Una
città che si scopre come le carte da gioco, un palazzo dietro l’altro,
scalinate di condomini liberty, fascisti, vetrati, curvilinei, modulari,
ondosi, stretti, vicini come persone nelle foto di gruppo; strade che
t’ingannano e all’improvviso costeggiano il vuoto, o cavalcano ponti, piazze
che sorprendono dopo un carrugio che in due non si passa. Una magia che
s’interrompe al porto vecchio con l’insensata frustata della tangenziale sui
palazzi del lungomare. Chi sono gli stupidi che l’hanno pensata e realizzata? Genova
verticale, labirintica, sovrapposta, irregolare, come le onde del mare. Genova
città d’improvvisi, di respiri sospesi, di quinte segrete. Genova nelle
chiacchiere di occasionali compagni di viaggio, un architetto diretto a
Marsiglia, una studentessa che dice di conoscere mezza Milano, una segretaria
di Lodi che ama Cuba e la bachata. Genova per salpare verso un nuovo anno, un
mare sconosciuto di attimi e incontri.
Lungo via XX Settembre un vecchio suona il sax tra il marciapiede e la vetrina, un signore con barba e sigaro mette in ordine vecchi libri nella sua edicola, le commesse del panificio hanno modi stanchi e affrettati. A Boccadasse la luce dell’ultimo giorno dell’anno è calda, una scacchiera di gialli, rosa, bianchi, blu, grigi; la gente seduta sulla riva di sassi e sugli scogli guarda il mare, chiacchiera, fuma, telefona, si bacia. Al tramonto due ragazze diventano sagome nere nel controluce, mentre uno yacht solitario sgrana nell’azzurro rosa. L’albergo è due lame di vetro, dodici piani verso il cielo, un cameriere gentile torreggia in sala con un sorriso familiare, di quei sorrisi che ti sembra di aver già incontrato in qualche misteriosa regione della memoria. I sapori del cenone, una delicata salsa di noci, una focaccia con i carciofi, un polpettone al basilico, voulevant al salmone, un bigné rosa allo zabaione, un babà e un calice di Moet & Chandon. Poi quel palazzo ottocentesco in piazza De Ferrari con le cascate luccicanti dei fuochi di mezzanotte e le musiche dell’estate in sottofondo; le finestre illuminate in piazza delle Erbe; l’odore di "erba" in piazza del Carmine inondata di musica reggae; l’eleganza di via Garibaldi; quelle due care amiche con tovaglietta, calici e panettone al seguito; all’uscita del teatro Carlo Felice, dopo aver ascoltato polke e valzer, tutti a ballare le cover degli anni Ottanta: signori con la sciarpa bianca e il Rolex, signore in lungo, uzbechi allegri, filippine con prole,coppie di cinquantenni, e anche sessantenni, giovani con i pantaloni a sigaretta, ragazze in mini, venditori di pupazzetti luminosi, turisti giapponesi, solitari e solitarie sui generis. Alle volte il primo giorno dell’anno si cammina lungo una strada, poi come rabdomanti si devia attratti dal profilo di un palazzo, così all’improvviso, rischiando di perdere tempo, di restar delusi. In via Maragliano 2, Palazzo Zuccarino ipnotizza con un precipizio di simboli, le sue grottesche, e creature infernali ai lati delle terrazze e sopra gli architravi; sui campanelli una lista di avvocati, nelle botteghe al piano terra un salone di parrucchieri e l’atelier di Mario e Luca, stilisti dell’eden urbano, amici delle relazioni elettive, degli animali, non si separano mai dai loro sharpei, e dei libri antichi che diventano trame per nuove opere. Il labirinto dei carrugi che scendono al porto vecchio ricorda i dedali delle calli veneziani, il gioco è perdersi, incontrare il mare, salire su una barca e partire. Per Parigi, per esempio, con Robert Doisneau, e i suoi scatti di umanità e ironia in mostra a Palazzo Reale: la fisarmonicista inseguita dagli sguardi nei bistrò, la collezione di facce che guardano la Gioconda, le buffe espressioni rubate dietro la vetrina dell’antiquario Romi con l’aiuto di un quadro birichino, un condominio con il collage di ritratti dei suoi abitanti, la statua di un nudo maschile con un colombo posato proprio lì, Place Vendome dal balcone di notte. Prevert, che era suo amico, racconta che un giorno Doisneau stava seguendo un pastore e il suo gregge, quando un camion investì la mandria e i cani. Alla domanda se avesse fotografato l’incidente, Doisneau rispose: "No,ho consolato il pastore". Genova dal porto antico di notte, questa sera è una goccia di luci e pietre bagnate, una scala inseguita da volte e lanterne, un pescatore che scherza e ti aspetta.
(Fra il 31 dicembre 2013 e il 1 gennaio 2014)
Lungo via XX Settembre un vecchio suona il sax tra il marciapiede e la vetrina, un signore con barba e sigaro mette in ordine vecchi libri nella sua edicola, le commesse del panificio hanno modi stanchi e affrettati. A Boccadasse la luce dell’ultimo giorno dell’anno è calda, una scacchiera di gialli, rosa, bianchi, blu, grigi; la gente seduta sulla riva di sassi e sugli scogli guarda il mare, chiacchiera, fuma, telefona, si bacia. Al tramonto due ragazze diventano sagome nere nel controluce, mentre uno yacht solitario sgrana nell’azzurro rosa. L’albergo è due lame di vetro, dodici piani verso il cielo, un cameriere gentile torreggia in sala con un sorriso familiare, di quei sorrisi che ti sembra di aver già incontrato in qualche misteriosa regione della memoria. I sapori del cenone, una delicata salsa di noci, una focaccia con i carciofi, un polpettone al basilico, voulevant al salmone, un bigné rosa allo zabaione, un babà e un calice di Moet & Chandon. Poi quel palazzo ottocentesco in piazza De Ferrari con le cascate luccicanti dei fuochi di mezzanotte e le musiche dell’estate in sottofondo; le finestre illuminate in piazza delle Erbe; l’odore di "erba" in piazza del Carmine inondata di musica reggae; l’eleganza di via Garibaldi; quelle due care amiche con tovaglietta, calici e panettone al seguito; all’uscita del teatro Carlo Felice, dopo aver ascoltato polke e valzer, tutti a ballare le cover degli anni Ottanta: signori con la sciarpa bianca e il Rolex, signore in lungo, uzbechi allegri, filippine con prole,coppie di cinquantenni, e anche sessantenni, giovani con i pantaloni a sigaretta, ragazze in mini, venditori di pupazzetti luminosi, turisti giapponesi, solitari e solitarie sui generis. Alle volte il primo giorno dell’anno si cammina lungo una strada, poi come rabdomanti si devia attratti dal profilo di un palazzo, così all’improvviso, rischiando di perdere tempo, di restar delusi. In via Maragliano 2, Palazzo Zuccarino ipnotizza con un precipizio di simboli, le sue grottesche, e creature infernali ai lati delle terrazze e sopra gli architravi; sui campanelli una lista di avvocati, nelle botteghe al piano terra un salone di parrucchieri e l’atelier di Mario e Luca, stilisti dell’eden urbano, amici delle relazioni elettive, degli animali, non si separano mai dai loro sharpei, e dei libri antichi che diventano trame per nuove opere. Il labirinto dei carrugi che scendono al porto vecchio ricorda i dedali delle calli veneziani, il gioco è perdersi, incontrare il mare, salire su una barca e partire. Per Parigi, per esempio, con Robert Doisneau, e i suoi scatti di umanità e ironia in mostra a Palazzo Reale: la fisarmonicista inseguita dagli sguardi nei bistrò, la collezione di facce che guardano la Gioconda, le buffe espressioni rubate dietro la vetrina dell’antiquario Romi con l’aiuto di un quadro birichino, un condominio con il collage di ritratti dei suoi abitanti, la statua di un nudo maschile con un colombo posato proprio lì, Place Vendome dal balcone di notte. Prevert, che era suo amico, racconta che un giorno Doisneau stava seguendo un pastore e il suo gregge, quando un camion investì la mandria e i cani. Alla domanda se avesse fotografato l’incidente, Doisneau rispose: "No,ho consolato il pastore". Genova dal porto antico di notte, questa sera è una goccia di luci e pietre bagnate, una scala inseguita da volte e lanterne, un pescatore che scherza e ti aspetta.
(Fra il 31 dicembre 2013 e il 1 gennaio 2014)
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