Il suo santo protettore si chiama Aldo Manuzio: guarda
dall’alto, con i capelli che arrivano alle spalle, il berretto calato sulla fronte e il naso a punta. Paolo
Olbi, stampatore e rilegatore, ha creduto fino all’ultimo nel suo santo e nel
suo sogno: una scuola del libro a Venezia dove nel Cinquecento prosperavano
circa duecento tipografie e dove Manuzio nel 1499 stampò l’ Hypnerotomachia
Poliphili, uno dei massimi capolavorii dell’arte tipografica. Ci ha
creduto fino all’anno scorso quando si è dovuto arrendere: distrutte le
macchine sulle quali aveva lavorato per più di cinquant’anni, bruciati
trecentomila euro.
Si è ritirato con un torchio e una tranciatrice a caldo in un piccolo negozio nel sestiere
di Dorsoduro: la vetrina guarda il ponte Ca’Foscari, ma gli studenti e i pochi
turisti che scendono dal ponte non guardano la vetrina. C’è tempo per
raccontare una storia incredibile.
Da giovane Paolo Olbi
impara il mestiere in una legatoria in campo Santa Maria Nova, poi all’ École
Estienne di Parigi. Nei primi anni novanta il suo nome entra tra le
pagine del romanzo La valle dei cavalieri di Raffaele Crovi, vincitore del
Premio Campiello:
“Il diario di Donata - scrive Crovi, che inquadra trentasei anni, dal 1931 al 1967, occupa dodici grossi quaderni a righe, rilegati, dorso in tela e sovraccoperta in carta di Varese con disegni di fiori, stemmi e figure miniaturizzate dei tarocchi, acquistati a Venezia, da ultimo nella bottega artigiana Olbi”. La bottega con sei dipendenti e numerosi macchinari d’epoca si trovava vicino alla chiesa di San Francesco della Vigna, nel sestiere di Castello.
“Il diario di Donata - scrive Crovi, che inquadra trentasei anni, dal 1931 al 1967, occupa dodici grossi quaderni a righe, rilegati, dorso in tela e sovraccoperta in carta di Varese con disegni di fiori, stemmi e figure miniaturizzate dei tarocchi, acquistati a Venezia, da ultimo nella bottega artigiana Olbi”. La bottega con sei dipendenti e numerosi macchinari d’epoca si trovava vicino alla chiesa di San Francesco della Vigna, nel sestiere di Castello.
Nel 2002 l’idea di aprire una galleria in calle Varisco ai Biri:
libri, diari, album, creati insieme a un gruppo di amici artigiani come Antonio
Cecchelin, decori in argento-oro e smalto su vetro, Vittorio Costantini, vetro
a lume, Massimo Vianello, intarsi in marmo, Danilo Busetto, sculture in legno.
“Ma il progetto che mi stava più a cuore era quello di
realizzare una scuola del libro a Venezia - racconta Olbi. Immaginate dei
giovani che hanno voglia di sporcarsi le mani, d’imparare, che se la cavano con
l’inglese e con Internet: invece di aspettare un cliente che scende dal ponte,
avrebbero aperto un balcone sul mondo. E i turisti avrebbero potuto visitare un
museo laboratorio che proseguiva la storia di Aldo Manuzio. Negli ultimi sei
anni ho bussato a molte porte per raccontare questo sogno, il più delle volte
senza nemmeno una risposta. Ricordo ancora un politico che con espressione ottusa
mi disse: ‘Il libro d’arte è morto’. Ma come, allora anche la pittura e la
scultura sono morte? Al progetto
si sono interessate, invece, le università straniere e i padri armeni: Ca’
Zenobio (il collegio armeno ndr), sarebbe stata la sede ideale se Comune o
Regione avessero sostenuto l’idea. Ma ve l’immaginate che cosa avrebbero creato
a Parigi o a New York con trenta macchine tipografiche storiche e funzionanti,
un gruppo di esperti artigiani, un laboratorio-museo dove entri con un foglio
di carta ed esci con la copia unica di un libro, la copertina in marmo
trasparente, in vetro decorato, in palissandro, gli angoli d'argento sbalzato.
Forse a Venezia ci sono troppe cose, e questa era una delle
tante che alla politica non interessava, e allora otto mesi fa ho mi sono
arreso: ho chiuso laboratorio e galleria e chiamato il rottamatore.”
Se le macchine sono andate distrutte l’idea conserva tutta la
sua forza, coerenza, attualità: chi può, in Italia o in Europa, la realizzi
senza dimenticarsi di Paolo Olbi.
In foto: Paolo Olbi nel negozio di Dorsoduro, il laboratorio in Castello.
In foto: Paolo Olbi nel negozio di Dorsoduro, il laboratorio in Castello.
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