"Nel blog l'altro può firmare nel tuo testo, esiste uno spazio per chiunque decida di arrivare"
sabato 19 marzo 2011
In the mood for Torino
Un negozio bizzarro che non ho visto, un museo che è l’acronimo del mio nome, un chirurgo che per distrarsi fa il cameriere, ma solo il sabato e la domenica. Leggendo la guida Lonely in treno m’aveva colpito il nome Nautilus, già m’immaginavo un locale a forma di sottomarino. No è un negozio con vetrina ma la visita non dovrebbe essere meno interessante: antichi strumenti medici, mirabilia, chimere di animali fantastici, vecchi tratatti di anatomia, protesi, trapani, teschi, dentiere. Ci andremo, pensavo in treno, il Tgv delle 16.10 che collega Milano a Torino e poi prosegue verso Parigi. L’interior design delle carrozze è curato e colorato, ma si sta stretti come sulle spiagge romagnole. Per fortuna la vicina di corridoio è una signora dall’aria interessante: laptop, occhiali rossi a goccia che trattengono i capelli scarmigliati e un piccolo cane dormiglione. Lavora per un fotografo di moda e sta andando a Parigi per la settimana della moda. È responsabile della post-produzione, cioè della selezione e del ritocco delle immagini, e dei contatti con i giornali. Un lavoro affascinante, sempre in giro per il mondo e sprofondata nella bellezza. ”È lavoro -dice, quella che sembra bellezza è photoshop. Ho degli orari impossibili e non trovo un attimo per me stessa.” Racconta della sua squadra di giovani assistenti, parliamo di Versace e Belèn, di politica e di valori. Il treno arriva a Torino Porta Susa in un attimo, la velocità delle parole. Qui Rossana ed io dovremmo inabissarci nei sotterranei del metrò trascurando una parte di città. Preferiamo di no, attraversiamo la strada, il portico di via Cernaia già ci accoglie, avvolge, protegge. Un caffè, un bouquiniste, una libreria. Nelle strette viuzze del quadrilatero romano le luci accese nel crepuscolo, una farinata ligure con pepe servita da un napoletano che fa anche le pizze con il pomodoro di Sorrento; cartoccio da passeggio, anzi due, prima di scoprire che il cannocchiale di via Garibaldi inquadra le Alpi: le vette innevate sono blu nell’approssimarsi della sera. A Palazzo Madama saliamo la bianca scalinata dello Juvarra. Attraverso i vetri del piano superiore la piazza e la prospettiva di via Garibladi hanno la morbidezza di un quadro impressionista. In piazza Castello una sposa posa davanti ad uno degli storici tram verdi. Poi ancora una strada di portici - ce ne sono per 16 chilometri informa il baedeker - via Po che fila dritta verso piazza Vittorio e t’ordina di guardare, ai piedi della collina oltre il Po, la Gran Madre di Dio, una chiesa ottocentesca che da lontano sembra il Pantheon. Si dice che una delle sue statue indichi dov’è celato il Santo Graal. Alla fine della via punteggiata da librai ambulanti e chocolaterie, due locali storici: il Caffè Vittorio Veneto “dal 1878” e il Caffè Elena con la pubblicità del “Vermuth Carpano”. Torino come Vienna ha conservato il gusto di sedersi ad un tavolo, leggere un giornale, fare due chiacchiere, guardare gli altri e farsi guardare, in una parola il gusto dell’incontro con l’altro. Si sono seduti ai tavoli dei caffè torinesi fior di intellettuali e scrittori, come Pavese e Bobbio, e di sicuro da qualche parte si sono seduti anche Jules Verne e il professor Pierre Aronnax.
Siamo quasi arrivati. Nella vicina via Giulia di Barolo ci aspetta l’amico Simone, giovane architetto, occhi mediterranei e un sorriso che dice “Benvenuti a Torino”. Abita qualche numero dopo la “fetta di polenta”, Casa Scaccabarozzi. L’eccentrica residenza d’angolo progettata dall’Antonelli, quello della Mole, ha le pareti che si stringono fino a combaciare con la facciata. La serata è un incontro tra amici attorno alla gustosa cena preparata da Raffaella.
Domenica comincia con la colazione preparata da Elena, la nostra dinamica e discreta padrona di casa. Dalle vetrate del bed and breakfast, in via di San Vito, si vede Torino nell’abbraccio vigoroso della catena alpina spruzzata di bianco. Alle otto e mezza siamo già alla Chiesa dei Cappuccini, dalla terrazza-parcheggio la Mole spicca nel panorama cittadino, poi lo sguardo sale su per la collina alla nostra sinistra: la Chiesa di Superga è una M rovesciata nella foschia della mattina. Pieno d’energia con il bicerin, caffè, cacao e crema di latte, in Piazza della Consolata. Bicerin si chiama anche il caffè che dal 1763 si trova proprio di fronte all’entrata della chiesa; ha il soffitto basso e conserva l’arredo di inizio Ottocento con tavoli rotondi in marmo illuminati da candele, le boiserie con gli specchi e i vasi di confetti colorati. Il locale è stato sempre gestito da donne racconta Grazia che ci lavora da vent’anni. Ha gli occhi vispi e si definisce una zingara; fino ai trent’anni ha girato il mondo, per un periodo è stata con uomo a Santo Domingo, poi si sono lasciati ed è tornata nella sua città, ha cominciato qui come lavapiatti ... oggi dirige il locale. Nei viaggi, come nella lettura, immaginiamo le vite che non abbiamo vissuto.
Il compositore di lumini, potrei chiamarlo così il signore che in abito grigio nella Chiesa della Consolata si preoccupa di ordinare i lumini accesi come se fossero soldatini. Tanti ex voto, disegni e frasi incorniciate come articoli di cronaca su vite sconosciute. Il borgo di Venaria ha una piazza che segue le morbide forme delle contadine della pianura, la reggia, invece, in cui i duchi di Savoia si dedicavano alla caccia e alle feste, ha un aspetto più austero. Il percorso tra le sale ospita delle interessanti installazioni video del regista Peter Greenaway, lo stesso che al refettorio di San Giorgio Maggiore fece rivivere in proiezione multipla le Nozze di Cana del Veronese. Dame, cuochi, cavalieri e nobiltà si rivolgono al visitatore, un fascio di suoni e colori nell’oscurità. In quelle che una volta erano le cucine un cuoco avverte: “non si vive senz’aria per tre minuti, senz’acqua per tre giorni, senza cibo per tre settimane...” e poi spiega in italiano seicentesco le regole della buona cucina. In un’altra stanza i volti di otto donne spettegolano da una parete all’altra sopra i rispettivi amanti, nello schermo di un letto è sintetizzata la vita dell’uomo: una bambina diventa donna, moglie, madre e infine invecchia. Tra gli interpreti scelti da Greenaway anche Luciana Littizzetto e Piero Chiambretti. I giardini della reggia non sono ancora fioriti, alcuni lati sono recintati da reti di cantiere, il sole riscalda appena e nell’aria atomi di neve.
In Piazza della Repubblica atmosfera multietnica e disordinata con le fantasiose bancarelle degli ambulanti del Maghreb che vendono di tutto: dalle scarpe usate ai libri, dai giocattoli vecchi agli ombrelli. In Piazza Castello la Mole Antonelliana sembra vicina ma è un’illusione, bisogna camminare per una ventina di minuti e poi avvicinarla lungo vie strette che ne sottolineano l’imponenza. Al suo interno il Museo del Cinema e l’ascensore panoramico, ma due ore di coda scoraggiano i migliori propositi. Via Po, Giardini Reali, circumnavigare Piazza Castello, toccata e fuga al famoso caffè Baratti e alla Galleria Subalpina per sbucare in piazza Carlo Alberto e poi attravesrare il cortile di Palazzo Carignano, affacciarsi lungo via Accademia delle Scienze, raggiungere l’Egizio, fermarsi ad ascoltare due musicisti che suonano Caravan e In the mood, scoprire la libreria internazionale Luxembourg, la più antica e affascinate di Torino, incontrare due torinesi che portano a passeggio un carlino e ci suggeriscono di raggiungere il Duomo passando dal vicolo di Palazzo Reale non senza aver messo il naso nella caffetteria che espone i servizi da tavola in porcellana e argento della Real Casa. Camminare in una città che non si conosce è come prendere appunti per disegnare una mappa che sarà piena di dimenticanze e imprecisioni.
Al Duomo ascoltiamo i vespri e poi ci avviciniamo alla cappella della Sindone, la reliquia è coperta da un drappo tricolore e una zelante “volontaria della S. Sindone” riprende quelli che provano a scattare foto: “Signore questo è un luogo sacro e non si può fotografare”. Piazza Duomo confina con i resti del Teatro Romano e i giardini di Porta Palatina dove puoi osservare campanili, grattacieli e palazzi che spuntano a diverse altezze come matite da un barattolo: barocco, rinascimento, romanità, modernità e una punta di kitsch. Sarà la leggenda della Sindone, sarà la stanchezza, sarà la presenza dei reperti romani, o tutte queste cose assieme, ma in questo punto della città ci si sente sulla soglia di una dimensione sconosciuta. La giornata volge al termine: in via San Domenico un’insegna rossa segnala il Mao, il “mio” museo? no è il Museo d’Arte Orientale che ha chiuso da poco. Alla prossima volta insieme ad altre mete: il Nautilus, il Lingotto, Parco Valentino, il ristorante di cucina libanese El Mir, il Luce e Gas, l’Hafa Hammam di Porta Palatina, il Balòn il mercato delle pulci di Borgo Dora, il Caffè Lavazza, Stupinigi, Rivoli, Piazza Statuto, Piazza San Carlo e tante altre. Cena da Cianci in Largo IV Marzo, una trattoria consigliata da Simone, piena di confusione e allegria dove quello che mangi passa in secondo piano, perché è più interessante cogliere gli scherzi e le occhiatacce dei camerieri: tre amici che getiscono il locale come un chiosco in riva al mare: uno sembra Depardieu da giovane, l’altro Lou Reed prima del declino e il terzo con la bandana, lontano parente di Raz Degan, dietro il banco scaraffa Nebbiolo a go go. L’unica normale è Nathalie, la cameriera peruviana che sorride quando perde contatto con l’affiatato trio. In sottofondo musica rock a tutto volume, non si sa se per darsi la carica o per accelerare i tempi di permanenza, fuori c’è gente che aspetta. Gianni-Depardieu è il chirurgo del centro ustionati che nei fine settimana ha fame di vita normale. Incontriamo anche Roberto, art director e amico di Simone. Occhiale gramsciano e barba accennata, ci racconta la Torino della politica e degli incarichi, la Torino dei quartieri che cambiano, come San Salvario che sta diventando una delle zone più alla moda della città. La mattina presto a Torino Porta Nuova saliamo sul “Nautilus” diretto a Venezia: “Caro Aronnax a maggio c’è il Salone internazionale del libro, si potrebbe tornare”.
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