Perché Maurizio Ferraris abbia intitolato il suo libro Anima e iPad e non Anima e Tablet è una domanda che lasceremo sospesa. Perché l’immagine di copertina mostri lo schermo di un tablet che riflette il volto di un uomo che è disegnato senza testa è anche questione che sarebbe da approfondire.
Non basta il sottotitolo E se l’automa fosse lo specchio dell’anima: lo specchio infatti non tronca le teste. Nemmeno il mito specchiante di Narciso prevede quest’insolita evirazione. Maurizio Ferraris, allievo del grande Jacques Derrida e professore di filosofia teoretica all’Università di Torino, in questo saggio pubblicato per i tipi di Guanda, ci accompagna passo passo in una funambolica dimostrazione sulla stretta analogia fra l’anima e il tablet.
Tablet ricorda di più il latino tabula (titolo di uno dei capitoli del libro), ma Ferraris postjobsiano oltre che postderridiano rimarca: “Un primo nome pensato per l’iPad era Mac Tablet. Forse è stato abbandonato per quella parvenza un po’ scozzese, da clan o da whisky, e si è preferito suggerire la continuità con gli iPod e gli iPhone, e magari venire a comporre una singolare coniugazione para-inglese (I Pad, You Tube ecc.); ma sta di fatto che comunque “pad” è di nuovo un supporto per scrivere, il blocco giallo che si vede nei legal thriller americani.”
Nel primo capitolo intitolato Psyché si risale all’origine, alla parola greca ànemos che vuol dire vento e a psyché, che vuol dire anche farfalla. Si passa quindi a Platone che sosteneva la centralità della parola detta rispetto a quella scritta: “l’idea è - scrive Ferraris - che le cose importanti si annidino in una interiorità palpitante, e che si manifestino meglio di tutto con la parola vivente e animata, invece che con la lettera esterna e fredda.” Fra le citazioni riportate anche san Paolo: “Lo spirito vivifica e la lettera uccide”.
Dopo aver messo in luce la contrapposizione tra spirito e corpo, tra vivo e morto, Ferraris mette in discussione questo dualismo sostenendo che l’anima, il software, l’immateriale esistono grazie ad un corpo, un hardware, una macchina.
Il ragionamento si sposta quindi sul tema della memoria che costituirebbe l’essenza, la qualità per eccellenza dell’anima. E che cosa consente di ricordare? La lettera, la scrittura. La tesi è quindi la seguente: non c’è anima senza memoria, c’è anima dove esiste memoria (e nel tablet ce n’è un sacco di memoria ... di anima vedremo). L’anima è un libro animato (animated book o a-book). Il brano sulla metafora anima-libro che chiude il capitolo è tratto dal Filebo di Platone:
“Socrate: Talvolta mi sembra che la nostra anima assomigli a un libro.
Protarco: E come?
Socrate: Mi sembra che la memoria, combinandosi insieme alle sensazioni, e quelle disposizioni dell’anima, che si verificano in questa situazione, talvolta scrivano quasi delle parole nella nostra anima: e quando viene scritto il vero, accade che in noi vi siano opinioni vere e veri discorsi, ma se questo scrivàno che è dentro di noi scrive il falso, deriveranno cose opposte alla verità .
Protarco: Certo, mi pare sia così, e accetto le tue parole.
Socrate: Devi però ammettere che anche un altro artefice si trova in quel caso nelle nostre anime.
Protarco: E chi è?
Socrate: Un pittore, che dopo lo scriba ritrae nell’anima una rappresentazione di quelle cose che sono state dette.
Protarco: Come e in quale momento diciamo che vi sia questo artefice?
Socrate: Quando, conducendo lontano dalla vista o da qualche altra sensazione l’oggetto delle opinioni e dei discorsi di un tempo, uno vede dentro di sé le immagini di ciò che è stato pensato o detto. Non avviene forse così dentro di noi?
Protarco: Ma certamente?"
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