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venerdì 17 luglio 2009
L’arte di far pagare l’arte
Cominciamo dal costo del biglietto che per una famiglia di tre persone è di 40 euro + 5 per una audioguida, proseguiamo dicendo di scortesi e occhiute guardie in nero che fanno sentire anche il più mite visitatore un vandalo d’arte o uno sfregiatore di pareti (vietato appoggiarsi ai mattoni …ma che sono di sabbia?), continuiamo dicendo dei giovani e preparati “mediatori culturali” - studenti di Ca’ Foscari che non prendono una lira (è uno stage of course) e che si sfiancano per ore in tentativi di spiegazione-giustificazione delle opere, soffermiamoci quindi sulle inutili e pesanti muraglie in cemento armato di Tadao Ando che poteva benissimo usare dei leggeri e giapponesi listelli in legno invece di una firma così pesante da causare, secondo voci, l’impercettibile inabissamento di Punta della Dogana, e concludiamo con un con un belvedere chiuso alla vista del pubblico (ma che belvedere è?) e con uno shop dove una matita di bassa qualità costa 3 euro, una biro di 4 centimetri 6 euro e una scatola di pastelli 29, volendo ci sono anche gioielli da 500 euro e oltre, ma non esiste una miniguida né un depliant omaggio con piccole spiegazioni e immagini delle opere più significative. Benevenuti a Venezia alla Punta della Dogana della Francois Pinault Foundation.
Non ci siamo, questo non è un luogo ospitale, è una macchina che allunga la mano per chiedere soldi. Sarà allora un tempio dell’arte? Vediamo. Il viaggio comincia passando attraverso la tenda di perline rosse (il sangue) e bianche (l’infezione dell’Aids) di Felix Gonzalez Torres, seguono in ordine sparso: il cavallo vero-imbalsamato di quel “genio” di Cattelan , poiché solo un genio riesce a vendere a suon di milioni delle “sole”; il cavallo, spiega l’audioguida, rappresenta il nostro (o il suo?) tentativo impossibile di uscire dal reale; Fucking Hell di Jake & Dinos Chapman: numerose teche in vetro rriempite da centinaia di soldatini nazisti sottoposti a diverse pene per i loro crimini; Takashi Muratami mostra due manichini manga, un uomo e una donna con superattributi; in una stanza buia, sculture in plexiglas e vetro illuminate e di diversi colori rappresentano diverse architetture della città di Superman, l’opera è Kandors Full Set di Mike Kelley; nel torrino del belvedere, al quale non si può accedere, Man in the Moon di Mark Handforth mostra una falce di luna grigia e squagliata; A football match of June 14th 2002 di Huang Yong Ping è il plastico di un campo da calcio con calciatori di diverse nazionalità sovrastato da un metorite e richiama l’attenzione sui pericoli di un’integrazione basata sull’imposizione di modelli occidentali; in Sonne, Mond und Sterne Fischli & Weiss raccontano attraverso 800 pagine di campagne pubblicitarie elementi della nostra vita: cibo, oggetti, piaceri, sentimenti… Rudolf Stingel propone la sua foto tessera formato gigante che lo ritrae alpino e con gli occhi chiusi, e tre quadri grigi con una rete; spiega la mediatrice culturale che la rete segna l’impossibilità ad andare verso l’infinito che però si può raggiungere chiudendo gli occhi; Jeff Koons con Bourgeois Bust si immortala con Cicciolina in un canoviano doppio busto bianco. Usciti dalla galleria, il ricordo più sorprendente sono le vedute mozzafiato sulla Giudecca, San Giorgio e San Marco che si godono dalle finestre del primo piano e che non sono opera di Tadao Ando né di Pinault. Infine una riflessione: l’arte è arte perché alcuni dicono che è tale o perché in molti ne percepiscono la grandezza. L’artista è chi vuol dire qualcosa o chi sa dirla in modo unico e impareggiabile? Arte è uno stile di vita, la frequentazione di un circolo o formidabile maestria creativa?
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