l’Autore cerca di dimostrare come l’anima abbia delle caratteristiche analoghe a quelle di un oggetto meccanico. La mente sarebbe come quelle tavolette di cera su cui scrivevano gli antichi e che Platone utilizza come metafora: “Chi è troppo giovane e ha la cera della sua mente troppo molle o chi è troppo vecchio, e ce l’ha troppo dura, non impara nulla”.
A chi rivendica che la mente ha la capacità di immaginare cose che a una macchina non verrebbero mai in mente (appunto), Ferraris risponde che l’originario non esiste, è un mito, esiste invce l’originale, la capacità di comporre in modo nuovo cose già dette, in sostanza i nostri pensieri avrebbero una componente meccanica, sarebbero ripetizioni di ripetizioni.
Ad esempio, scrive l’autore, “Le pagine che state leggendo potrei averle plagiate, potrei essere vittima di un ghost writer che invece di scrivere per me delle cose nuove si è limitato a copiare, potrei essere un plagiario inconscio. (...) La cultura non è altro che questo: un sistema di copiature regolate, di ripetizioni consapevoli o inconsapevoli, una trama che si impara attraverso anni di addestramento, di riassunti, di imitazioni, di “alla maniera di” in cui eccellevano Flaubert e Proust.” Vengono in mente i software in grado di produrre, dopo l’inserimento di dati, articoli sportivi o economici. In conclusione di capitolo il filosofo torinese, proseguendo l’analogia tra materia e spirito, si sofferma sul concetto di carattere tipografico e umano, sottolineando come anche nelle persone desideriamo la ripetizione e ci arrabbiamo se il tal cantante o il tal filosofo non è più quello che ci aspettavamo che fosse, se il suo carattere non è più lo stesso.
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