mercoledì 29 dicembre 2010

L'autore dell'opera

La condizione preliminare di qualsiasi opera letteraria è questa: la persona che scrive deve inventare quel primo personaggio che è l'autore dell'opera. Che una persona metta tutto se stesso nell'opera che scrive è una frase che si dice spesso ma che non corrsponde mai a verità. È sempre solo una proiezione di se stesso che l'autore mette in gioco nella scrittura, e può essere la proiezione d'una vera parte di se stesso come la proiezione d'un io fittizio, d'una maschera. Scrivere presuppone ogni volta la scelta d'un atteggiamento psicologico, d'un rapporto col mondo, d'un'impostazione di voce, d'un insieme omogeneo di mezzi linguistici e di dati dell'esperienza e di fantasmi dell'immaginazione, insomma di uno stile. L'autore è autore in quanto entra in una parte, come un attore, e s'identifica con quella proiezione di se stesso nel momento in cui scrive.
Italo Calvino, Una pietra sopra, Einaudi, Torino,1980

domenica 26 dicembre 2010

L'aria delle cime


"Chi sa respirare l'aria dei miei scritti sa che è un'aria delle cime, un'aria forte. Bisogna esser nati per respirare quell'aria, altrimenti si corre il rischio, non piccolo, di raffreddarsi, lassù. Il ghiaccio è vicino, la solitudine immensa - ma che pace illumina le cose! Come si respirare liberamente! quanta parte di mondo sentiamo sotto di noi! La filosofia, così come io l'ho intesa e vissuta fino ad oggi, è vita volontaria fra i ghiacci e le alture - ricerca di tutto ciò che l'esistenza ha di estraneo e problematico, di tutto ciò che finora era proscritto dalla morale. Attraverso una lunga esperienza di itinerari nel proibito, ho imparato a considerare le cause per cui fino a oggi si è moralizzato e idealizzato in modo assai diverso da quello che comunemente si richiede: mi si è fatta luce sulla storia segreta dei filosofi, sulla psicologia dei loro grandi nomi. Quanta verità puo sopportare, quanta verità può osare un uomo? questa è diventata la mia vera unità di misura, sempre più."

"Fra i miei scritti, il mio Zarathustra sta a sé. Donandolo all'umanità, le ho fatto il più grande regalo che essa abbia mai avuto. Questo libro, una voce che passa sui millenni, non solo è il libro più alto che esista, il vero libro delle cime - tutto l'affare uomo gli sta sotto, a enorme distanza - , ma anche il più profondo, generato dalla più intrinseca ricchezza della verità, una fonte inesauribile dove non si può calare il secchio senza farlo risalire colmo d'oro e di bontà."

"Io passo in mezzo agli uomini, come in mezzo a frammenti dell'avvenire, di quell'avvenire che io contemplo."

"Fare un esperimento della propria vita stessa - questo soltanto è libertà dello spirito, questo divenne poi per me la filosofia."

Friedrich Nietzsche, da Ecce Homo (1888) e da Frammenti e postumi (1888)

martedì 21 dicembre 2010

Nuvole


Nuvole...esisto senza che io lo sappia e morirò senza che io lo voglia. Sono l'intervallo fra ciò che sono e ciò che non sono, fra quanto sogno di essere e quanto la vita mi ha fatto essere, la media astratta e carnale fra cose che non sono niente, più il niente di me stesso. Nuvole...Che inquietudine se sento, che disagio se penso, che inutilità se voglio! Nuvole...
Fernando Pessoa da Il libro dell'inquietudine

sabato 18 dicembre 2010

Il gesto che sorprende

Pietra, legno, ferro si trasformano sotto le loro mani in forme e decori, manufatti e sculture che sorprendono per la loro bellezza e unicità. Tutto nasce sempre dalla capacità di disegnare fin nei minimi particolari quello che si dovrà poi realizzare attraverso gesti sapienti. Alle volte, dopo tanti anni di esperienza, il disegno è solo nella mente, è la memoria delle mani che plasmano la materia. Altre volte è un calco di gesso che porta alla scultura, all'ornamento, altre volte ancora sono piccoli pezzi che vanno montati senza possibilità d'errore. Ogni oggetto contiene in sé l'originalità di un'idea, la storia di uno stile ma soprattutto la passione di creare qualcosa che prima non esisteva.

mercoledì 15 dicembre 2010

Storming Pizza, Tales of creativity

Il fiume scorre là fuori nella gelata campagna veneta a sud di Roncade. Nella sede di H-Farm, l’azienda di webcreativi e start up fondata da Riccardo Donadon, sta per cominciare il laboratorio di idee Storming Pizza. Gli schermi degli iPad e dei MacBook illuminano volti pensosi, sorridenti, concentrati. Vladimiro e un wedesigner dalla barba evangelica scambiano alcune impressioni su LeWeb Paris, la conferenza internazionale che l’8 e il 9 dicembre ha riunito 2500 fra imprenditori, bloggers, investitori e giornalisti. Un giovane con grandi occhiali neri commenta: “Non basta avere una buona idea, bisogna avere la forza e la capacità di portarla avanti, insomma “big shoes and beautiful mind”. Il primo a prendere la parola per raccontare il suo progetto è Massimo. Il nome della sua creatura è Resbox, un applicativo per ricostruire la vita degli oggetti e per condividere con altri idee e informazioni sulle cose. L’uditorio ascolta tra un passaggio di file con Bluetooth e le vibrazioni dei messaggi in arrivo sugli iPhone. “Più persone registrano i loro oggetti in Resbox e più il sistema funziona. Ipotizziamo che io stia cercando un modello particolare di macchina: entro in Resbox e condivido con tutti quelli che hanno registrato quel tipo di veicolo dati e informazioni .”Sì, la cosa potrebbe funzionare, osserva Vladimiro, per quegli oggetti per i quali vi è scarsa disponibilità, come i vinili o le auto d’epoca. Non dobbiamo pensare di essere sempre onnicomprensivi, ma ragionare anche per settori, microaree.” Sorgono ulteriori riflessioni sulla necessità di QR code (un codice di riconscimento) e sul collegamento con Kooaba, dispositivo che cataloga le immagini e Tales of Things, dispositivo che archivia le storie degli oggetti. È la volta di Billo che presenta Wefo, un sistema di gradimento dei siti. “Con Wefo - spiega Billo - puoi fotografare ciò che ti piace di un sito e nello stesso tempo chi visiterà quel sito potrà, usando Wefo, capire quali sono le aree che hanno riscosso maggior successo. Serve un plug-in nel browser. Posso anche decidere, attraverso una mappa di dettagli fotografici, di navigare nel sito seguendo le aree che hanno riscosso maggior gradimento.” A Vladimiro viene in mente un’applicazione che presenta delle analogie apparsa sul creativeapplications e che dà la possibilità ai lettori di un libro in formato elettronico di taggare le frasi o le pagine che li hanno emozionati e interessati maggiormente. Chiunque attivi questo programma può non solo agire segnalando a futuri lettori le sue preferenze, ma anche leggere il libro con gli occhi degli altri. Le righe o le parti “molto buzz” dagli utilizzatori hanno infatti gradazioni di colore diverse. Ci si confronta anche su Sidewiki, la funzione web annotation di Google, sulla possibilità di sviluppare un grabber o un bookmark ad hoc. Da un’idea all’altra la riunione si avvia verso un’amichevole conclusione: arrivano le pizze di tanti gusti. Il dialogo prosegue più leggero su Android e social games, sulle incredibili revenues di chi si è inventato i social goods, sulla nuova maschera di Facebook. Le parole scorrono come il fiume là fuori verso nuovi paesaggi.

lunedì 13 dicembre 2010

L'occhio critico

Esiste un'etica che l' "occhio critico" deve assumere: quella del rispetto degli enigmi personali dell'autore. Non si può, né si deve, decifrare "tutto". Ciò che si deve, invece, assumere è la responsabilità delle trasformazioni che l'impatto con l'opera promuove nello spirito e nel corpo del lettore. Il mondo dell'artista è segreto e quello che noi conosciamo è soltanto la sua maschera, la sua forma esterna, che è già una metamorfosi "pubblica" del segreto. Gli enigmi fanno parte del corpo dell'apparire della maschera. Il criterio che vuole conoscere, interpretare, sciogliere tutto, dimentica o nega che sciogliendo il discorso enigmatico si scioglie anche la "cera" del volto delle cose, la maschera della persona. In greco "persona" o prospon dà origine alla "maschera", prosopeion: la maschera è quindi legata alla persona come l'ombra al corpo . Ogni espressione, ogni gesto, ogni parola, ogni scritto ha una sua ombra.
Salomon Resnik, Sul Fantastico, Bollati Boringhieri, Torino, 1996

sabato 11 dicembre 2010

Le donne viste dalle donne


Immagini poetiche, impegnate, ironiche, immagini di donne che hanno cercato nel quotidiano i momenti della loro femminilità, della loro storia, del loro privato. Sono per certi versi sorprendenti le foto e i testi giunti all’associazione Dorothy di Vittorio Veneto - presieduta da Adriana Paolucci e coordinata da Susanna Tomaselli - per il concorso "Le Donne viste dalle donne”. Oltre duecento le partecipanti dal Veneto e da varie regioni italiane. Trentatrè le foto selezionate dalla giuria composta tra gli altri da Margherita Gobbi, psicologa e psicoterapeuta, Flavia Maraston consigliera per le Pari opportunità e dall’artista Armando Comin. Saranno esposte alla mostra che si inaugura oggi alle 18 allo spazio Mavv di Vittorio Veneto. Un viaggio nell’universo femminile, un susseguirsi di frame lungo i confini di sensibilità diverse. Due occhi in uno specchio: Volti femminili che si affacciano a scrutare la propria interiorità, si sporgono per veder affiorare e dissipare nell’esistenza il proprio essere con le sue innumerevoli sfumature (di Giulia Buci). Una giovane ranicchiata sul letto guarda il cellulare in attesa di una risposta: Ci sono donne che aspettano una chiamata, una parola, un sorriso che le faccia vivere ancora e le donne che non aspettano più niente (Marina Migena). Un volto arrabbiato e una mano che strappa una catena, Taiana Righetti cita Simone de Beauvoir: Una donna che non ha paura degli uomini fa loro paura, Une femme qui n’a pas peur des hommes fait leur peur. Ironico il ritratto di una signora in posizione yoga in un vecchio lavandino: A dimostrare che superiamo gap ambientali terribili e abbiamo la capacità di accedere a livelli spirituali che ci salvano (Annalisa Busato). Un cervello, una chiave inglese e un corpo sensuale: Un omaggio a tutte le donne che preferiscono prendersi cura della propria testa invece che del proprio corpo (Martina Emilia Scalia). Una mamma dopo una giornata di lavoro legge un libro a suo figlio: E dopo un momento di relax si dovrà ripartire con le solite care faccende! (Barbara Dal Cin). Close up su gamba abbronzata che esce da una macchina: Sappiamo essere molto sexy anche solo con un paio di infradito ai piedi...non c’è bisogno di vestiti costosi o di tacchi a spillo (Luana Rigolli). Una donna riflessa nel vetro di un forno: Non di sole pentole (Gloria Piana). Uno sguardo rubato per strada e una frase di K. Gibran: Ascolta la donna quando ti guarda, non quando ti parla (Maura Ghiselli). Interno bagno con lei di spalle e in piedi davanti al water: WhoMan? Quanto il mito della donna al maschile rispecchia la nostra vera natura? (Roberta Modolo). Un volto sorridente con gli occhi chiusi che abbraccia due cani affettuosi in mezzo alla neve: Una inesauribile capacità d’amare e di ascoltare sé stessa e gli altri per comprendere l’essenza delle cose, di apprezzare la vita con la consapevolezza di chi ha sofferto e sa quanto è importante donare un sorriso (Sabrina Falcone). Dettaglio di una bocca con una dentatura irregolare: Non siamo perfette ma sappiamo sorridere. Ci sono milioni di donne che per il lavoro e la famiglia trascurano sé stesse. Ci sono donne che non sono perfette ma nonostante questo continuano a sorridere alla vita e a guardare avanti dando sempre il massimo (Silvia Casagrande). La mostra "Le donne viste dalle donne", che resterà aperta fino all'11 gennaio, è non solo un appuntamento con la fotografia ma anche con una profonda ricerca di senso.

mercoledì 8 dicembre 2010

Perdersi


Ci sono dei momenti in cui ti senti improvvisamente perso. Perdersi è molto semplice, basta un po’ di neve che cade su una pista da sci, una mano da stringere che sfugge, uno sguardo d’intesa che non c’è più. Stai percorrendo una strada, ma superata una curva nascono i dubbi e tutte le certezze cadono giù, in un istante. E’ come se ti sfilassero la sedia un secondo prima che tu ti stia sedendo, con il culo per terra guardi le leggi del mondo e le sicurezze che avevi, non ci sono più. Non c’è quel mondo, o meglio c’è,ma c’è altro. Poi basta alzare uno sguardo e la nebbia si è diradata, incontri occhi nuovi e ti innamori, oppure prendi un treno e torni a casa. Perdersi non c’entra con l’orientamento o la lettura delle cartine, con le bussole o i punti cardinali. E’ una cosa più intima che mostra una parte di noi che non conoscevamo, c’è una parte di noi che non sembra noi. E da lì tutti ci passano e si sentono persi.
LucaS

La tempesta


La tempesta sta per scatenarsi alle spalle della donna. Lei mi trafigge con lo sguardo, quasi a dirmi “So perché sei qui”. Mi muovo, i suoi occhi mi seguono. Perché guarda solo me fra tutte le persone in questa stanza? “Non hai niente di meglio da fare?” penso stizzita, “metti in salvo tuo figlio e smettila di fissarmi”. Sono tesa. Cerco di concentrarmi su quello che devo fare, ma quello sguardo che scruta mi mette a disagio. Il che è davvero stupido, mi dico. Una figura dipinta non può leggere nel pensiero, farti sentire in colpa. Forse è un segno. Forse non avrei dovuto accettare questo lavoro. Io, capace di rubare un quadro famoso? La sala del museo si riempie. Ora un gruppo di sedicenni allampanati e rumorosi mi separa dal dipinto. L’insegnante che li accompagna cerca inutilmente di mantenere l’ordine. Devo sbrigarmi, sto perdendo tempo. Ringrazio in silenzio gli studenti. La loro confusione mi permette di guardare intorno senza essere notata, spero. Il sistema d’allarme è invisibile, ma so dov’è e come disattivarlo. Sono mesi che mi preparo. Questo è l’ultimo sopralluogo, per essere sicura che niente sia cambiato. L’unica cosa a cambiare sarà la mia vita dopo questo furto. Qualunque sia il suo esito. Qualunque. La ressa davanti al quadro aumenta. Gli studenti rumorosi e la loro insegnante disperata lasciano il posto a una guida che brandisce un ombrello e raduna un gregge di turisti giapponesi. Nonostante il divieto di fotografare, scattano a più non posso. L’immagine di quei flash che accecano la donna del dipinto mi dà un piacere cinico. Mi concentro sulle vie di fuga. Due porte sul fondo della sala portano alla sala seguente, l’ultima. Tre finestre guardano il fiume. La quarta, più piccola, si affaccia su una terrazza. E’ da lì che me ne andrò. I giapponesi si spostano veloci nella sala che segue. Chissà cosa resterà loro di questo dipinto. Al massimo qualche foto e un ricordo confuso fra altri ricordi. Senza neppure accorgersi di quello sguardo che giudica. “Magnetico, non trova?” Occhi azzurri, vivaci e pungenti, un sorriso aperto. Giacca in tweed, un pacco di riviste sotto il braccio. Non un visitatore, non un turista, ma uno che sembra appartenere a questo luogo. “Ogni volta che attraverso questa sala, quegli occhi mi costringono a fermarmi. E ogni volta finisce che mi sento come uno studente ad un esame”. “Allora non sono l’unica ad avere questa sensazione” dico allo sconosciuto, e penso “...quindi la donna del dipinto non sta giudicando proprio me, non mi sta dicendo: non farlo!”. Esulto in silenzio. “Se lei sapesse quanti si fermano a osservare questo quadro per ore, cercando di comprenderne l’essenza. Qual è il segreto della dignità di quella donna? Forse è il suo essere madre a proteggerla da una natura minacciosa e a darle il potere di leggere le nostre anime? Mi creda, lavoro qui da anni, e ho conosciuto persone ossessionate da quello sguardo, che in qualche modo mette a nudo la nostra coscienza. Occhi che ci costringono a riconoscere verità che neghiamo anche a noi stessi.” Non mi piace la piega presa dalla conversazione. E non è il caso di perdere tempo a parlare con uno che potrebbe poi ricordarsi di me. Taglio corto, lascio cadere un commento banale: “D’altra parte è il capolavoro di un grande maestro...se è così famoso, un motivo ci deve pur essere...”. Lo sconosciuto sorride, si guarda attorno, si avvicina e sussurra: “E pensi che è solo una copia”.
Lucia Zennaro

martedì 7 dicembre 2010

Dal Tempio di Delfi ai test genetici


Un lungo viaggio che inizia alle porte del tempio di Delfi e si conclude alla soglie di una scelta: sottoporsi o non sottoporsi ai test genetici? In La Consulenza (Gen) etica – Nuovi miti. Nuovi oracoli. Libertà della persona (ed. Franco Angeli pp.208) Paolo Sommaggio ci conduce lungo un percorso che mantiene al suo centro la persona senza prendere posizione pro o contro i progressi della genetica.
L’autore traccia un modello di consulenza che ha come primo obiettivo quello di far sì che la decisione sia presa in piena autonomia ma in coerenza con i principi che regolano le nostre esistenze, senza subire l’auctoritas del medico, la suggestione dei mezzi d’informazione o gli errori derivanti dall’ignoranza in materia. Un aiuto che potrebbe validamente estendersi anche ad altre importanti decisioni dell’individuo in campo medico. L’autore prende le mosse dalla scritta gnothi sautòn incisa sul tempio di Delfi e dalla constatazione di Daniel Kevles: “Per la prima volta nella storia, a cominciare dai tempi più remoti, una creatura vivente comprende le proprie origini e può cominciare a disegnare il proprio futuro.” In base a quale visione della vita, secondo quali principi? È proprio su questo che, per evitare sofferenze e conflitti interiori, bisogna far chiarezza dentro di sé prima di chiedere risposte ai test genetici. Ma in che modo e che tipo di formazione dovrà avere il consulente?
Le discipline prese in considerazione nel saggio sono la psicologia rogersiana, punto di riferimento per l’Oms e per le istituzioni sanitarie americane, e il counseling filosofico elaborato da Gerd Aschenbach. “Il consulente – scrive Sommaggio – si travestirà da contradditore, da Socrate: indosserà la maschera che più consente di non proporre “in positivo” alcuna opinione personale, alcun principio, alcuna azione. La sua funzione infatti consisterà unicamente nel contrasto, benevolo del ragionamento del suo antagonista. Tale dialogo consentirà di “testare” (ed eventualmente di modificare) la tenuta della connessione logica del racconto del consultante. La risposta alla domanda ‘perché sei qui?’ permetterà di incominciare a comprendere le ragioni che hanno mosso verso il test genetico; esercitando la funzione maieutica il consulente favorirà la parresia, cioè la comprensione della verità su se stessi e sulla differenza tra sé e la propria immagine di sé.” Il consulente cerca di avvicinare il consultato a una persona che, come scrive Foucault, “fa uso della sua libertà, e sceglie il parlar franco invece della persuasione, la verità invece della falsità e del silenzio, il rischio di morire invece della vita e della sicurezza, la critica invece dell’adulazione, e il dovere morale invece del proprio tornaconto o dell’apatia morale”. Il traguardo della libertà personale e il ruolo del consulente sono illuminati da Sommaggio nel capitolo Sciogliere l’enigma che attraversa l’etimologia e il mito collegati alla parola persona. La parola greca pròsopon indica una maschera che non occulta ma rivela la persona; secondo una felice intuizione di Attilio Zadro “il volto del pensiero”. Nel mondo latino il termine persona e il verbo per-sonare mostrano come vi fosse un’identificazione con il volto che emette suoni, quindi con il linguaggio. Per Boezio la persona è “sostanza individuale di natura razionale”, definzione in cui pensiero greco e significato latino si incontrano. Ma è l’etimo etrusco phersu che rivela la sintesi per comprendere significato di persona e della stessa consulenza genetica. Phersu è Perseo il cui mito fornisce un modello per non restare pietrificati nella realtà, per non diventare cose ma essere persone. Un paradigma valido non solo per il consulente ma per ognuno di noi.

(Paolo Sommaggio ha 38 anni, vive a Padova, città in cui si è laureato e ha completato il dottorato di ricerca, insegna Filosofia del diritto, Metodologia della Scienza giuridica e Deontologia e Retorica Forense presso l’Università degli Studi di Trento. Avvocato e docente presso diverse Scuole forensi, è autore di numerose pubblicazioni di argomento giuridico e bioetico, tra le quali Il dono preteso. Il problema del trapianto di organi: legislazione e principi)

domenica 5 dicembre 2010

La paura dell'altro

Dalla Francia alla Germania, dall' Austria all' Olanda, nel nuovo spirito di orgoglio nei confronti della propria identità storica e culturale, i maggiori partiti trovano ormai ammissibile rimarcare come gli immigrati siano ospiti e in quanto tali debbano adattarsi ai valori culturali che caratterizzano la società ospitante: «Questo è il nostro paese: o lo amate o ve ne andate». I liberali progressisti, naturalmente, sono scandalizzati da questo razzismo populista. In ogni caso, uno sguardo più approfondito rivela in che modo la loro tolleranza multiculturale e il loro rispetto per l' altro (in termini di appartenenza etnica, di confessione religiosa, di sessualità) condivida con coloro che sono ostili agli immigrati una premessa di fondo: la paura dell' altro. Questa paura è chiaramente riconoscibile nell' ossessiva angoscia che i liberali hanno delle molestie. In sintesi, l' Altro è accetto soltanto nella misura in cui la sua presenza non è invadente, ovvero fintantoché l' Altro non è veramente Altro... Il mio dovere di mostrarmi tollerante verso l' altro significa soltanto che non dovrei mai avvicinarmi troppo a lui, non dovrei mai invaderne gli spazi. (...) Sempre più spesso nelle società tardo-capitaliste va prendendo piede il fondamentale diritto umano a non essere vessati o molestati, ovvero il diritto di restare a distanza di sicurezza dagli altri.
Slavoj Zizek

sabato 4 dicembre 2010

Più oltre

Sì, al di là della gente
ti cerco.
Non nel tuo nome, se lo dicono,
non nella tua immagine, se la dipingono.
Al di là, più in là, più oltre.

Al di là di te ti cerco
Non nel tuo specchio
e nella tua scrittura,
nella tua anima nemmeno.
Di là, più oltre.
Da La voce a te dovuta di Pedro Salinas