lunedì 12 gennaio 2009

London on my mind

London on my mind, andrò di fretta, come i londinesi nella tube, sorry, scusa per dire scansati in modo gentile, ma dove andranno tutti così di fretta a Londra, non li ho seguiti, ma suppongo a saltare su un’altra tube, un altro bus, un taxi, non sono mica turisti che girellano come noi, andrò di fretta dicevo perché come faccio a raccontarvi una città di otto milioni di persone dopo esserci stato solo cinque giorni, ho visto qualcosa, ma di fretta appunto, eppure è bastato a fall in love with London, a innamorarsi di questa città dove incontri tutti i volti del mondo, gli odori e i sapori dalle Indie al Brasile, musica ovunque, il vento nei cunicoli della Tube, le corse in taxi, i pensieri colorati come Brick Lane, il romantico Ice Rink del Natural History Museum; attraversi i mercati che profumano di curry, cumino e di altre spezie orientali; assapori il caffè pakistano, la cucina del Gujarat, l'anatra alla cantonese, gli scampi reali fritti con salsa chili dolce, il barracuda grigliato con zucchine e salsa di cocco, le torte giamaicane di bullah (pan di zenzero), i pudding, i dolci turchi, Baklava a base di pistacchi e miele, e i Lokum all’ananas, alle rose…
31 DICEMBRE 2008
Insieme a Rossana e alle nostre splendide figliole Elena, ventiquattro anni, ed Alessandra, dodici, siamo appena arrivati a Gatwick. Dopo una monorotaia e un tapis roulant lungo un chilometro saltiamo sul Gatwick Express che in 35 minuti ci porta a Victoria Station, passando dalla periferia londinese con le casette tutte uguali in brick (mattoni), due piani, tetto bianco spiovente, piccolo giardino; sferragliando all’ombra della vecchia centrale elettrica di Battersea che con le sue alte ciminiere ci ricorda che la rivoluzione industriale è nata qui; oltrepassando il Tamigi in un attimo, giusto il tempo di intravedere là in fondo, out there, il London Eye.
Victoria Station è una grande stazione come le altre, ma se alzi lo sguardo incontri la copertura vittoriana in ferro e immagini le locomotive sbuffanti che da qui partivano per portare l’aristocrazia a Brighton, sul mare, o nelle tenute di campagna dalle parti di Doover. But anyway, c’è un taxi che ci aspetta, no veramente non aspetta noi aspetta le nostre valigie, perché noi dopo cinque ore passate tra aeroporti, aerei e tapis roulant, vogliamo incontrarla subito questa New York d’Europa, questo little world multietnico frizzante e cangiante, questa patria della musica, della fotografia, dell’arte. E allora via per Victoria Street, of course, salutati dalla facciata del Vitoria Palace che annuncia con una scritta luminosa Billy Elliot, “Still the musical in the land”, la storia di un ragazzino aspirante ballerino che alla fine ce la fa. All’angolo fra Victoria Street e Brodway c’è la mitica Scotland Yard è da lì puntiamo dritti al cuore di Londra: Trafalgar Square. Attraversiamo la grande piazza mentre dall’alto l’ammiraglio Nelson (baedecker: “che battè la flotta di Napoleone nel 1805 al largo di capo Trafalgar in Spagna”) ci ignora e risaliamo Charing Cross, scoprendo la libreria antiquaria Henry Pordes Book gestita da trent’anni da un napoletano che ora sogna di trasferirsi a Parigi; la taverna The Lamb and Flag, che tra le sue pareti ospitò Dickens e Butler; il pub The Feather (le piume) e il pub dedicato a Lord Salisbury (1830-1903); un barbiere che in vetrina procede a pelare il cliente tra ritagli di giornale e scudetti dell’Arsenal appesi alle pareti.
Fa freddo, dimenticavo, è il 31 dicembre del 2008 e c’è fermento. I fuochi d’artificio di stasera sono annunciati come i più spettacolari del mondo. Fa freddo e abbiamo bisogno di una soup, cioè di una zuppa calda - dopo il tè è la seconda bevanda nazionale dei British, così cerchiamo di riscaldarci in un Pret a Mangèr dalle parti di Piccadilly Circus, la today’s soup è bollente e si chiama Thai Chicken Curry. Camminiamo per Soho lungo Wardour Street, vicino a cuochi cinesi che spadellano spaghetti alla soia e cubetti di pollo conditi con salse colorate. Un tuffo in Oxford Street, svolta in Bedford Street con i suoi hotel tre stelle addobbati a festa, e raggiungiamo Russel Square (dedicata al politico e intellettuale John Russel 1792-1878) e il Russel Hotel infiocchetto come un pacchetto di Natale. Dietro l’angolo di Guilford Street finalmente il nostro Celtic Hotel, con le renne luminose alle finestre; accanto al campanello una scritta: Welcome/ Please Ring Bell (once and kindly) wait. Non c’è bisogno di aspettare, apre un portiere di poche parole che ci assegna la camera 29 al secondo piano. Ci troviamo nel cuore del quartiere di Bloomsbury, a cinque minuti dal British Museum e dalla British Library. Più British di così…Come mai abbiamo scelto questo albergo? Questa è una storia interessante. Quando invitavamo a cena la Lea (un’insegnante d’inglese nostra vicina di casa) ci parlava spesso di Londra, città nella quale si trasferiva ogni estate per due mesi, delle passeggiate a Hyde Prak, delle visite al British Museum o alla National Gallery; ci consigliava di imparare l’inglese ripetendoci il motto “Where is a will there is a way”. Quando morì, dieci anni fa, ci lasciò i suoi libri comprese le vecchie guide di Londra degli anni cinquanta. In una di esse aveva annonato a penna l’indirizzo della residenza londinese: Lea Francione 26 Bedford Place (Russel Sq). Inserito l’indirizzo nel motore di ricerca Google ( la moderna Pizia) trovai il sito del St. Margaret’s Hotel. La proprietaria, la signora Marazzi, ricordava la sua amica Lea ma non gestiva più il St. Margaret’s bensì il Celtic.
Programma per la sera dell’ultimo dell’anno: tavolo riservato al ristorante Denise’s, a due passi dall’albergo in Southampton Row, poi andremo a vedere i fuochi. Ci riceve proprio Denise, una signora che assomiglia alla Callas, con i capelli neri raccolti in una coda di cavallo; ci racconta che suo nonno è di Palermo la madre dell’isola di Cipro, lei è nata in Grecia e ha sposato una francese. Et Voilà ordiniamo omelette Bohemienne, Omelette Champagnarde, Chicken Chasseur, Fried Scampi, Calves Liver, e per dolce Apple Crepes, Chocolate Mousse, infine caffè e un Baileys.
C’incamminiamo verso Trafalgar Square: a Soho, in Wardour Street, il Village è un locale per gay con ballerini in perizoma che ballano in vetrina; alla nostra sinistra, al penultimo piano di un palazzo anni trenta, una grande terrazza illuminata di blu per un party; in strada tre ragazze bionde ballano accompagnate da uno che suona il sax. Cerchiamo di avvicinarci a Trafalgar Square, il servizio di sicurezza è ovunque, indossano una giacca gialla con la scritta Police; in Leicester Square è satta allestita una torretta d’avvistamento, nei pressi della quale un nero viene bloccato e immobilizzato da due bobbies, in pochi minuti 20 bobbies circondano il malcapitato e lo portano via. C’è paura che nell’ultima notte dell’anno possa esserci un attentato. Nella lista dei consigli dati ai cittadini si raccomanda di segnalare le persone sospette alle forze dell’ordine.
Verso la fine di Charing Cross Road un tabellone luminoso avverte che “Trafalgare Squame is Full”. Per fortuna i fuochi si vedono anche da qui oltre il campanile con l’orologio blu di St Martin in the Fields. Dieci minuti veramente spettacolari, Happy New Year per tutti, anche se non con il calore delle piazze italiane. C’è da dire che la temperatura vicina allo zero non aiuta e forse la presenza dei bobbies se da un lato rassicura dall’altro risveglia la preoccupazione. Non si curano della temperatura i giovani in giacca o abitino leggero in fila al Club, un locale trendy di Leicester Square. Tornando verso l’albergo notiamo che ci sono diversi ciclotaxi che nell’affollata notte di Capodanno fanno affari d’oro raccogliendo gli stanchi festeggiatori. Dalle parti del British, fuori dalla Museum Tavern, un signore in frack e tuba fuma una sigaretta. Happy New Year.
1 GENNAIO 2009
La mattina “full english breackfast” servito da Brigitte, una signora tedesca originaria della Baviera che ha vissuto in Belgio e che parla un inglese e un tedesco impeccabili. Ha un grembiule bianco su un vestito grigio, una Mary Poppins d’antan con i capelli corti e gli occhi azzurri. Il “full english breakfast” consiste in uova all’occhio di bue, piselli, una salsiccia e funghi. Naturalmente non mancano la marmalade (che è solo d’arance) , la jam di prugne, burro, pane, o meglio mixed toasts bianchi e integrali, orange juice, caffè e latte e il mitico porridge. Bridgitte consiglia a tutti il porridge perché “start the day with a plenty of energy”. Ma cos’è il porridge? Una farinata d’avena cotta con il latte e spruzzata di brown sugar. Ottima. Ed ecco Mrs. Marazzi che ci viene a salutare: è più piccola di Bridgitte, con i capelli a caschetto neri, un viso piccolo e un sorriso che mette subito a proprio agio gli ospiti. Si informa sui programmi, dà consigli, se c’è bisogno di prenotare un ristorante o un taxi ci pensa lei. Ogni anno torna due volte in Italia a Forlì dov’è nata e che si capisce un po’ le manca.
Oggi prima andremo a vedere la London Parade lungo le vie del centro e poi da Harrods, i grandi magazzini più chic di Londra con le commesse più glamour del Regno Unito.
I lampioni delle strade sono stati dipinti con “anti climb paint”, una speciale pittura che scoraggia tentativi di arrampicata per vedere meglio la sfilata. Fa un freddo cane ma a Elena e Alessandra piace. In circa tre ore sfilano bande e pennacchi, carrozze e vecchie biciclette, associazioni di reduci e di beneficenza, pagliacci e artisti di strada. La presenza di delegazioni della California, della Georgia della Carolina e di altri stati americani conferma il forte legame che l’America ha con l’Inghilterra, suo genitore storico e culturale se così possiamo dire. Temperatura intorno allo zero, manca qualcuno che distribuisca dei tè caldi: ahiaiai Londoners c’è una pecca nell’organizzazione. Riesco a procurare del latte bollente alla vaniglia e una brioche bruciacchiata con ham (prosciutto) e cheese (formaggio). Alle tre finalmente prendiamo la metro, pardon la tube, questo spazio di nessuno in cui tutti si incontrano e subito si perdono di vista, un tragitto al buio verso un punto sulla mappa: Knightsbridge Road. Anche Harrods, come il Russel Hotel è pavesato per le feste con luci gialle e bandiere rosse: l’imponente palazzo ottocentesco ha delle tende verdi lungo la strada che fungono da portici, al centro un timpano e una cupola di sapore palladiano. Dentro merce ovunque, e cibo, tanto cibo nel reparto delle specialità gastronomiche, collegato al salone del tè e del cioccolato. È possibile sedersi lungo i banconi o ai tavoli per gustare le specialità del mondo cotte al momento davanti a voi. Insieme all’eleganza dei bagni e degli ascensori, altre due cose stupiscono da Harrods: la statua a grandezza naturale di Mohamed Al Fayed multimilionario proprietario di Harrods, e il cenotafio allestito per ricordare Dodi e Diana: i due seguono a mani giunte una colomba, una targa ricorda che “furono assassinati”.
All’angolo di Harrods, la pasticceria Valerie e le limousine delle signore multiliardarie dell’India, dei paesi arabi, ma anche di molti paesi occidentali con un codazzo di tate e maggiordomi. E una fila dei famosi
taxi neri anni trenta, detti black cabs , a volte ricoperti di vistose scritte pubblicitarie. Uscendo dai grandi magazzini ci imbattiamo in un traffic jam, un ingorgo, per di più hanno chiuso la stazione della tube per una manutenzione. Autobus a rilento fino aPiccadilly Circus, da dove con la Piccadilly line in pochi minuti raggiungiamo Russel Square che è just behind, giusto alle spalle del nostro albergo e del caratteristico pub Friend at hand.
La serata trascorre ridendo, leggicchiando “Altri colori” Pamuk e “I sogni di mio padre” di Barack Obama, e programmando l’indomani. Dobbiamo assolutamente assistere al cambio della guardia a Buckingham Palace , che quest’inverno di tiene alle 11.30 nei giorni pari. E dopo Natural History Museum con i dinosauri e la blu whale, la grande balena blu.
2 GENNAIO
Fuori dalla fermata di Green Park, verso le dieci e mezza, molta gente gente già si incammina verso il palazzo reale attraversando il parco, sul quale fa capolino l’Hotel Ritz. Folla e bobbies : le persone che hanno scelto come punto di vista la fontana di fronte al palazzo, il Queen Victoria Memorial, devono stare con entrambi i piedi all’interno dell’ultimo gradino; chi sgarra viene richiamato o, se insiste, accompagnato in un’altra zona. I soldati dalle uniformi rosse e grigie e dai i lunghi colbacchi di pelo d’orso marciano e urlano dandosi ordini nel cortile del palazzo. La cerimonia si conclude con una banda militare che suona pezzi di Michael Jackson, la colonna sonora di Rocky, insomma la solita cosa da turisti, ma almeno una volta nella vita devi vederla. Riattraversando il Green Park notiamo il Canada Memorial, dello scultore canadese Pierre Granche. Dedicato al milione di canadesi che morirono tra la prima e la seconda guerra mondiale, è formato da due piastre di granito leggermente inclinate in cui sono inserite delle foglie in bronzo sulle quali corre un sottile flusso d’acqua. A Kensington, quartiere del Natural History Museum, ma anche del Science Museum e del Victoria Albert Museum, ci stupisce l’eleganza delle case davanti a cui sono parcheggiate macchine lussuose. Alle finestre piccoli cespugli di bosso a forma di sfera o di cono, agli ingressi dei leoncini in pietra con il fiocco rosso. Sul parabrezza di una Mercedes un volantino invita al party di fine d’anno della discoteca Studio Valbonne: è richiesto un abbigliamento “superglamorous” e 50 pound d’ingresso. Per uno spuntino non abbiamo che l’imbarazzo della scelta: un ristorante indiano, una baguetteria francese, l’italiano Pasta e pizza e il fast food cinese Choosi. Scegliamo il cinese perché la clientela sembra del posto e i piatti sono preparati a vista dietro il banco e serviti in delle pratiche vaschette di cartone usa e getta. Menu: spaghetti di soia, pollo immerso in una caramellosa salsa rossa, riso alla cantonese e involtini primavera.
Natural History Museum: questo non è un museo è un luogo. Quando entri nel grande atrio ti vengono in mente Peter Pan, Capitan Nemo, Indiana Jones, Henry Potter, fiaba e avventura, ma anche il tuo lontano passato ti guarda. Dopo aver fatto una piccola coda che ti ha consentito di guardare con attenzione la facciata di questo edificio neogotico progettato da Alfred Waterhouse nel 1880, ti trovi faccia a faccia con un gigantesco scheletro di dinosauro Diplodocus; alle sue spalle la gradinata che sale al piano superiore e che si divide in due rampe sopra gli archi abbelliti da terracotte blu, lasciando spazio ad una quinta di bifore con vetrate liberty. Ai lati dell’atrio le grandi finestre e le colonne salgono verso le volte, mentre dei gargoyles dall’aspetto extraterrestre scalano le modanature. In alto, sopra il Diploducus, un ponte unisce le due ali dell’edificio. Coda per vedere il modello animato del Tyrannosaurus Rex e anche davanti alla balena azzurra, lunga più di dieci metri si sta stretti. Mi siedo nell’atrio, guardo i contrafforti, le arcate, il ponte che unisce le due ali dell’edificio, la gente che passa e la teca di plexiglas di fronte a me che contiene un … un animale strano, con un corpo a forma d’uovo e la testa e le zampe da tartaruga. Provo a immaginarlo senza gente, il Natural History Museum, silenzioso con i suoi misteriosi animali del passato e la luce della luna che entra attraverso le vetrate color argento.
Usciamo e ci fermiamo ai bordi dell’Ice Rink, la pista di pattinaggio nel parco del museo, circondata dagli alberi con le lucine, famiglie e coppie girano in tondo e sembra una scena di Serendipity, in cui i protagonisti pattinano al Central Park di New York. Siamo a due passi dal Science Museum (anche questo gratuito) e continuiamo il nostro viaggio passando dall’evoluzione della natura all’evoluzione della tecnica. Nell’atrio non un Diploducus ma l’Energy Ring, il gigantesco anello in alluminio percorso da luci. Al piano terra l’esposizione è una viaggio nel tempo dalle macchine a vapore di fine Ottocento, alle prime radio, agli elettrodomestici, fino ad arrivare alle spedizioni sulla Luna e su Marte. Nell’interrato grandi spazi dedicati ai laboratori per i bambini, al terzo piano un simulatore di volo e delle sale per proiezioni tridimensionali. Un’intera area è dedicata a delle postazioni interattive che spiegano fenomeni fisici e biologici; sono rivestite di metallo e hanno la sagoma curvilinea di due o tre cellule che si aggregano. Un’altra sezione è dedicata alla genetica ed è intitolata Who am? (Chi sono?).
Si torna a casa un po’ nei tipici bus rossi un po’ in tube. Per la cena resteremo in albergo. Piccola spesa da Waitrose, al Brunswick Centre, vicinissimo a Russell Square. Che si fa domani? La City non attira le ragazze, noi l’abbiamo già vista, e allora come perdersi uno degli hotspot di Londra: il meridiano di Greenwich, un luogo che offre anche uno dei panorami più completi sulla città. Stasera passeggiata a Soho per bere qualcosa da Ronnie Scotts, il tempio del jazz, ma, stranamente, è chiuso. Potremmo tornare, domani sera è in programma il concerto di Gill Manly con un omaggio a Nina Simone.
3 GENNAIO
L’ autobus 188 ferma a Russel Square e porta dritto dritto (si fa per dire) a Greenwich: ci vuole circa un’ora. La giornata è fredda ma serena dopo il cielo grigio dei giorni scorsi. Non prenderemo solo il 188, non costeggia i punti più famosi della riva sud del Tamigi. Superato il ponte di Waterloo, scendiamo a Elephant & Castle, uno degli snodi viari più importanti di Londra: il nome deriva dalla leggendaria visione settecentesca di un elefante che trasportava sulla groppa il plastico di un castello. Saliamo sul bus RV1 che tocca London Eye, Oxo Tower Tate Modern, Globe Theatre, City Hall, Tower Bridge. Breve passeggiata nei giardini della City Hall (sede del Municipio) lungo la riva sud del Tamigi. La creazione di Norman Foster in acciaio e vetro, soprannominata “l’uovo”, guarda la City, il cuore finanziario di Londra, sulla quale svetta un altro progetto di Foster, il grattacielo verde e blu St Mary Axe soprannominato il cetriolo , “the gherkin” (il quale è vicinissimo ai famosi Lloyd’s opera di Richard Rogers). Sull’altra riva anche la Tower of London, la cittadella medievale voluta da Guglielmo il Conquistatore: è uno dei quattro monumenti di Londra dichiarati di interesse mondiale insieme a Westminster Abbey, Kew Gardens e Greenwich. Accanto alla City Hall un chiosco interamente in legno costruito a strati come le falesie. Circondati da cotante meraviglie decidiamo che è il momento della foto di gruppo. Camminiamo fin sotto il Tower Bridge e poi chiediamo informazioni per il 188 che ferma da quelle parti. Cullati dal bus riscaldato attraversiamo una zona di Londra anonima, con grandi magazzini, giardini poco curati , una zona che potremmo definire “sgarrupata”. Greenwich, invece, è un elegante borgo in riva al Tamigi. Dalla sua riva si guarda quartiere più recente: Canary Wharf, un nugolo di grattacieli sorti sulla malandato Isle of Dogs (isola dei cani). All’ingresso del tunnel sotterraneo e pedonale che si congiunge alla riva opposta un’atleta salta la corda. Ma il meridiano dov’è? Un cicloturista inglese ci spiega la strada, ma a un certo punto dice “gretpòk” e non capisco, allora gli chiedo che cos’è un Gretpòk, lui pronuncia così great park, un grande parco. Il problema con i londinesi non è fare le domande, è capire le risposte, tenendo presente che l’inglese ha 21 suoni vocalici diversi, un’infinità di accenti e spesso chi parla contrae tre parole in una. Il meridiano è in cima al grande parco di Greenwich, una collina verde in cui si incontrano cani che portano a spasso i loro padroni, amanti del jogging, coppie e famiglie in passeggiata, e soprattutto si incontrano tanti scoiattoli che si arrampicano sulle querce del parco e che hanno tale dimestichezza con l’uomo da farsi quasi accarezzare. Volteggiano e saltellano da un ramo all’altro come le bertucce, poi scendono a terra, si avvicinano, ma se non avete niente da mangiare risalgono in fretta verso i rami più alti. Probabilmente ognuno di noi si sente più attirato da uno scoiattolo che zampetta che dal Gherkin, e questo ci dovrebbe insegnare tante cose, ma non è così.
Anyway, arriviamo in cima rinfrancati da questa immersione nella natura. Il belvedere della collina offre, credo, il più completo e bel panorama di Londra. Lungo il prato in discesa uno spaniel inglese (una coincidenza?) bianco e marrone rincorre la palla da tennis lanciata dal suo padrone, poi torna su di corsa, è un cane buffo e ci fa ridere. A due passi, il meridiano: una linea metallica di circa quattro metri sulla quale camminano gruppi di turisti e si fanno fotografare nelle pose più incredibili. Alle loro spalle l’orologio del meridiano detta l’ora a tutto il mondo. Siamo ancora in tempo per la proiezione del planetarium. Ci distendiamo nelle poltrone e ci gustiamo il filmato in 3D che ci porta tra i canyon e le nubi di Marte. Torniamo in paese, tappa da “George, delicatessen and fine wines”, quiche Lorraine, panini ham and cheese e una soup con troppo curry. Dessert attraversata la strada: al Greenwich market assaggiamo il Lokum turco e il churro brasiliano, una pasta di cocco fritta e servita con crema di cioccolato o caramello. Quando risaliamo sul 188 sono le quattro. Pensavamo di visitare il British ma ci siamo lasciati avvolgere dall’atmosfera rilassante di Greenwich, e allora cambiamo programma: Oxford Street. Lungo la via del ritorno sonnecchiamo, ma sul Waterloo Bridge ci risveglia la vista di Londra, del Parlamento e del Big Ben illuminati dalle luci della sera. Prima di scendere a Holborn scatto la foto più bella di questo viaggio: le sorelle sono sedute quattro file davanti a noi, molta gente è scesa, le chiamo, sorridono e “click” tra il giallo dell’autobus e le scritte luminose alle loro spalle oltre i vetri. Il loro sorriso è il commento migliore a questa vacanza.
A Holborn altro autobus, risaliamo una parte di Oxford Street - ormai ci abbiamo preso gusto . Seduti al caldo ci godiamo lo spettacolo della gente che sciama sui marciapiedi: corrono, sono tanti e di tutte le razze, ci sono le svendite, le luci delle feste e soprattutto è sabato. L’autobus procede lentissimo, nella nostra direzione c’è un ingorgo, allora scendiamo ed entriamo nel flusso elettrico, ci divertiamo a scansare chi cammina in fretta davanti a noi o alle nostre spalle, sorry, sorry e ti superano come come dei podisti. A Oxford Street dominano i megastore di musica, di libri, di abbigliamento. Difficile sottrarsi, e poi ci sono le svendite. Alla libreria Borders notiamo London through a lens, un curioso libro che è anche il catalogo della mostra che si tiene in questi giorni alla Getty Images Gallery. Una raccolta di 230 curiose immagini fra le quali due giovani che in costume da bagno nel maggio del 130 si tuffano nel Tamigi con sullo sfondo il Parlamento, un ferroviere che appende il cartello: “a causa della nebbia i treni non partono”, Stanley Green in Oxford Street, un eccentrico signore che per 25 anni ha passeggiato in Oxford Street. Pubblicizzava il libro che aveva scritto ed edito in proprio per sostenere che una dieta povera di proteine contribuiva ad evitare l’incremento del desiderio sessuale. La rivista Time Out propone, invece, 50 pagine di eventi, spettacoli, appuntamenti.
In un megastore di musica che si chiama Hmv ci troviamo per caso spalla a spalla con i nostri simpatici parenti bolognesi Paola e Nevio, decidiamo così di festeggiare l’evento andando a cena insieme. Nevio consiglia il pub Porter’s a Covent Garden. Ok. Trascorriamo una piacevole serata, parlando di musica, politica, tipi di birre (sapete la differenza tra una lager, una bitter e una guinness? Neppure io la sapevo) e gustando alcuni piatti tipici della cucina inglese: un Honey roast chicken, un pollo condito con miele e cidro di mele, la Sheperd’s pie, ragù di vitello immerso in purè di patate, Salmon fillet with dill and lemon cream sauce, filetto di salmone grigliato e accompagnato da una salsa di aneto e limone, il Porter’s Wellington burger, un hamburger con salsa di cipolla e funghi, Pork and roast onion sausage, carne di maiale in una salsa di cipolla agrodolce. Per dolce un hot pudding, lo Sticky toffee pudding, un compatto pan di Spagna con l’uvetta accompagnato da crema alla vaniglia. Quando torniamo verso casa nella piazza semideserta, ma soprattutto fredda, di Covent Garden c’è uno che suona il sax (non lo stesso di Wardour street). Lungo le scale che portano agli ascensori di Russel Square il vento improvviso della tube scompiglia i capelli e va volare i cappelli.
4 GENNAIO
Domenica multietnica. Diretti alla stazione di St. Pancras, camminiamo lungo Brunswick Street, dove la sede della Mccann Erickson, una delle più note agenzie di comunicazione del mondo, ha una curiosa vetrina: i Re Magi sono in viaggio non verso la cripta di Betlemme ma verso l’edificio della Mccann, un ex parcheggio multipiano. Ammiriamo dall’esterno la British Library che la domenica è chiusa. Oltre ai suoi 12milioni di volumi, la sua Treasures Gallery dà l’opportunità di vedere da vicino la Magna Charta, il Codex Sinaiticus, la bibbia di Gutenberg, le prime dizioni del Corano, i manoscritti di Beethoven, Mozart, Bach, Haendel, dei Beatles, etc. La statua di Isaac Newton (di Eduardo Paolozzi) luccica al di là della cancellata a lettere nere.
La domenica, almeno questa domenica, la linea della tube per Aldgate non funziona, e allora bus 205 piano superiore, che ci scarrozza per la City e poi, appena usciti da uno quartiere più moderni e ricchi della città, ci permette di scendere all’inizio di Brick Lane. Sono circa le undici del mattino e i camini di alcune case in legno sbuffano nell’aria gelata mischiandosi all’odore del curry. Gli ambulanti bengalesi, cinesi, giamaicani, turchi, stanno sistemando le loro bancarelle. In fondo è domenica. Brick Lane è una tavolozza variopinta di suoni, odori, popoli, ma anche di writer (quelli che dipingono i muri), nelle vie laterali sopra una bottega che vende mobili una dentiera rosa; una saracinesca nera spruzzata di bianco e rosso è diventata un’ammiccante platea di donne anni Trenta; più in là un volto coperto dalla maschera antigas su fondo giallo. S’incontrano anche individui strani, come l’anziano con un cappello da cow boy calcato sopra un copricapo da baseball e che si arrabbia quando lo fotografo, o il giovane dall’aria un po’ fumata e abbigliamento anni Settanta. Diverse vetrine di barbieri: assomigliano a dei circoli, i clienti non si tagliano solo i capelli, ma fumano-chiacchierano-leggono. In fondo alla via: Beigel Bake, la panetteria aperta 24 or su 24 vende i beigel, ciambelle di pane kosher. È veramente squisito, tant’è che rientriamo e, siccome molta gente se lo mangia con la carne di manzo salata, proviamo anche noi: nauseabondo, molto meglio il beigel nature. Alla fine di Brick Lane proseguiamo per Columbia Road dove si svolge il Flowers Market, descritto dalla guida come il più colorato di tutta Londra. Alla fine del mercato la gastronomia Campania per chi avesse nostalgia di casa. Torniamo indietro, e raggiungiamo in dieci minuti Shoreditch da dove prenderemo l’autobus per Dalston, uno dei quartieri più africani della città. Ma prima, per combattere il freddo, beviamo qualcosa di caldo da Kick, un curioso bar con un piano interrato pieno di calcio balilla, sul soffitto bandiere e gagliardetti, alle pareti lavagne, poster, specchi. A Dalston non c’è molto da vedere, il mercato si tiene di sabato, le numerose bancarelle chiuse e le luci ci lasciano immaginare quanto debba essere colorato e vivace quando è frequentato. Allora tube e in dieci minuti arriviamo a Camden, un altro famoso mercato di Londra. Un altro?, vi chiederete. Ebbene sì, perché ogni mercato ha la sua concentrazione di creatività e atmosfera. Camden Market è una strada caotica disseminata di bancarelle e di uomini sandwich che vi invitano ad entrare negli shops, mentre Camden Loock, situato dopo la chiusa del canale, è più suggestivo. Si cammina all’interno di cantine e vecchi magazzini trasformati in piccole botteghe; sembra di perdersi in un dedalo di riflessi e di voci. In uno dei crocicchi un giamaicano con le treccine rasta manda a tutto volume musica technoelettronica, mixa i pezzi della compilation Flying hight (volando alto…non si sa grazie a cosa…) compiled by Vlado. La sua consolle si trova fra una vetrinetta di bomboloni, che sembrano di plastica, e un gazebo di vestiti usati.
Cibo dai più diversi sapori, merce proposta in modo disordinato, gente di ogni tipo, è questo miscuglio casuale e sorprendente di stili e di sguardi a trasformare ogni mercato di Londra in qualcosa di più e di diverso da un megastore. Chissà come sarà il Brixton Market? Lo scopriremo la prossima volta, ora torniamo verso il nostro Celtic Hotel. In un Internet point ci colleghiamo per il check in, domani, purtroppo, si parte. La sera ceniamo da Porter’s, i quattro tavoli intorno a noi sono di italiani; ne abbiamo incontrati così tanti che non avevamo nemmeno voglia di conoscerli, così del resto loro con noi. Di solito all’estero quando s’incontra un connazionale ci si saluta per far due chiacchiere, ma se per ogni connazionale incontrato in questi giorni ci fossimo fermati non avremmo visto nulla. Parliamo anche dei personaggi dell’albergo: della misteriosa designer di New York, delle due maestre di danza di Vicenza, di Nurbek, il portiere di notte che ha ventidue anni ed è nato in Uzbekistan. Ci ha raccontato che è venuto in Inghilterra perché nel suo paese il lavoro è troppo condizionato da parentele e amicizie, i meriti contano meno. Gli ho detto che in Italia è la stessa cosa. La pensa così anche un altro ospite del Celtic, un ricercatore universitario italiano che da anni lavora in America e che in questi giorni è qui per completare la sua tesi di dottorato in neurobiologia. Quando usciamo da Porter’s il tipo che suona il sax è nella piazza semideserta: due pound se li merita per il coraggio.
5 GENNAIO
La mattinata comincia con un tempo fiabesco. Quando usciamo dal Celtic fiocca la neve e ogni tanto spunta il sole. Due brevi incontri in Mccann Erickson e in Dandad, due agenzie di comunicazione, una capatina al British Museum e poi salutiamo Mrs. Marazzi e Brigitte: “Grazie di tutto e arrivederci a presto”. Aspettiamo il taxi che arriva in ritardo, poi si perde per strada e arriva alla Victoria Station alle due e mezza invece che alle due, perché alcuni esemplari della species Cretinus Cretinus sono presenti ad ogni latitudine, anche a quella di Greenwich. Una volta scesi a Gatwick cominciamo a correre; il check-in e già chiuso, la hostess gentilmente ci dice che non c’è niente da fare; non è possibile, mancano ancora tre quarti d’ora e poi abbiamo le carte del check-in via Internet; allora è diverso, comincia a tamburellare sulla tastiera; ce l’abbiamo fatta, cinque minuti più tardi e saremmo rimasti a terra; però, chissà…un altro giorno a Londra…no scherzo! Ci consegna i biglietti e via, continuiamo a correre per superare il triplo controllo della dogana: documenti e biglietti, persona e bagagli, tacchi delle scarpe; e poi corriamo ancora; Vai su, no alla zona D, non alla B; ma stai andando al gate 64, il nostro è 54; entriamo alla zona del gate mezz’ora prima della partenza dell’aereo; respiriamo e ci diciamo che forse, superata la dogana, ce la potevamo prendere con più calma, anche perché l’aereo è in ritardo a causa delle nevicate della mattina.
In aereo sonnecchio leggendo Pamuk e pensando che abbiamo trascorso proprio una bella vacanza. Sulle ultime pagine del libro scrivo alcune note per la prossima visita. Quando atterriamo a Venezia ai bordi della pista c’è la neve.
Appunti per il prossimo viaggio londinese:
Quidam, lo spettacolo del Cirque du Soleil alla Royal Albert Hall
Pepsi Trocadero con il museo del Rock e il Guinnes World of Record
Ronnie Scotts locale culto del jazz londinese
Royal Academy of Arts
Tate Modern
National Gallery
Tempio indiano di Neasden
Sulemaniye Mosque di Kingsland Road
Freud Museum
British Museum
Vertigo 42, un lounge bar al 42° piano di un grattacielo della City
Reading Room, la famosa sala di lettura del British (riaprirà solo nel 2011)
Brixton Market
Dalì Universe
Borough Market
Hampstead
London Zoo
Light Railway di Canary Wharf
Locali di Shoreditch e Soho
Thames Barrier
Kew Gardens
Librerie di Charing Cross, in particolare: Borders, Foyles, Koenig Books, Shipley, Blackwell's.

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