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martedì 18 maggio 2010
Le pietre parlanti
Un Pollicino dei nostri tempi. Invece che briciole di pane semina sassi su cui cita Rilke, Eschilo, Sofocle, Pessoa. È un insospettabile, uno che nella vita di tutti i giorni insegna in una scuola. Ma la notte si ritira nel suo laboratorio e diventa il mister Hyde della citazione lapidaria (è il caso di dirlo). La sua cantina è piena di sassi bianchi, scelti con cura lungo le rive del Piave. Scrive i suoi messaggi con colori indelebili. Poi nei week end armato di spatola e cemento sceglie i luoghi dove collocare i suoi minimenhir: la vecchia presa Dieci del Montello, la via del Monte Altare, il sentiero delle Perdonanze tra Corbanese e Vittorio Veneto. Qualcuno lo ha chiamato l’uomo delle “pietre parlanti”. Tra narcisi e crochi, primule ed erba matta, spunta così Rilke: “Come chi sull’ultimo colle, che ancora una volta l’ultima volta la valle gli mostra, si volge, si ferma, indugia, così noi viviamo e sempre prendiamo congedo”. Proseguendo la camminata, un'altra pietra, in cima a una colonna di cemento. È la volta di Sofocle, dall’Edipo Re: “Giovare altrui, come uno può e sa, è fatica tra le più belle.” Avanti ancora, sfiorati dalle fronde di lecci e castagni, lì sul muretto, quasi coperto dall’edera Virgilio: “Sed neque Medorum silvae ditissima terra…” e in cima alla collina Menandro: “Muore giovane colui che è caro agli dei”. Un serial citazionista, un viandante obelixiano, un guerrigliero dell’aforisma, un litografo postmoderno, un writer collinare. Insomma nemmeno tra i sentieri dimenticati si può più stare tranquilli, è un attimo e tra un fiore e un filo d’erba ti arriva addosso una sassata di cultura.
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