“Scrivere un libro sul sapere a partire dalla nostra esperienza
è stata una specie di necessità, nata da una profonda insofferenza.
Insofferenza verso un’idea convenzionale di sapere che ignora le relazioni e le
comunanze tra i suoi vari campi, e si trincera dietro codici e discipline. “Ah,
ma anche i pedagogisti fanno ricerca?”, “Ma tu sei architetto o ingegnere?”,
“Se sei musicista perché hai studiato anche filosofia?”, amenità che rivelano
schemi precostituiti e ben consolidati nel nostro contesto culturale.”
“Il primo passo per
eseguire correttamente la musica da camera è imparare a non mettersi in luce, a
tirarsi indietro. L’insieme non si realizza con l’autoaffermazione imperioso
delle singole parti che produrrebbe un barbarico caos, ma riflettendo su se
stessi e ponendosi dei limiti.”
“Tutti erano impegnati intorno all’unica opera: i falegnami
dediti a costruire le impalcature e a preparare le travi a capriate per
sorreggere il tetto; i fornaciai impegnati nella cottura dei mattoni; i
manovali per la preparazione delle malte; i tagliapietre a scegliere le pietre
più adatte; i costruttori di macchinari, i fabbri, gli scalpellini...”.
“Entrare in dialogo con gli studenti e facilitare il confronto
tra loro significa porre le premesse perché non rimangano quello che sono ma
diventino quello che possono diventare.”
Le quattro citazioni appartengono al libro Sapere è un verbo
all’infinito di Anna, Chiara, Elena Granata (ed. Il Margine). Anna è
psicologa e insegna Pedagogia generale interculturale all’Università di Torino,
Chiara è dottore in filosofia e arpista, Elena architetto e docente di Analisi
della città e del territorio e
Geografia urbana presso il Politecnico di Milano. Tre sorelle che hanno deciso
di attraversare i territori dei
loro saperi dando vita a una mappa sorprendente. Saliamo sui ponteggi delle
cattedrali medievali e scopriamo che i committenti di quei cantieri, vescovi o
presbiteri, sono anche i promotori delle Università. La faccia di Samuel
Beckett descritta da Tullio Pericoli è il punto di partenza per le analogie fra volto e paesaggio. La
straordinaria esperienza dei tribunali post apartheid in Sudafrica racconta
come la riconciliazione fra carnefici e vittime sia possibile. Negli ospitali di
Venezia e Napoli, nel Settecento, gli ultimi diventano musicisti di
talento. A Urbino scuola e città scambiano le loro strade e rappresentano un
esperimento unico. Pilpul è il termine onomatopeico che nella formazione
rabbinica indica la capacità di spaccare il capello in quattro: dissentire è
considerato un fattore positivo non un ostacolo. Nel libro le scene che si
aprono sono infinite: dal laboratorio di chimica di Primo Levi alla cattedrale
di Gaudì, alla rete di orchestre del Venezuela, a Filippo Brunelleschi che
mostra ai suoi committenti come sta dritto un uovo sopra un tavolo, a
Marguerite Yourcenar e Hannah Arendt mentre scrivono.
Sapere è un verbo all’infinito, non un potere da
gestire o difendere; il sapere è democratico, tutti devono avere la possibilità
di studiare e conoscere; il sapere è coraggioso, oltrepassa le frontiere; il sapere è una relazione, un sorriso, una
passione, un’idea una domanda inattese; a volte il sapere è, per dirla con le
parole di Anna, Chiara, Elena, “la sovrabbondante generosità della vita che c'insegna qualcosa che non sta nei libri”.
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