"Nel blog l'altro può firmare nel tuo testo, esiste uno spazio per chiunque decida di arrivare"
martedì 19 ottobre 2010
Maliborghi
Nella terra di Andrea Zanzotto e Luciano Cecchinel, una piccola enclave poetica a sinistra del Piave, il poeta Luciano Caniato, nativo del Polesine ma coneglianese d’adozione, ha dato alla luce la sua ultima creatura e l’ha intitolata “Maliborghi” (ed. Il Ponte del Sale, pp.124), un viaggio in versi tra le città di un “Veneto barbaro, non di muschi e di nebbie, ma girone che lavora al fuoco d’ignoranze che non comprendono e non vogliono capire.” “Qui a Nordest c’è una sofferenza altissima – racconta Caniato, la gente si è dimenticata da dove viene, ha perso le sue radici contadine e non riesce a trovarne di nuove nel culto dell’immagine, degli schei, del cemento. Io stesso dopo cinquant’anni non sono riuscito ad “appaesarmi”, a capire ed essere capito fino in fondo da questa città.” I versi di Maliborghi non descrivono solo una realtà esterna ma sono anche la metafora di una condizione interiore capace di cogliere punte di dolore, ustioni dell’anima attraverso l’uso sapiente della parola, delle metafore, dei calembour in dialetto, italiano, latino. A Padova, scrive Caniato, ”Tirerò dritto, non guarderò nuvole di Giotto, negozi dell’oblio, strade dove il mio folle stare senza dare ombra accumulò penombra e rese buio.” Conegliano è “Fitta corona di spine. Piaghe di case, di case, di sputi di stopposo verde. Cactus di condomini a siepi sui contesti asfalti. Svaporato il bello bagnaocchi, leso il cielo delle quinte. Spari di motori. Centrati sonni.” Venezia “Persa in lagune storte e tersa in tanfi, colomba-tomba, Venéssia bonba.” “Mestre, interporto del nulla, latte di fanciulla che campiva. E ancora, sfinita dall’oblio, intrepida signora e crux.” I versi di Caniato combattono con un territorio esterno-interno di inquietudini: “Qui il paesaggio nihil, nada, andato. Fracassato il bello”. “Questo davvero perdersi in nuvoli edilizi. E fabbrichine e occhi di cantine. Quasi feline gatte in forme da rodeo. E vezzeggiati bamboli dài-dài ciapeghedéntro. Estdelnord fittopadano: ex demo, ex cristiano et iuvenes al confino d’un sé telefonino. Nonostante il mio ferirmi-friggere in poesia e il farmi in afasia un nido negli esili.” Un viaggio che pare sia stato scritto per specchiarsi o per cominciare nel solitario autoritratto che chiude la raccolta: “C’è chi nasce Po o Adige o Canale. Io sono nato fosso, macero, golena. Vuoi mettere specchiare cieli, contare i pesci del silenzio, avere erba intorno, stare fermi immobili, fare il morto, sentirsi cuore che batte, idea che spinge, essere storto o dritto a seconda che la rana dell’anima si muove, la libertà d’essere nessuno?”
(Luciano Caniato è nato a Pontecchio Polesine nel 1946. Poeta e scrittore, vive a Conegliano. Opere in poesia: E maledetto il frutto (1980); Pensierimi (1990); Nevi (1990); La siora nostra morte corporale (1992); Di memoria e di pietà (1998); Medajùn et alia (2002). Opere teatrali: Cardiogramma (1999); L’anima sui cop (2001); Cima nella neve (2010).)
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento