lunedì 30 giugno 2014

Sull'altra sponda


È dell’altra sponda, diciamo, il più delle volte con un sorriso, per affermare che quella persona è un omosessuale o ha dei modi di fare che potrebbero farlo pensare. Noi, seduti sulla sponda giusta, ci sentiamo rassicurati: almeno quel difetto lì non ce l’abbiamo, o crediamo di non averlo (quel difetto, infatti, è solo una maggiore intensità della nostra componente maschile o femminile).
Sabato a Venezia le due sponde si sono mischiate per il Gay Pride,  e quando in campo San Polo qualcuno ha chiesto agli etero di alzare la mano  i "normali" si sono accorti di essere un’allegra minoranza.  Etero più intelligenti, più sensibili, più aperti di altri?
Forse più consapevoli che i ghetti, i recinti, i muri, non portano mai a nulla di buono. Divertente la misticanza di parrucche colorate, tacchi a spillo, trucchi arcobaleno, slogan come “Anche Gesù ha due padri perché io non posso?”, “Nessun amore è diverso”, ma l’orgoglio non era quello di appartenere all’altra sponda, l’orgoglio era quello di poterlo dire senza essere presi in giro, senza vergogna, senza sguardi sprezzanti, senza botte, l’orgoglio era quello di potersi abbracciare e baciare in pubblico liberamente  senza che nessuno ci facesse caso, o quasi. 
C’è una sofferenza costretta a restare muta sull’altra sponda, schiacciata dal conformisimo, dai luoghi comuni, dall’immensa ignoranza di molti cuori pronti a scagliare pietre, a lanciare sull’altro il peso della propria esistenza. Una sofferenza più acuta quando hai sedici anni e vivi in un paese, in una città, in una famiglia che ti considera una creatura sbagliata, un caso patologico, un frocio, una lesbica, un trans.
A lato del palco, la traduttrice per i sordi roteava mani ed occhi per trasformare i suoni in segni, le parole in gesti; un linguaggio commovente che ricordava la silenziosa lacrima della diversità, ma la ricordava con gioia, con leggerezza, con accoglienza: Tu non sei della stessa sponda, ma qui sei il benvenuto, perché in realtà apparteniamo entrambi ad un’unica sponda, quella della fratellanza.
La parola abbraccio diventava due braccia allargate a cerchio, ma non saprei descrivere i  gesti usati per tradurre che la regione Veneto è l’unica in Italia che non ha concesso il patrocinio alla manifestazione, che alcuni politici hanno parlato di pulizia etnica nei confronti degli omosessuali, che l’omosessualità in un disegno di legge è stata equiparata alla pedofilia, che rispetto ad altri paesi europei solo una minima parte dei gay in Italia dichiara la propria condizione, eccetera. Sembravano cronache da Marte ma non lo erano. 

1 commento:

  1. Essere lesbica e vivere in veneto, in particolare nella provincia più alta e più chiusa di , non è solo difficile, è impossibile, e non solo a 16 anni, anche a 35. Nascosta come l'ultima dei delinquenti, anonima anche qui in questo spazio che sento amico, m voglio dire grazie a chi come te ci mette la faccia e le parole giuste.grazie di cuore.

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