto", mi dicevo per quanto riguardava i miei apprendimenti, la mia personale tecnica o, come è più esatto dire, la mia esperienza. Un po’ come la vita. L’esperienza, cioè gli anni, se dotati di energia a sufficienza, mi avevano dato tutto o quasi tutto sullo sci: la traversata delle Tofane fino al Valon de La Ola, un canalone molto ripido, esposto a nord, di cui non si conoscono mai le condizioni della neve fino al momento in cui si giunge sul posto; il Bus de Tofane, appunto un buco che attraversa la punta di quella montagna, in cui si penetra per scendere poi, a capofitto, è il caso di dirlo, fino al rifugio Dibona; lo Sci Diciotto e la Vallorita sul Faloria, la Armentarola, che ormai è diventata una vera e propria pista, ma anche la Marmolada, il Sestriere, la Thuile, la traversata Plateau Rosa-Zermatt, il Monte Bianco, la Mer de Clace e moltissime altre discese.
L’esperienza, dico, che, purtroppo, si acquista soltanto con l’età, quindi con il trascorrere della vita e che diminuisce, ad ogni esperienza successiva, il bagaglio di esperienze che ci è dato vivere.
Uno dei dati e dei piaceri maggiori dell’esperienza è uscire di casa al mattino e indovinare anzi "combinare" le condizioni atmosferiche nel punto in cui ci si trova e da quelle indovinare le condizioni della neve lassù, dove si è deciso di andare a sciare.
Non è facile, perché il tempo può cambiare e tutto si capovolge ma, se le condizioni rimangono quelle annunciate, si può godere del piacere della qualità della neve che si andrà a raggiungere fin dalla porta di casa. E la qualità della neve è uno, se non il primo, massimo piacere dello sci. Abbastanza raramente si può avere una qualità di neve perfetta, sia in pista, che soprattutto fuori pista. Verso primavera invece si può stare più sicuri.
La neve si è assestata durante tutto l’inverno e con qualche giornata di vento caldo si è "cotta" abbastanza, con il sole durante il giorno e gelate durante le notti ancora fredde.
Allora in marzo o aprile, se il manto nevoso è esposto a sud, già fin dal primo mattino la neve si scioglie al sole di uno, due, tre centimetri. La discesa è per così dire vergine e, con quella qualità di neve, si può sciare dovunque e con molta facilità.
Spesso si incontrano camosci e caprioli in branchi, attratti dalla prima erbetta che spunta dalla neve sciolta: fuggono alla comparsa degli uomini verso tracciati anti valanga che essi solo conoscono.
La neve di primavera è meravigliosa ma la vera, la grande, la sublime, la matematica neve è quella polverosa, microscopica neve a ghiaccioli di pieno inverno, in gennaio. Soffice e così silenziosa che non si ode alcun rumore, appena il respiro degli sci quando il corpo si alza e si abbassa rapidamente per curvare, e lo scricchiolío quando si sta fermi.
La bellezza di questa neve è nutrita dal silenzio e dalla luce: una luce fredda e purissima, radente o a picco, senza ombre, dove il blu del cielo si appoggia al candore delle vette e dei manti, e il sole è un disco bianco e rovente come la bocca di un altoforno nell’infinito.
Allora cominciare a sciare, avendo davanti a sé una lunga discesa immacolata dove nessuno è mai passato, soli, contro il sole, aspirando quel profumo quasi impercettibile che il sole estrae dalla neve, un po’ ozono, un po di iodio, ascoltando i suoni interni dei propri muscoli, del respiro, dello sguardo e soprattutto il suono della propria energia in espansione, allora, e solo allora e per pochi istanti, si può dire e ripetere e ricordare: "Sì, sono e sono stato veramente felice di vivere".
Il tuffatore
Dopo Castelreggio c’è una cava, e un molo con un nastro trasportatore
arrugginito. Il vecchio con i capelli bianchi saliva sul punto più alto, si
concentrava, si tuffava all’indietro ed entrava in acqua senza uno spruzzo.
Era stato un campione olimpico, poi aveva insegnato in una scuola di
nuoto, si era sposato, aveva avuto dei figli, anche dei nipotini che vedeva
qualche volta a Natale; la moglie era morta in un incidente stradale.
Il vecchio aspettava ogni anno l’inizio dell’estate. Si tuffava di
spalle. Si concentrava proprio come alle Olimpiadi, quando aveva vinto la
medaglia d’oro, eseguiva la capriola e entrava in acqua perfettamente. Ogni
mattina, anche se pioveva, si tuffava. Prima di lanciarsi nel vuoto,
ripensava alla sua vita, ripensava al momento in cui era stato un campione:
al confronto gli altri momenti della vita gli erano sembrati poco.
Una mattina d’agosto incontrò dei ragazzi che usavano quel trampolino, si
spingevano, si buttavano in mare a candela. Il vecchio li guardò in
silenzio, non sapevano tuffarsi, rischiavano la vita. Voleva dire loro
qualcosa, poi pensò che si divertivano, che lo avrebbero preso in giro.
Raccolse l’asciugamano e se ne andò.
arrugginito. Il vecchio con i capelli bianchi saliva sul punto più alto, si
concentrava, si tuffava all’indietro ed entrava in acqua senza uno spruzzo.
Era stato un campione olimpico, poi aveva insegnato in una scuola di
nuoto, si era sposato, aveva avuto dei figli, anche dei nipotini che vedeva
qualche volta a Natale; la moglie era morta in un incidente stradale.
Il vecchio aspettava ogni anno l’inizio dell’estate. Si tuffava di
spalle. Si concentrava proprio come alle Olimpiadi, quando aveva vinto la
medaglia d’oro, eseguiva la capriola e entrava in acqua perfettamente. Ogni
mattina, anche se pioveva, si tuffava. Prima di lanciarsi nel vuoto,
ripensava alla sua vita, ripensava al momento in cui era stato un campione:
al confronto gli altri momenti della vita gli erano sembrati poco.
Una mattina d’agosto incontrò dei ragazzi che usavano quel trampolino, si
spingevano, si buttavano in mare a candela. Il vecchio li guardò in
silenzio, non sapevano tuffarsi, rischiavano la vita. Voleva dire loro
qualcosa, poi pensò che si divertivano, che lo avrebbero preso in giro.
Raccolse l’asciugamano e se ne andò.
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