domenica 13 giugno 2010

Papiri and papers


Che testi leggiamo quando leggiamo i testi dell'antichità? Essi sono copie di copie, codici risalenti all'ottavo nono secolo o ad epoca posteriore. Quale copista di Platone, di Aristotele, della Bibbia, dell'Odissea ci trasmette il testo che stiamo leggendo? Ad esempio il libro di Isaia, risalente al VII secolo prima di Cristo, è riprodotto in due codici: il Codice del Cairo risalente al 895 dopo Cristo e nel manoscritto di Qumran del I secolo avanti Cristo. I due codici differiscono in vari passaggi e di solito la versione più difficile, più complessa, è ritenuta più fedele perché si suppone che il copista possa avere la tendenza a semplificare più che a complicare il testo che sta riproducendo. È come se la scrittura dell'antichità arrivasse a noi attraverso un infinito specchiamento, una vertigine di riflessi come nei migliori racconti di Borges. E ancora: quanta soggettività vi è nella ricostruzione degli storici che dispongono spesso solo di documenti che sono anch'essi copie di copie e che furono redatti con intenzioni, significati e riguardo a fatti di cui lo storico non è stato testimone? Sul tema si possono leggere Apologia della storia di Marc Bloch e Copisti e filologi di Reynolds Leighton e Wilson Nigel. Ma ci sono altre questioni aperte: la differenza fra fonti letterarie e fonti documentarie, tra documenti ritrovati negli archivi e fuori dagli archivi, il perché siano rarissimi gli archivi nel Medio Oriente preottomano. Ne hanno parlato nell' interessantissimo incontro Papyrus, Parchment & Paper: Documents & the History of the Medieval Near East & Mediterranean, svoltosi il 3 e 4 giugno, Marina Rustow della John Hopkins University e Piero Capelli dell'Università Ca' Foscari.
Una nota curiosa: gli studiosi di papirologia araba per confrontarsi a distanza usano la piattaforma Internet dell'Università di Zurigo, un sito che è aperto a tutti.

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