“L’incapacità di abbandonare il potere sembra
sia connessa a una carenza di identità dovuta a scarsi riconoscimenti
nell’infanzia, accompagnati da soverchianti richieste genitoriali che generano
un senso di inadeguatezza a cui i più si rassegnano, mentre gli uomini di
potere non cessano di cercare nel
riconoscimento esterno. Questa teoria, formulata da Manfred Kets De Vries,
della Harvard Business School, trova conferma nel fatto che per compensare il
bisogno di attenzione, riconoscimento e affetto non riscosso da bambino, l’uomo
di potere ha una sorta di coazione a comparire, a farsi vedere, riscuotere
approvazione
, consenso, seguito, per non fare i conti con la scarsa stima di sé che segretamente avverte.
, consenso, seguito, per non fare i conti con la scarsa stima di sé che segretamente avverte.
Apprendo inoltre dalla lettura di La morte del
prossimo di Luigi Zoja che una ricerca dell’Università di Surrey, ha comparato
un gruppo di 39 manager di successo con altrettati criminali, riscontrando in
entrambi i gruppi caratteristiche antisociali, immoralità e un alto tasso di
aggressività, che nei manager, (definiti “psicopatici di successo” a differenza
dei criminali , “psicopatici “senza successo”) non è immediatamente visibile e
quindi più pericolosa, accompagnata da un cinismo non dissimile da quello
riscontrato nei criminali. come si fa con questa natura, a separarli dal
potere?”
Scrive oggi Umberto Galimberti sul Venerdì di
Repubblica. Si potrebbe aggiungere che il bisogno di riconoscimento è proprio
di ogni essere umano (nessuno si rassegna a non avere riconoscimenti) ma che
nell’uomo o nella donna di potere assume una direzione unilaterale: riconoscere
l’altro come inferiore a sé (dipendenti, fan, collaboratori) e quindi
riconoscersi/sentirsi superiori. Anche l’aggressività è una tratto
caratteristico dell’animale uomo, ma tra manager e criminali c’è una differenza
fondamentale: i primi siamo liberi di incontrarli o meno, i secondi distruggono
le nostre esistenze attraverso l’inattesa banalità del male. L’aggressività
scorre costante nel treno dei giorni: dai saluti evitati, alle risposte negate, agli atteggiamenti indifferenti
o ipocriti, alle piccole calunnie, alle scortesie di chi si trova dietro una
scrivania o uno sportello, o semplicemente non si alza per lasciar posto ad un
anziano, a una signora incinta. Atti che mostrano bene come non occorra essere
dei manager o dei criminali per ferire l’altro, per non riconoscerlo. Forse,
pur vivendo sullo stesso pianeta, apparteniamo a pianeti differenti e, credo,
irraggiungibili.
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