mercoledì 2 giugno 2010

Cafè

Café Central, appena entro, sulla sinistra il tavolo con la statua di Peter Altenberg che legge il giornale, ma ci veniva anche Freud a giocare a carte. Arriva una coppia, lui con una mano tiene il violino davanti a sé, lei indossa un vestito nero e uno scialle rosso damascato, sono zingari, si capisce che vivono cantando nei locali In un angolo del locale c'è un quadro che riproduce una scena di caccia: un cervo fugge tra gli abeti mentre un cacciatore prende la mira sotto un cielo blu. Loro si mettono lì, proprio sotto quel quadro per suonare delle melodie zigane. Uno studente dell'Accademia di belle arti li guarda e disegna sul quaderno. Dalle finestre occhieggiano curiosi passanti. Posso sedermi? chiede la guardia della Hofburg che assomiglia a Francesco Giuseppe, con due baffi bianchi e la barba. Ordina una birra scura e dice che quei due, come tutti gli artisti, sono dei Luftmenschen, gente senza un reddito fisso, con la testa per aria, però riescono a farti commuovere quando suonano o cantano qualcosa. Lakatos, così mi hanno detto si chiama il violinista, discende dal leggendario Janos Bihari che nel 1815 suonò davanti agli Asburgo in occasione del Congresso di Vienna. Magda, la cantante, sussurra una vecchia storia d'amore fra un principe e una zingara. Voglio raccontarti l'intera mia vita - dice la canzone - la mia vita cominciò il giorno in cui ti conobbi, con coraggio ti guardai negli occhi, nata in un mondo che non era il tuo imparai a seguire le tue strade, a riconoscere le tue montagne, a sorridere nei tuoi mari di quiete... Chissà come si chiama il soldato che si è seduto al mio tavolo? Con gli occhi stanchi e un arabesco di schiuma sui baffi bianchi ordina la seconda birra. Potrebbe chiamarsi Joseph e forse da giovane è passato anche lui da Jadlowker, quella taverna lungo il confine dove si incontravano disertori in fuga, avventurieri e donne di facili costumi. Non lontano da qui, in Kundmanngasse, al numero 19, si trova la casa di Wittgenstein, costruita senza lesinare in denaro e tempo: se lo poteva permettere, era molto ricco. Una casa cubica, essenziale e concisa come alcune delle sue riflessioni. Come mai non esistono più i Café come luogo d'incontro, non solo di artisti, dove leggere, discutere, conversare? Penso al Cafè A Brasileira di Lisbona, il café amato da Fernando Pessoa, ai café di Odessa frequentati dai gangster di Isaac Babel, a quelli di Copenhagen di fronte ai quali passava Kierkegaard, al Café Griesenthal di Vienna con lo stammtisch di Adolf Loos, Alfred Polgar e Hugo von Hofmannsthal., al Cafè Museum soprannominato “Café Nihilismus” per la sua architettura essenziale, al Café Imperial dove Trotzkij parlava di rivoluzione e Rilke conobbe Karl Kraus. Vienna è un crocevia di culture, qui soffia il vento dei Carpazi, un vento errabondo come i nostri destini che si sfiorano, alle volte in un cafè, per poi disperdersi.

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