venerdì 13 giugno 2014

Una scuola del libro a Venezia



 Il suo santo protettore si chiama Aldo Manuzio: guarda dall’alto, con i capelli che arrivano alle spalle,  il berretto calato sulla fronte e il naso a punta. Paolo Olbi, stampatore e rilegatore, ha creduto fino all’ultimo nel suo santo e nel suo sogno: una scuola del libro a Venezia dove nel Cinquecento prosperavano circa duecento tipografie e dove Manuzio nel 1499 stampò l’ Hypnerotomachia Poliphili, uno dei massimi capolavorii dell’arte tipografica. Ci ha creduto fino all’anno scorso quando si è dovuto arrendere: distrutte le macchine sulle quali aveva lavorato per più di cinquant’anni, bruciati trecentomila euro.
Si è ritirato con un torchio e  una tranciatrice a caldo in un piccolo negozio nel sestiere di Dorsoduro: la vetrina guarda il ponte Ca’Foscari, ma gli studenti e i pochi turisti che scendono dal ponte non guardano la vetrina. C’è tempo per raccontare una storia incredibile.
Da giovane Paolo Olbi  impara il mestiere in una legatoria in campo Santa Maria Nova, poi all’ École Estienne di Parigi. Nei primi anni novanta il suo nome entra tra le pagine del romanzo La valle dei cavalieri di Raffaele Crovi, vincitore del Premio Campiello:
“Il diario di Donata - scrive Crovi, che inquadra trentasei anni, dal 1931 al 1967, occupa dodici grossi quaderni a righe, rilegati, dorso in tela e sovraccoperta in carta di Varese con disegni di fiori, stemmi e figure miniaturizzate dei tarocchi, acquistati a Venezia, da ultimo nella bottega artigiana Olbi”. La bottega con sei dipendenti e numerosi macchinari d’epoca si trovava vicino alla chiesa di San Francesco della Vigna, nel sestiere di Castello.
Nel 2002 l’idea di aprire una galleria in calle Varisco ai Biri: libri, diari, album, creati insieme a un gruppo di amici artigiani come Antonio Cecchelin, decori in argento-oro e smalto su vetro, Vittorio Costantini, vetro a lume, Massimo Vianello, intarsi in marmo, Danilo Busetto, sculture in legno.
“Ma il progetto che mi stava più a cuore era quello di realizzare una scuola del libro a Venezia - racconta Olbi. Immaginate dei giovani che hanno voglia di sporcarsi le mani, d’imparare, che se la cavano con l’inglese e con Internet: invece di aspettare un cliente che scende dal ponte, avrebbero aperto un balcone sul mondo. E i turisti avrebbero potuto visitare un museo laboratorio che proseguiva la storia di Aldo Manuzio. Negli ultimi sei anni ho bussato a molte porte per raccontare questo sogno, il più delle volte senza nemmeno una risposta. Ricordo ancora un politico che con espressione ottusa mi disse: ‘Il libro d’arte è morto’. Ma come, allora anche la pittura e la scultura sono morte? Al  progetto si sono interessate, invece, le università straniere e i padri armeni: Ca’ Zenobio (il collegio armeno ndr), sarebbe stata la sede ideale se Comune o Regione avessero sostenuto l’idea. Ma ve l’immaginate che cosa avrebbero creato a Parigi o a New York con trenta macchine tipografiche storiche e funzionanti, un gruppo di esperti artigiani, un laboratorio-museo dove entri con un foglio di carta ed esci con la copia unica di un libro, la copertina in marmo trasparente, in vetro decorato, in palissandro, gli angoli d'argento sbalzato.
Forse a Venezia ci sono troppe cose, e questa era una delle tante che alla politica non interessava, e allora otto mesi fa ho mi sono arreso: ho chiuso laboratorio e galleria e chiamato il rottamatore.”
Se le macchine sono andate distrutte l’idea conserva tutta la sua forza, coerenza, attualità: chi può, in Italia o in Europa, la realizzi senza dimenticarsi di Paolo Olbi.
In foto: Paolo Olbi nel negozio di Dorsoduro, il laboratorio in Castello.

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