Nella cultura classica occidentale sono principalmente due i concetti di fortuna che dal mondo greco passano a quello romano: Tyche e Kairòs che diventano Fortuna e Occasio. Tyche, come racconta Pindaro, è irresponsabile delle sue decisioni e corre qua e là facendo rimbalzare una palla per significare che la sorte è cosa incerta. Per Platone invece Kairós è un tempo decisivo per il singolo:
“Chi manca, oppure sfugge al suo kairós, distrugge se stesso: chi non agisce nel giusto momento, va in rovina”. Un rilievo del circa 160 d.C, conservato al Museo dell’Antichità di di Torino, rappresenta Kairòs con un ciuffo sulla fronte, per essere afferrato ma la nuca è calva perché quando si allontana non c’è modo di trattenerlo. La divinità, secondo quanto scrive Plutarco, fu introdotta nella Roma antica da Servio Tullio sesto re di Roma che edificò diversi templi in suo onore. Quello di Preneste (oggi Palestrina) era dedicato alla Fortuna Primigenia. Le fonti affermano che esistevano due statue della Dea Fortuna: una di bronzo dorato e una di marmo bianco nella posa di allattare Giove bambino, Grande Madre da cui tutti gli Dei provengono. La dea è per definizione cieca in quanto, come attesta Cicerone, ignora giustizia, misericordia ed è spesso causa di inimicizie e dissapri. Fortuna è anche divinità notturna legato all’andamento altalenante della luna crescente e calante. Luna/Fortuna che diventa in contesti diversi luna nel pozzo, ruota, timone, sfera (cerchio della luna ma anche la palla di Tyche) Nell’antichità non esistono immagini di una dea bendata. Bisognerà aspettare il Medioevo quando si sviluppa il tema della fortuna rappresentata come Kairòs con il lungo ciuffo di capelli sulla fronte da afferrare prima che sia troppo tardi. Il ciuffo si trasformerà, soprattutto tra Sei e Settecento, in una benda anche sulla base di una mutata concezione della sorte, vista come qualcosa che non coinvolge tutta la vita (si ricorda il capitolo ad essa dedicato da Machiavelli ne Il Principe) ma è più che altro legata alla possibilità di guadagnare molto. A livello artistico rimarrà un’immagine poco diffusa. Nell’ambito della mostra Dea Bendata, iconografia di un mito, in corso di svolgimento a Carpi, solo una stampa veneziana dell’inizio del Cinquecento di Anonimo ritrae tale soggetto. Risulta un’altra acquaforte di Dea bendata del 1624 del francese Pierre Brebiette. Essa appare inoltre in alcuni codici miniati, in una scultura della cattedrale di St. Etienne a Beauvais e in un affresco di scuola del Mantegna a Palazzo San Sebastiano a Mantova.
(Le informazioni contenute in questo articolo sono state raccolte e riscritte da La dea bendata. Lo sciamanesimo nell’antica Roma di Leonardo Magini, ed. Diabasis, Reggio Emilia, 2008, e dal catalogo della mostra Dea Fortuna, iconografia di un mito, a cura di Manuela Rossi, Elena Rossoni e Silvia Urbini, Palazzo del Pio, Carpi, 17 settembre 2010 – 9 gennaio 2011)
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