"Nel blog l'altro può firmare nel tuo testo, esiste uno spazio per chiunque decida di arrivare"
domenica 18 aprile 2010
Milano 2
(segue il post del 10 aprile) La mostra “Quali cose siamo” è una macedonia di oggetti, installazioni, sculture di artisti giovani e meno giovani. Un’altra exhibition è dedicata a Greta Garbo, un collage di vecchi film in bianco e nero la mostra mentre bacia, seduce, balla. L’orchestra la segue quando lei si ferma e con i tacchi inizia a battere un nuovo tempo, più ritmato, più appassionato, volteggia alzando la mano e sorridendo ai suoi cavalieri; in un’altra scena un azzimato corteggiatore le dice “Siete una creatura reale o siete nata da un fiocco di neve?”. Si esce tra decine di manichini che mostrano i vestiti del suo straripante guardaroba e una grande foto: lei, occhiali neri, la falda del cappello e l’indice che sfiora il naso. Le panchine del castello sforzesco sono strette ma il sole è un largo abbraccio caldo. Alla Biblioteca Trivulziana gli studiosi lavorano sodo, una delle impiegate è su Facebook, alle sue spalle volumi del sedicesimo secolo. “La biblioteca era una spazio polifunzionale – spiega un altro bibliotecario, sulla sua scrivania c’è il saggio ‘Sei secoli di legature’. Qui Francesco Sforza mangiava, riceveva gli ospiti, scriveva.” A metà pomeriggio gli archi, le logge, i corridoi, le colonne della Pinacoteca di Brera si moltiplicano in un altalenante gioco d’ombre sorvegliato da un cielo intenso e luminoso. Uno dei primi quadri è il Cristo morto del Mantenga, le pieghe del lenzuolo, i volti delle donne piangenti sulla sinistra e quel corpo da atleta schiacciato verso il cuscino. Respiri trattenuti davanti a San Gerolamo penitente del Tiziano o la Cena in casa di Simone di Paolo Veronese o il Miracolo a San Marco del Tintoretto, la Madonna e Santi di Piero della Francesca, lo Sposalizio della Vergine di Raffaello, il Cenacolo di Rubens. Nelle ultime sale il Bacio di Hayez, Fiumana di Pellizza da Volpedo e Rissa in galleria, uno splendido quadro di Boccioni. Dopo un caffè al bar Brera, via Montenapoleone è una parata di quadrivetrina: Pucci, Versace, Armani, Ferragamo, Valentino, Louis Vuitton. Alcune giovani dame di compagnia ritirano mazzi di borse per le loro signore. Panino briemelanzaneprosciutto accompagnato da Nero d’Avola, pausa serale all’Hotel Nuovo e poi alle nove “Dialogo nel buio” all’Istituto italiano ciechi di via del VIvaio. Quasi due ore nel buio assoluto attraversando stanze di oggetti, profumi, suoni; voci di volti immaginati, mani su lettere scolpite, macchine parcheggiate, frutta, alberi, computer. Al termine del percorso Cafè noir: cocktail e salatini, un pianoforte in sottofondo, c’è tempo di scherzare: Dove sarà l’uscita? In fondo a destra, che domande. Al chiaro i volti non assomigliano a quelli immaginati, sono più giovani e vengono da Como. Si chiacchiera dell’Italia fino a tardi, vorrebbero dare una speranza al nostro paese, una luce a un futuro che temono buio. Cappuccino e krapfen al bar del Corso. A due passi dal bar un barbone a gambe incrociate, velato da stracci, sciarpe malandate, sacchi a pelo puzzolenti, ricorda nel suo abbandonarsi il Cristo de La Pietà di Michelangelo; solo che non c’è nessuna Madonna a sorreggerlo, dietro di lui solo il freddo granito di un palazzo. Anche tra i quadri e le acqueforti di Goya, in mostra a Palazzo Reale ci sono gli ultimi: “La società cambia, ma anche la scuola ed i giochi dei bambini, i voli degli stregoni ed i loro sabba, la vita dei frati, quella di prostitute, popolane, dongiovanni, signore aristocratiche affascinanti, modeste e umili lavandaie, lattaie, cacciatori, spadaccini, toreri. Nessuno è troppo umile troppo importante per lo sguardo di Goya.” In una lettera scrisse: “Per distogliere la mente dalla considerazione dei miei mali mi dedicai a dipingere una serie di quadri da studio nei quali la fantasia e l’invenzione non hanno confini.” Nelle acqueforti: un legislatore con le ali da pipistrello, una donna che uccide un soldato mentre tiene in braccio un bambino, un prete che alimenta una lampada da cui dipende la sua vita, e la famosa incisione Il sonno della ragione genera mostri. Chissà quali mostri o strane creature si agitano nella mente del barbone seduto vicino al bar del Corso? Prima di uscire l’esposizione “Fuoco”, ancora frasi da sfogliare passeggiando: “Il fuoco è il tempo fisico e l’inquietudine assoluta, dissoluzione di ogni cosa e anche di se stesso, e noi comprendiamo a partire da ciò che Eraclito ha potuto designare il fuoco come concetto del movimento partendo dalle sue determinazioni fondamentali.” (Hegel). “Tutti sappiamo che i libri bruciano ma sappiamo anche che i libri non possono essere uccisi dal fuoco. Gli uomini muoiono i libri non muoiono mai.” (Rooswelt). Un’installazione: una pila di libri in cui sono incastonati degli schermi che trasmettono le immagini in bianco e nero dei roghi nazisti, alternate alle immagini a colori di fiamme. Piove: un tram giallo, un palazzo con due telamoni che sembrano reggersi la testa preoccupati, un balordo chiede soldi a un’anziana suora che spaventata accelera il passo e si allontana, le tranquille vetrine e l’insegna anni Venti della pasticceria Marchesi. Una chiesa della pianura nel centro della città: la romanica basilica di Sant’Ambrogio, una cattedrale di libri, la Biblioteca Ambrosiana con la sua suggestiva sala di lettura seicentesca, la sala Federiciana nella quale sono esposti alcuni disegni originali del Codice Atlantico di Leonardo. I suoi disegni sembrano muoversi mentre li guardi e la sua insolita scrittura pare un prezioso arabesco, un tessuto prezioso che luccica di riflessi diversi. Fuori alcune gocce di pioggia punzecchiano i tram gialli che ricordano quelli di Lisbona. La Loggia degli Osii in piazza dei Mercanti con il suo caratteristico balconcino , detto “parlera”, dal quale nel Medioevo i magistrati annunciavano al popolo editti e sentenze. Un africano suona il sax davanti ad una saracinesca rossa, un fruttivendolo con l’insegna “L’ortolàn püsee vecc de Milan” e le vetrine dell’enogastronomia Peck “a Milano dal 1883” ricordano Harrods. La commessa die the è di Parigi, era venuta a Milano per uno stage in hotel a cinque stelle, è laureata in marketing e comunicazione del lusso, ha deciso di fermarsi qui, forse ha trovato l’amore . I the aromatizzati sono profumati anche nei nomi: Deux Chinois, Melange du Prieure, Oolong fiori d’arancio. Nella cantina vini di tutto il mondo: Argentina, Cile, California, Perù. Una bottiglia di Masseto dell’Ornellaia è in vendita a 10.000 euro. Due fidanzati si baciano in Galleria, un signore che ricorda Enzo Biagi cammina lungo il dehors del bar Zucca, una pianista suona Debussy. Cena al ristorante Nabucco, quartiere Brera: arie di Verdi in sottofondo e ottimo risotto alla milanese accompagnato da un Terratico di Bibbona; pessimo il cameriere che non sa stare in equilibrio tra educazione e confidenza. Sorprendono i fiori di zucca scottati in padella con ricotta fresca e pesto leggero; come dessert tarte tatin, una torta di mele particolare: le mele sono cotte nella tortiera ma la pasta brisè viene aggiunta dopo cosicché a cottura avvenuta il dolce va rovesciato sul piatto. Nel tavolo accanto un lui attempato e una donna sui trent’anni dai lineamenti asiatici. Discutono in tedesco di musica e sono affettuosi tra di loro. Fuori dal locale una signora vestita di rosso predice il futuro ai passanti. Il ritorno è nella pianura sfogliando un libro su Goya, sonnecchiando e sbirciando la campagna morbida di pioggia.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento