venerdì 25 giugno 2010

"Nel dire che respiri"

Una sigaretta tra le dita e l'iPod, una sigaretta da accendere e aspirare appena il treno di fermerà. Dal mare di Riccione ai grattacieli di Shangai, dai tortellini al sushi, e quel libro “Nel dire che respiri” di Andrew Hidden. Scrivo pensando che mi leggerai: il posto di fronte al tuo era occupato da un cocciuto cinese che non si è spostato, sarebbe stato tutto diverso. Persone che incontri così per caso e non vorresti mai lasciare, in realtà le conosci già, forse le hai incontrate in un’altra vita, sono da qualche parte nel tuo millenario dna, e sembra tutto così naturale. In questo incrociarsi di coscienze seguiamo direzioni diverse; in viaggio incontriamo chi nella vita di tutti i giorni non incontreremmo mai, ma che cosa manca ancora per conoscersi, riconoscersi ancora, domandare? Il tempo, la fiducia, l’intuizione, la fortuna, il desiderio, l’affinità, la sensibilità, e che cosa c’è di strano? Di strano non c’è nulla se non il caso che è vicino a noi ogni giorno, invisibile guida la nostra vita, un filo che i nostri respiri soffiano da un istante all’altro, ma verso dove, verso chi? C’è una spinta, un sussulto nel conoscersi, riconoscersi che rimane sospeso nelle parole non dette, negli sguardi fuggiti, nelle scelte non prese; anche quando viviamo con una persona giorno e notte alcune stanze restano per noi così come territori sconosciuti dentro di noi, sono lì in lontananza come le persone che incontriamo per caso, si scorgono in fondo a nebbie e schiarite improvvise, tra vortici di pensieri, sogni sorridenti. Questo incrociarsi, sfiorarsi, intuirsi, pensarsi immaginarsi, riflettersi è simile ai migliaia di riflessi dell’oceano luccicante di sole. Poi l'attimo sfuma in una nuvola che si perde dietro altre nuvole. Va beh so che non risponderai, era solo così per fare due chiacchiere, ma non importa, forse ti incontrerò di nuovo. La prossima volta però il testardo viaggiatore nel posto di fronte al tuo scenderà alla prima fermata.

mercoledì 23 giugno 2010

Storytelling


Raccontare una storia, invece che dare un comando, raccontare una storia invece di creare un obbligo, raccontare una storia invece di proporre un dogma. L’antica arte di persuadere è oggi usata dalle aziende trasmettere competenze, ottenere fedeltà, migliorare la produttività. Cortile vecchio del Bo a Padova, 18 giugno, incontro sul Corporate Storytelling. Nello stesso cortile, ma in un’altra sala il seminario Leggere Ranganathan, matematico e bibliotecario indiano (1982 – 1972), inventore della classificazione a faccette e delle cinque leggi della biblioteconomia moderna: i libri sono fatti per essere usati, a ogni lettore il suo libro, ad ogni libro il suo lettore, non far perdere tempo al lettore, la biblioteca è un organismo che cresce. Due pubblici diversi ma entrambi qui per sentire raccontare una storia. Etienne Wenger, studioso di processi educativi e conoscitivi, elenca alcune tipologie di storie molto efficaci: warstories, birth stories, challenge, case clinics, personal stories. Le storie raccontate nei gruppi di lavoro servono a creare processi di identificazione, stimolare l’immaginazione, farsi ricordare, trasmettere conoscenze legate all’esperienza, affermare identità, collegare ambiti diversi, creare fiducia. Ma le relazioni e i risultati di un gruppo di lavoro, esattamente come accade nella vita di una coppia, devono attingere sempre a nuove energie, progetti e valori comuni. "Raccontare quello che non si vede è l’obiettivo delle storie inventate dal Future Centre di Telecom" spiega Roberto Saracco attraverso immaginifiche metafore: raccontare un’emozione per avvitare un ricordo, un incrociarsi di nasi per per formare un naso più lungo in grado di fiutare il futuro, un video che mostra l' iPod ricaricato con una pompa di benzina Telecom, uno stand con pareti coperte di verdure a ricordare che esistono sofisticati sensori che telecomunicano la presenza sonora di insetti nocivi nei campi di mais d’Israele, nelle monoculture di patate della McDonald’s. Per il Gruppo Coin Marianna Sannuto illustra il sales coaching. I commessi più appassionati e competenti sono stati portati in tournée nei megastore dell’azienda per formare attraverso una contaminazione passiva i nuovi arrivati. Da qui anche l’idea di un libro: il manuale del sales coaching con le storie dei venditori più brillanti, il loro modo di lavorare e di avere feeling con il cliente. “Costruzione della consapevolezza in azienda” è stato il tema scelto da Giuseppe Marcuccio di Banca Intesa che ha inviato a 52 promotori finanziari una mail che chiedeva loro di raccontare “che cosa so fare bene”. In base alle risposte ha misurato la loro affidabilità, responsabilità, cura, fiducia. Una tecnica aziendale per entrare nelle coscienze dei suoi collaboratori. L’ultima slide è stata la foresta della curiosità tratta dall’ Atlante del mondo interiore di Louise Van Swaaij e Jean Klare. Un bisogno di mappare, catalogare, analogo a quello che spinse Ranganathan a inventare un nuovo modo di classificare i libri. C’è una necessità innata nell’uomo di inquadrare, sistemare, capire sé stesso e gli altri. Quante volte guardiamo la cartina in una città che non conosciamo, chiediamo a Google un’indicazione, ci interroghiamo su cosa pensano gli altri di noi? Nel pomeriggio Fabio Grigenti su Il farmaco della parola e Umberto Curi su Il pathos della narrazione.
(foto scattata a Giavera del Montello il 6 giugno a Ritmi e danze dal mondo)

domenica 13 giugno 2010

Papiri and papers


Che testi leggiamo quando leggiamo i testi dell'antichità? Essi sono copie di copie, codici risalenti all'ottavo nono secolo o ad epoca posteriore. Quale copista di Platone, di Aristotele, della Bibbia, dell'Odissea ci trasmette il testo che stiamo leggendo? Ad esempio il libro di Isaia, risalente al VII secolo prima di Cristo, è riprodotto in due codici: il Codice del Cairo risalente al 895 dopo Cristo e nel manoscritto di Qumran del I secolo avanti Cristo. I due codici differiscono in vari passaggi e di solito la versione più difficile, più complessa, è ritenuta più fedele perché si suppone che il copista possa avere la tendenza a semplificare più che a complicare il testo che sta riproducendo. È come se la scrittura dell'antichità arrivasse a noi attraverso un infinito specchiamento, una vertigine di riflessi come nei migliori racconti di Borges. E ancora: quanta soggettività vi è nella ricostruzione degli storici che dispongono spesso solo di documenti che sono anch'essi copie di copie e che furono redatti con intenzioni, significati e riguardo a fatti di cui lo storico non è stato testimone? Sul tema si possono leggere Apologia della storia di Marc Bloch e Copisti e filologi di Reynolds Leighton e Wilson Nigel. Ma ci sono altre questioni aperte: la differenza fra fonti letterarie e fonti documentarie, tra documenti ritrovati negli archivi e fuori dagli archivi, il perché siano rarissimi gli archivi nel Medio Oriente preottomano. Ne hanno parlato nell' interessantissimo incontro Papyrus, Parchment & Paper: Documents & the History of the Medieval Near East & Mediterranean, svoltosi il 3 e 4 giugno, Marina Rustow della John Hopkins University e Piero Capelli dell'Università Ca' Foscari.
Una nota curiosa: gli studiosi di papirologia araba per confrontarsi a distanza usano la piattaforma Internet dell'Università di Zurigo, un sito che è aperto a tutti.

sabato 5 giugno 2010

Blu e nuvole

Blu e nuvole biancolampeggianti fuori dai magazzini del sale. Vento, conversazioni cellulari. Pausa caffè lungo il filo della scrittura. Roberto Ferrucci non salva i sudamericani, due ore da Perec a Modigliani, ma cosa il racconto deve raccontare? Baristi con facce da secondini: gesti muscolari, maleducate imprecisioni. Poi di nuovo vento di gabbiani, voglia di vagare per il mondo e raccontare: "Si può fare anche qui - dice qualcuno - fermati a guardare il mare".

mercoledì 2 giugno 2010

Cafè

Café Central, appena entro, sulla sinistra il tavolo con la statua di Peter Altenberg che legge il giornale, ma ci veniva anche Freud a giocare a carte. Arriva una coppia, lui con una mano tiene il violino davanti a sé, lei indossa un vestito nero e uno scialle rosso damascato, sono zingari, si capisce che vivono cantando nei locali In un angolo del locale c'è un quadro che riproduce una scena di caccia: un cervo fugge tra gli abeti mentre un cacciatore prende la mira sotto un cielo blu. Loro si mettono lì, proprio sotto quel quadro per suonare delle melodie zigane. Uno studente dell'Accademia di belle arti li guarda e disegna sul quaderno. Dalle finestre occhieggiano curiosi passanti. Posso sedermi? chiede la guardia della Hofburg che assomiglia a Francesco Giuseppe, con due baffi bianchi e la barba. Ordina una birra scura e dice che quei due, come tutti gli artisti, sono dei Luftmenschen, gente senza un reddito fisso, con la testa per aria, però riescono a farti commuovere quando suonano o cantano qualcosa. Lakatos, così mi hanno detto si chiama il violinista, discende dal leggendario Janos Bihari che nel 1815 suonò davanti agli Asburgo in occasione del Congresso di Vienna. Magda, la cantante, sussurra una vecchia storia d'amore fra un principe e una zingara. Voglio raccontarti l'intera mia vita - dice la canzone - la mia vita cominciò il giorno in cui ti conobbi, con coraggio ti guardai negli occhi, nata in un mondo che non era il tuo imparai a seguire le tue strade, a riconoscere le tue montagne, a sorridere nei tuoi mari di quiete... Chissà come si chiama il soldato che si è seduto al mio tavolo? Con gli occhi stanchi e un arabesco di schiuma sui baffi bianchi ordina la seconda birra. Potrebbe chiamarsi Joseph e forse da giovane è passato anche lui da Jadlowker, quella taverna lungo il confine dove si incontravano disertori in fuga, avventurieri e donne di facili costumi. Non lontano da qui, in Kundmanngasse, al numero 19, si trova la casa di Wittgenstein, costruita senza lesinare in denaro e tempo: se lo poteva permettere, era molto ricco. Una casa cubica, essenziale e concisa come alcune delle sue riflessioni. Come mai non esistono più i Café come luogo d'incontro, non solo di artisti, dove leggere, discutere, conversare? Penso al Cafè A Brasileira di Lisbona, il café amato da Fernando Pessoa, ai café di Odessa frequentati dai gangster di Isaac Babel, a quelli di Copenhagen di fronte ai quali passava Kierkegaard, al Café Griesenthal di Vienna con lo stammtisch di Adolf Loos, Alfred Polgar e Hugo von Hofmannsthal., al Cafè Museum soprannominato “Café Nihilismus” per la sua architettura essenziale, al Café Imperial dove Trotzkij parlava di rivoluzione e Rilke conobbe Karl Kraus. Vienna è un crocevia di culture, qui soffia il vento dei Carpazi, un vento errabondo come i nostri destini che si sfiorano, alle volte in un cafè, per poi disperdersi.