domenica 25 marzo 2012

Il banchetto


Si cominciò a servir loro degli uccelli con la salsa verde, in piatti d’argilla rossa, adorni di disegni neri, in tutte le specie di conchiglie che si raccolgono sulle coste puniche, poi delle zuppe di frumento , di fave e di orzo, , e delle lumache al cimino su piatti di ambra gialla.
Poi le mense  furono coperte di carni: antilopi con le loro corna, pavoni con le loro penne, montoni interi cotti al vino dolce, cosce di camelli e di bufali, ricci di mare, cicale fritte e ghiri confettati: nelle gamelle di legno  di Tamrapanni galleggiavano, in mezzo allo zafferano, dei grossi pezzi di grasso. Era dappertutto un’invasione di salamoia, di odor di tartufi e di assa fetida.
Le piramidi di frutti precipitavano sui pasticci di miele, e non mancavano neppure alcuni di quei cagnolini dal grosso ventre e dal pelo roseo che venivano ingrassati con le fecce  delle olive, e rappresentavano uno dei cibi prelibati pei cartaginesi, ma detestati dagli altri popoli. La sorpresa delle vivande nuove eccitava la cupidigia degli stomachi.
I Galli, dai lunghi capegli rialzati sulla sommità della testa, si strappavano i cocomeri  e i limoni, che divoravano con la scorza. Dei negri, che non avevano mai visto delle aliuste si graffiavano il volto  con le loro zampe rosse. Ma i Greci sbarbati, più bianchi del marmo, si gettavano dietro le spalle gli avanzi dei loro piatti, mentre dei pastori del Brutium, vestiti di pelli di lupi, divoravano silenziosamente, con la faccia quasi affondata nella loro porzione.
La notte cadeva. Si tolse il velario disteso sul viale dei cipressi e si portarono delle fiaccole. Le fiamme vacillanti del petrolio che bruciava nei vasi di porfido, spaventarono, sull’alto dei cedri, le scimmie sacre alla luna.
Gustave Flaubert, Salammbô, traduzione di Aristide Polastri

martedì 20 marzo 2012

Amore e Fuga

“... Il solo amore davvero umano è un amore immaginario, che si insegue per tutta la vita, che generalmente trova origine nell'essere amato, ma che presto non ne avrà più né le proporzioni, né la forma palpabile, né la voce, per diventare una vera creazione, un'immagine senza realtà.
Allora non bisogna assolutamente cercare di far coincidere questa immagine con l'essere che l'ha suscitata e che è solo un pover'uomo, o una povera donna, molto in difficoltà col suo inconscio. Dobbiamo gratificarci con quell'amore, con ciò che crediamo sia e non è, con il desiderio e non con la conoscenza. Dobbiamo chiudere gli occhi e fuggire la realtà.
Ricreare il mondo degli dèi, della poesia e dell'arte...”

“Quando non può lottare contro il vento e il mare per seguire la sua rotta, il veliero ha due possibilità: l'andatura di cappa che lo fa andare alla deriva, e la fuga davanti alla tempesta con il mare in poppa e un minimo di tela. La fuga è spesso, quando si è lontani dalla costa, il solo modo di salvare barca ed equipaggio. E in più permette di scoprire rive sconosciute che spuntano all'orizzonte delle acque tornate calme. Rive sconosciute che saranno per sempre ignorate da coloro che hanno l'illusoria fortuna di poter seguire la rotta dei carghi e delle petroliere, la rotta senza imprevisti imposta dalle compagnie di navigazione. Forse conoscete quella barca che si  chiama desiderio."
Henri Laborit - Elogio della fuga 

venerdì 16 marzo 2012

Il rifiuto

Succede alla domanda d’essere ignorata, non una domanda filosofica, forse anche in un certo senso, e si potrebbe discettare che a esser discriminata non sia la domanda quanto il domandante, che non si troverebbe per così dire  in una condizione adeguata a porla, la domanda, il tutto si potrebbe ricondurre a temi antropologici, come le condizioni che rendono possibile l’incontro con l’altro, o anche religiosi, in fondo dovresti amare il prossimo tuo come te stesso, eppure, eppure sarà capitato anche a voi di venire “spenti”, come dicono i giovani, di restare come non visti, di venire sorpassati, addirittura saltati come un ostacolo qualsiasi, una bottiglia, un cartone in mezzo al marciapiede, un pallone capitato lì per caso; sulla fiammella che cercavate di alimentare si abbatte all’improvviso un acquazzone d’indifferenza senza possibilità di salvezza. Di solito accade all’uomo di medie possibilità, sia finanziarie che estetiche, che tenti di entrare in contatto con quelle bellezze femminili che si stagliano improvvisamente dinanzi a lui in coda alla posta, in treno o passeggiando lungo la spiaggia. Non potrebbe andare diversamente, come racconta Kafka nel suo breve ed intenso Die Abweisung, Il rifiuto (1908). “Se incontro una bella signorina e le chiedo: ‘Sii gentile, vieni con me’, lei mi sorpassa senza dire una parola per dirmi: ‘Tu non sei un  duca dal nome alato, né un possente americano con origini indiane e occhi magnetici, e una pelle accarezzata dal vento delle pianure e dall’acqua dei torrenti. Tu non hai fatto viaggi ai grandi laghi, che non so dove siano. E quindi perché dovrei io, una bella signorina, venire con te?’
‘Tu dimentichi qualcosa, non sei a bordo di un’automobile di lusso che ondeggia per la via, non vedo al tuo seguito signori in abiti agghindati, né cortei mormoranti e benedicenti che ti onorano; il tuo seno è ben compresso nel corpetto, ma i tuoi fianchi e le tue cosce risentono di tanta continenza; porti un abito di taffetà con pieghe plissettate, come andava di moda l’autunno scorso, e tuttavia ridi ogni tanto, pur con questo pericolo letale sul corpo.’
Già, noi abbiamo entrambi ragione e, per non essere inconfutabilmente certi di ciò, preferiamo ritornar a casa da soli.”

mercoledì 14 marzo 2012

I Guanti

Non mi viene più nulla in mente, vedo solo un paio di guanti che giacciono stanchi al bordo del tavolo. Vedo con chiarezza quanto sono tristi e stanchi, questi guanti. Hanno un aspetto così nobile. Non vanno davvero bene a nessuno, è per questo che penzolano qui come foglie d’autunno? Sono gialli e guarniti di pelliccia marrone scuro. Sono lunghi e stretti. Come sono poveri i guanti che non possono vivere aderenti a una bella mano. Ecco che arriva una giovane ragazza, una bambina, che li vuole provare, ma non vanno bene: manine troppo corte, ditini ancora troppo poco lunghi. Adesso è il turno di una robusta signora, ma la sua mano è troppo grassa, le sue dita fin troppo grandi. Tocca ora a un’attrice provarli, ma non va. Troppa salute: la mano giusta perché sottile, ma per il resto troppo carnosa. Le cuciture dei guanti stanno per saltare. Ecco adesso una bella maestosa, dolente signora, a lei vanno bene. Mani lunghe, mani magre, mani sofferenti e sottili, a voi i guanti vanno bene. Guanti felici, più che felici e povera, cara infelice signora. Robert Walser, Storie che danno da pensare, traduzione di Eugenio Bernardi, Adelphi, Milano, 2007

Die Handschuhe
Es fällt mir nichts mehr ein, nur ein paar Handschuhe sehe ich, die liegen müde am Tischrande. Deutlich sehe ich, wie sie müde und traurig sind, die Handschuhe. So edel sehen sie aus. Passen sie denn  wirklich niemanden, daß sie hier so herunterhängen müssen wie Herbstlaub? Sie sind gelb und mit dunkelbraunen Pelz besetzt. Lang und schmal sind sie. Wie arm sind Handschuhe, die nicht an einer schönen Hand angeschmiegt leben dürfen. Da kommt nun so ein kleines Mädchen, ein Kind, das will sie probieren, aber sie passen nicht: Händchen zu kurz, Fingerchen noch zu wenig lang. Da kommt nun so eine robuste Dame, aber ihre Hand ist viel zu fett, ihre Finger sind viel zu groß. Eine Schauspielerin kommt und probiert, aber es will nicht passen. Zu viel Gesundheit: die Hand recht in der Schmäle, aber zu üppig sonst. Die Handschuhe krachen in der Nähten. Da kommt eine große, schöne, leidende Dame, der passen sie. Lange Hand, schmale Hand, leidende, dünne Hand, dir passen die Handschuhe! Glückliche, überglückliche Handschuhe und: arme, liebe, unglückliche Dame.
Robert Walser, Bedenkliche Geschichten : Prosa aus der Berliner Zeit : 1906-1912, Suhrkamp, Frankfurt am Main, 1985
(per l'incontro Oggetti che non funzionano, Casa delle Parole, Venezia, 13 marzo 2012)

martedì 13 marzo 2012

La passeggiata e il pensiero girovago

Un mattino, preso dal desiderio di fare una passeggiata, mi misi il cappello in testa, lasciai il mio scrittoio o stanza degli spiriti, e discesi in fretta le scale, diretto in strada. Sulle scale mi venne incontro una donna dall’aspetto di spagnola, di peruviana o di creola, che ostentava non so quale pallida e appassita maestà.
Per quando mi riesce di ricordare, appena fui sulla strada soleggiata mi sentii in una disposizione d’animo avventurosa e romantica, che mi rese felice.
Il mondo mattutino che mi si stendeva innanzi mi appariva così bello come se lo vedessi per la prima volta.
Tutto ciò che scorgevo mi dava una piacevole impressione di affettuosità, di bontà, di gioventù.
In breve dimenticai che fino a poco prima, su nella mia stanzetta, ero rimasto ad almanaccare tetramente su un foglio bianco.
Mestizia, dolore e tutti i pensieri cupi erano come scomparsi, sebbene continuassi a percepire acutamente, dinanzi e dietro di me, una certa nota grave.
Robert Walser
  "Dio odia i tristi"                             R. W. a Lisa, 1902/03       “Esiste una specie di pensiero che potrebbe essere chiamato con piena verità il pensiero girovago. Ordinariamente si presenta ai monaci sulle ultime ore della notte e conduce la mente dauna città all’altra, da paese a paese, da casa a casa”.
       
Questo pensiero girovago è una malattia che Evagrio Pontico, monaco egiziano del IV secolo, da cui ho tratto questa citazione, sa curare. Ma una volta vinto, dice “la vittoria ti lascerà una grande sonnolenza, una pesantezza alle palpebre, un senso di freddo, sbadigli e languore fisico, ma con la diligente preghiera allo Spirito Santo disperderai queste penose tracce”. Mi domando se tutti i fannulloni e i buoni a nulla non siano le vittime di questa vittoria sul pensiero girovago.
       
Fra le vittime del pensiero girovago annovererei Robert Walser e tutte le creature che vagabondano con passo lesto e svagato nelle sue prose. Vagano e poi tornano a casa. Ma com’è triste questo ritorno! La casa non è né una tana né un rifugio, è semplicemente il luogo che scopre la solitudine. 
Ginevra Bompiani

sabato 10 marzo 2012

I volti delle donne


“I volti delle donne – esplorazione delle emozioni” è il titolo del concorso fotografico e della mostra organizzati dall’Associazione Dorothy di Vittorio Veneto (associazionedorothy.blogspot.com): la mostra si potrà visitare fino al 10 aprile dalle 18 alle 24 allo spazio Mavv di Vittorio Veneto (info 3484336550). Circa cento le foto pervenute e selezionate dalla giuria composta da Margherita Gobbi, psicologa e psicoterapeuta, Adriana Paolucci, presidente dell’associazione, Giovanni Ciluffo, regista, Eddi Cao, fotografo, e Mario Anton Orefice, giornalista. Per Susanna Tomaselli, coordinatrice Dorothy: “È il terzo anno che con grande soddisfazione organizziamo questa rassegna che ci auguriamo possa diventare un appuntamento costante per le donne e per la nostra comunità. L’arte è un ambito in cui le donne sono, mi sembra, molto presenti e propositive. ”   La prima foto premiata è di Sonia De Boni:” La ribellione di Eva.”  Le parole dell’autrice esprimono molto bene quello che l’immagine vuole trasmettere: “Il grido muto di una donna che cerca la propria indipendenza intellettuale isolandosi da ogni stimolo esterno. Una donna che non vuole più compromessi. Cosi ha inizio la ribellione di Eva : una viscerale necessità di cambiamento e di ricerca della propria essenza attraverso un viaggio solitario per ritrovare se stessa.” “Alla giuria – spiega Margherita Gobbi -  concordemente, è piaciuta molto l’idea di una donna che si ribella, che cerca nel proprio mondo interno, ( gli occhi chiusi, le orecchie tappate), una via di uscita, un nuovo modo di esistere come persona, nascondendo per un’ attimo la sua identità femminile(le maschere sui seni).” Al secondo posto  “La donna non è cielo”, di Luana Ciambellini, è forse all’opposto, una foto sfumata, in bianco e nero, la donna che compare sembra sì terrena, ma quasi al confine tra i mondi, tra aria e cielo, terra e acqua, luce e ombra. L’autrice dice nel suo testo: “La donna non è cielo, è terra, corpo di terra che non vuole guerra.”, ed è in questo essere terra che il suo volto diventa quasi magico, il volto di una Dea, anche se terrena…La terza foto, Mbaye e Aida, è di i Martina Emilia Scalia. Scrive l’autrice: "L'Africa cammina sui piedi delle sue donne".  È questo il motto della campagna mondiale che nel 2011 ha accompagnato l'assegnazione del Premio Nobel per la Pace alle donne africane. Ma se sono i loro piedi a  percorrere la lunga via verso il riscatto del continente africano, è nei loro volti sorridenti e fieri che è custodito, intatto, il potenziale di crescita e di pace che di quel riscatto costituiscono presupposto indefettibile.  Ecco i volti di Mbaye e di sua figlia Aïda, che gestiscono orgogliose un minuscolo ristorante nel villaggio di Diambalo, nella regione di Thiés, in Senegal. Due del mezzo miliardo di donne africane che con il loro lavoro quotidiano contribuiscono, nell'ombra, alla realizzazione di un mondo migliore."
(foto di Sonia De Boni, Luana Ciambellini, Martina Emilia Scalia)

domenica 4 marzo 2012

Blog ergo sum

Blog ergo sum è l'interessante articolo di Antonio Sgobba nel supplemento La Lettura del Corriere della Sera del 26 febbraio che presenta una riflessione sullo scarso uso di questo strumento da parte degli studiosi italiani e, al contrario, la sua diffusione all'estero. Vi sono indicati i link a una  lista di blog filosofici  divisi per categoria 
http://consc.net/weblogs.html
i top 25
http://www.invesp.com/blog-rank/Philosophy#ultimate
il seguitissimo Leiter Reports  http://leiterreports.typepad.com/
e Rationally speaking http://rationallyspeaking.blogspot.com/ 
dell'italiano Massimo Pigliucci docente alla City University of New York.Non era nell'articolo, ma mi è stato segnalato anche il padovano  http://www.filosofiablog.it/