Se vogliamo conoscere quale sia la vera forma dell'italiano, dobbiamo leggere lo Zibaldone, dove Leopardi studia la nostra lingua con una passione e una precisione che nessuno ha mai eguagliato. Per molti anni Leopardi contempla i movimenti e le metamorfosi della lingua che gli appartiene e a cui appartiene. Ora gli sembra dignitosa, grave, nobile autorevole: simile al latino da cui era nata; e subito dopo osserva che è la più flessibile e pieghevole delle lingue. Ora gli pare lentissima: la vede camminare con un passo cauto e circospetto; poi la scorge procedere con una velocità demoniaca, inseguendo una meta irraggiungibie. Ora ostenta periodi immensi, pesanti e ramificati: ora si beffa di sé stessa, incantando il lettore con una specie di polverio luminoso. Qualche volta, gli sembra una lingua scritta: aforismi e apoftegmi e massime, incise nel marmo o nel bronzo. Qualche volta lo osserva imitare il linguaggio parlato - incertezze, irregolarità, andirivieni, ripetizioni, pause, confusioni, ubriachezze verbali: facendo risuonare in ogni pagina il vasto brulichio della voce umana. Circa ottant' anni fa, la lingua o la superlingua italiana conobbero una nuova rivelazione. Fu un momento felicissimo, di cui, forse, ci rendiamo conto solo oggi, in un periodo di pausa o di attesa. Ungaretti e Montale e Caproni e Bassani e Bertolucci e Gadda e la Morante e Zanzotto e la Ortese e Calvino e Fenoglio compresero che l' italiano aveva smesso di nascondersi, come accadeva ai tempi di Manzoni e di Leopardi. Col 1945 e la fine del fascismo, si diffuse in Italia una lingua parlata diversissima da quella fascista. Sorsero due lingue contrapposte. La prima, quella democristiana, non possedeva una massiccia ideologia politica: affondava soprattutto nel linguaggio ecclesiastico, avvocatesco e giuridico: era ramificata, aggrovigliata, spesso (come nel caso di Aldo Moro) incomprensibile. La seconda (quella comunista) soffocava sotto il peso delle formule marxiste o paramarxiste, ricalcate sulla prosa sovietica. Non aveva né vivacità né movimento. I discorsi dei dirigenti comunisti sembravano immense divisioni di carri armati, che avanzavano lentamente verso la meta. l cinema del dopoguerra e le prime trasmissioni televisive diffusero una forma di romanesco edulcorato, senza la minima traccia della forza espressiva del Belli. Questo falso-romanesco arrotondava o troncavao spezzavao modificava il lessico italiano. Era una specie di italiano inumidito nel Tevere. Esso si diffuse enormemente: specie nella conversazione scherzosa o finto-amichevole; e persino in regioni remote, che avevano sempre detestato il dialetto della capitale. Mezzo secolo più tardi gli italiani parlano una lingua molto diversa da quella del 1950 o del 1960. Una sotto-lingua senza sintassi, né punteggiatura, che detesta la precisione e l' esattezza: sostituisce i segni alle parole: pullula di formule gergali: non riescea esprimere i concetti e i sentimenti più semplici: non possiede colore: balza da un errore di ortografia a un altro errore di ortografia. Contamina la lingua parlata e scritta nelle università, dalla quale viene a sua volta contaminata.
Pietro Citati (Sintesi del testo letto al convegno del Fai ad Ascoli Piceno il 27 febbraio)
Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,
RispondiEliminaSilenziosa luna?
Sorgi la sera, e vai,
Contemplando i deserti; indi ti posi.
Ancor non sei tu paga
Di riandare i sempiterni calli?
Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga
Di mirar queste valli?
Buonasera