domenica 6 ottobre 2013

Odore di olio motore


Le rocce tra il verde luccicano al sole, il profumo del caffè nero ci saluta in riva al lago blu. La centrale elettrica è un teatro con le turbine arancioni, l’alternatore verde, e i vetri saldati a piombo delle Fornaci Lorenzo Chini di Murano, le cornici con figure di fili elettrici ed isolatori. Dietro i vetri le arterie-tubi del monte Visentin scagliano l’acqua per un salto di 22 metri al secondo e sprizzano 30 megawatt dalla sera alla mattina, schizzano nella chiocciola Francis radialmente e poi ne escono assialmente per trasformarsi in tensione continua.
Le scatole verdi del Lanificio tessono lo sfondo di un tappeto drammatico di parole: rischio, debito di un miliardo al giorno, pensioni. La mattonella scheggiata inquadra graffiti di passi lontani.
La centrale fu inaugurata nel 1925, completava un sistema venoso che inizia fra i monti di Sappada, in Friuli. E lì che nasce il Piave, il fiume delle battaglie. La voce emozionata della professoressa parla di giornali cattivi, di momenti intensi, di un piacevole lavoro da professore, e di cinesi da rincuorare. Il tabellone pubblicitario ha la scritta blu su fondo bianco, un albero stilizzato con fiammelle arancioni, lo slogan dice L’energia che ti ascolta. Il professore è un giurista, professore di diritto del lavoro, una camicia ordinata e un elegante orologio rettangolare. Anche lui è entrato in politica, lo hanno “costretto a fare il negoziatore”. Le parole: situazione drammatica, orlo dell’abisso, crisi politica, cultura che guarda al passato. Sulla cassa rovesciata del Lanificio, tinta verde incerto, sediamo in quattro sgomitando leggermente, con il sedere pizzicato dalle pieghe diagonali del fondo. Una signora tenta di alleggerire la sconveniente trafittura, frappone un ammortizzatore fra il proprio sedere e la pungente seduta, è una mappa di carta gialla, solo un placebo per immaginarla più morbida. La turbina arancione antico segue la curva delle vetrate, vista da qui è il timone di una nave. I lampioni lungo il muro, in ferro battuto e vetro, puntano verso il basso come capezzoli incatenati. “C’è bisogno di un disegno per le politiche industriali” dice il professore ruotando la mano sinistra, lentamente, “lo si diceva già sette o otto anni fa, l’Italia purtroppo ha un deficit di lungimiranza nel gestire le risorse pubbliche”. L’odore di olio motore, il lubrificante delle turbine, si è mescolato ai fiati del pubblico che ascolta attento e ogni tanto commenta. Le parole: ma il lavoro non c’è, cosa hanno fatto loro, quanto hanno rubato alcuni politici, non ne usciremo mai. La voce emozionata racconta che viaggia moltissimo e che vuole morire tranquilla. Le parole: la politica ha il dilemma di fare qualcosa e nello stesso tempo di adottare soluzioni lungimiranti per il futuro. Gli spigoli delle casse in plastica continuano a pizzicare il fondoschiena. Una volta servivano a trasportare filati, per costruire trame, tessuti, lavoro. Il Lanificio oggi è chiuso e le casse rovesciate sotto i nostri sederi sono vuote.
(In margine all'incontro svoltosi nell'ambito del festival Comodamente l'8 settembre 2013 alla centrale elettrica di Nove (Tv) con Elsa Fornero e Tiziano Treu)
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