giovedì 31 gennaio 2013

Contesto Derrida


“Chiunque leggerà questi appunti senza avermi conosciuto, senza aver letto e capito le cose che ho scritto altrove, resterà cieco e sordo di fronte ad essi, anche se sarà convinto di averli compresi facilmente”, scrisse Derrida nel 1976 nei suoi diari. La facile comprensione era per Derrida un’illusione. Il linguaggio per lui dice sempre qualcosa di più di quello che vogliamo fargli dire; ha una tendenza a sabotarsi da solo, alle volte ad autoaggredirsi; chiarezza, trasparenza e comprensione restano un’utopia. Derrida scrisse continuamente di Sè, in quelle che Benoit Peteers chiama biografie che non sono biografie. La prima metà di La carte postale. De Socrate à Freud et au-delà, (1980) è una raccolta di lettere destinate a un’amante senza nome. il suo saggio del del 1991 Circumfession, scritto come uno stream of consciousness mentre sua madre era malata, si muove tra riflessioni sulla circoncisione, la morte, Sant’Agostino e ricordi dell’infanzia. La sua reale ambizione, suggerisce Peeters, forse era quella di essere un poeta o un romanziere; verso la fine  della sua vita  sembrava più preoccupato di lasciare una traccia nella storia della lingua francese che un’eredità filosofica. Nel disseminare i suoi scritti d’indizi ed evidenti confessioni, egli dà vita a un gioco sfuggente di aperture e occultamenti, suscita curiosità ma non si mostra limpidamente. Tuttora i suoi scritti sono una guida complessa alle cose che lo interessavano: il desiderio di trovare un rassicurante “centro” a cui legare i nostri pensieri; la tormentata relazione occidentale con l’ “altro coloniale”; i travagli dell’identità ebraica; il senso di eventi traumatici come l’Olocausto; il potere del segreto.

  È la primavera del 1957: il ventiseienne Jacques Derrida si dedica alla sua prima opera filosofica: una traduzione de L’origine della geometria di Edmund Husserl. Qualche tempo dopo gli arriva una lettera dall’Algeria a firma del suo amico di scuola Michel Monory: ”Ieri abbiamo avuto diciotto morti e quattro feriti gravi, vittime di un agguato vicino a Berrouaghia. Dopo una notte sotto un forte acquazzone, questa mattina all’alba ho visto i corpi dei miei compagni immobili e pieni di sangue.” Monory, con il quale Derrida intratteneva un’intensa corrispondenza, è perseguitato da un’immagine: “Un ragazzo arabo appeso nudo a una porta, il corpo ricoperto dai segni di violente percosse e di prolungate torture.” Per una volta, Derrida è senza parole. Poi, dopo un giorno, risponde. “Se l’unica cosa che possiamo condividere è la disperazione, sono pronto a condividerla con te, sempre. Senza chiudere gli occhi o mentire, questa è l’unica certezza.”  Derrida morì nel 2004 all’età di 74 anni, ma l’apice della sua fama lo raggiunse negli anni ottanta quando fu il filosofo francese più tradotto al mondo. Un successo legato alla complessità e novità delle sue idee così come all’oscurità del linguaggio che le illustrava. Era difficile da leggere e non era un caso: “Un testo non è un testo se non nasconde al primo venuto, al primo sguardo, la legge della sua composizione e le regole del suo gioco” (dall’introduzione alla Farmacia di Platone). Derrida cercò di scoprire e smantellare le basi del pensiero binario e dei dogmi  che, secondo lui, dominavano il pensiero occidentale. Questo metodo di ricerca , che chiamò decostruzione, fu seguito da molti discepoli, fra i quali anche Gayatri Chakravorty Spivak, la cui traduzione de La Grammatologia diventò un testo di riferimento per gli studenti americani. Derrida sosteneva  che era inutile far derivare il significato dall’esperienza, cercare la verità nell’essenza delle cose. La chiave è il linguaggio stesso. “Non c’è nulla al di fuori del testo” è  una delle sue citazioni più fraintese e famose. Intendeva dire che non v’è nulla al di fuori del contesto: non c’è esperienza della realtà senza linguaggio.  Le parole hanno un loro senso non per il collegamento arbitrario con le cose o i concetti che significano: non c’è nulla di equino nella parola cavallo. Invece, come aveva sostenuto il linguista Ferdinand de Saussure, linguaggio e senso si basano su distinzioni acustiche: la differenza tra i suoni delle parole, per esempio gatto e gotto. Tali differenze non sono casuali ma fanno parte di un sistema. Per Derrida la ricerca su come funziona il linguaggio divenne duplice: bisognava esaminare  le differenze e le aspettative create nella mente dell’ascoltatore o del lettore,  e nello stesso tempo capire perché il lettore o l’ascoltatore prendono la decisione di interpretare una proposizione in un modo o nell’altro. Per mostrare questo processo egli giocava sulla somiglianza acustica delle parole francese diffarence (differenza) e differance (differire). Peeters descrive lo stupore di Derrida quando si accorge che il mondo accademico americano si appassiona alla decostruzione. In poco tempo viene proclamata “il miglior prodotto mai apparso nel mercato dei corsi universitari”, un ponte fra discipline diverse e un’ anticipazione degli studi culturali, di volta in volta il germe di analisi femministe e di studi postcoloniali.  Crebbe la sua fama e aumentarono le polemiche. Nel 1982 si recò a Praga per una visita di solidarietà ai dissidenti. A causa di una falsa accusa per traffico di droga fu incarcerato. Al ritorno in Francia la storia era sulle prime pagine dei giornali. Piccola consolazione il commento del suo amico, scrittore ed ex carcerato Jean Genet “Hai finalmente scoperto l’odore della prigione?. Improvvisamente questo ermetico maestro si trovò tra i protagonisti del pensiero francese e circondato da ex amici. Lo psicanalista Jacques Lacan entrò nella sua cerchia solo per fruttare una faccenda privata che Derrida gli aveva raccontato e che riguardava suo figlio, mentre l’amico di un tempo, Michel Foucault, disse al filosofo americano John Searle quello che tutti pensano: “L’opera di Derrida è oscurantismo terrorista. È impossibile decifrare il senso di un materiale così incomprensibile e se si chiedono chiarimenti all’autore si rischia di essere presi per cretini.” Nuove polemiche dopo la morte dell’amico e collega belga Paul de Man: si scopre che da giovane collaborò con un giornale nazista. Nel 1992 si leva  un coro di proteste quando Cambridge gli offre un dottorato onorario. Un docente universitario dice che premiarlo sarebbe come dare il posto di comandante dei pompieri a un piromane. Il giornale inglese The Observer paragona il suo lavoro a un “computer virus”. Come spiega Peeters, questo dissenso era già diffuso.  Ciò che animò Derrida fino alla fine fu l’entusiasmo di parlare di filosofia. Come disse una volta a Monory: ”Non sono capace di far altro che smontare il mondo e poi di rimontarlo di nuovo (anche se il rimontarlo ultimamente mi riesce meno).
Liberamente dalle recensioni su Derrida: A Biography di Lex Hall (The Australian) e Adam Shatz (London Review of books), Foto: John Feder, fonte The Australian

Nessun commento:

Posta un commento