martedì 2 marzo 2010

L'Italiano

Se vogliamo conoscere quale sia la vera forma dell'italiano, dobbiamo leggere lo Zibaldone, dove Leopardi studia la nostra lingua con una passione e una precisione che nessuno ha mai eguagliato. Per molti anni Leopardi contempla i movimenti e le metamorfosi della lingua che gli appartiene e a cui appartiene. Ora gli sembra dignitosa, grave, nobile autorevole: simile al latino da cui era nata; e subito dopo osserva che è la più flessibile e pieghevole delle lingue. Ora gli pare lentissima: la vede camminare con un passo cauto e circospetto; poi la scorge procedere con una velocità demoniaca, inseguendo una meta irraggiungibie. Ora ostenta periodi immensi, pesanti e ramificati: ora si beffa di sé stessa, incantando il lettore con una specie di polverio luminoso. Qualche volta, gli sembra una lingua scritta: aforismi e apoftegmi e massime, incise nel marmo o nel bronzo. Qualche volta lo osserva imitare il linguaggio parlato - incertezze, irregolarità, andirivieni, ripetizioni, pause, confusioni, ubriachezze verbali: facendo risuonare in ogni pagina il vasto brulichio della voce umana. Circa ottant' anni fa, la lingua o la superlingua italiana conobbero una nuova rivelazione. Fu un momento felicissimo, di cui, forse, ci rendiamo conto solo oggi, in un periodo di pausa o di attesa. Ungaretti e Montale e Caproni e Bassani e Bertolucci e Gadda e la Morante e Zanzotto e la Ortese e Calvino e Fenoglio compresero che l' italiano aveva smesso di nascondersi, come accadeva ai tempi di Manzoni e di Leopardi. Col 1945 e la fine del fascismo, si diffuse in Italia una lingua parlata diversissima da quella fascista. Sorsero due lingue contrapposte. La prima, quella democristiana, non possedeva una massiccia ideologia politica: affondava soprattutto nel linguaggio ecclesiastico, avvocatesco e giuridico: era ramificata, aggrovigliata, spesso (come nel caso di Aldo Moro) incomprensibile. La seconda (quella comunista) soffocava sotto il peso delle formule marxiste o paramarxiste, ricalcate sulla prosa sovietica. Non aveva né vivacità né movimento. I discorsi dei dirigenti comunisti sembravano immense divisioni di carri armati, che avanzavano lentamente verso la meta. l cinema del dopoguerra e le prime trasmissioni televisive diffusero una forma di romanesco edulcorato, senza la minima traccia della forza espressiva del Belli. Questo falso-romanesco arrotondava o troncavao spezzavao modificava il lessico italiano. Era una specie di italiano inumidito nel Tevere. Esso si diffuse enormemente: specie nella conversazione scherzosa o finto-amichevole; e persino in regioni remote, che avevano sempre detestato il dialetto della capitale. Mezzo secolo più tardi gli italiani parlano una lingua molto diversa da quella del 1950 o del 1960. Una sotto-lingua senza sintassi, né punteggiatura, che detesta la precisione e l' esattezza: sostituisce i segni alle parole: pullula di formule gergali: non riescea esprimere i concetti e i sentimenti più semplici: non possiede colore: balza da un errore di ortografia a un altro errore di ortografia. Contamina la lingua parlata e scritta nelle università, dalla quale viene a sua volta contaminata.
Pietro Citati (Sintesi del testo letto al convegno del Fai ad Ascoli Piceno il 27 febbraio)

1 commento:

  1. Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,
    Silenziosa luna?
    Sorgi la sera, e vai,
    Contemplando i deserti; indi ti posi.
    Ancor non sei tu paga
    Di riandare i sempiterni calli?
    Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga
    Di mirar queste valli?
    Buonasera

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