E se fossimo “solo” delle meravigliose macchine? E se anche i sentimenti più autentici fossero il risultato di ripetizioni? L’interrogativo è inquietante e Ferraris nel quinto capitolo di Anima e Ipad intitolato Automa (psicologia) ricorda: “Neppure Kant si impegna a dimostrare che non siamo automi ma si limita a sostenere, molto ragionevolmente, che non lo sapremo mai, visto che la libertà ha un carattere noumenico, cioè non è qualcosa che si veda nel mondo, come i tavoli, le sedie e i contratti”. Poi procede con vari esempi di uomini-macchina: i fedeli che nella Thomaskirche di Lipsia passano in rassegna i loro peccati si comportano come computer che passano in rassegna la loro memoria-libro; nell’esperimento della stanza cinese un soggetto grazie a delle istruzioni in inglese usa correttamente i simboli cinesi senza in realtà comprenderli; due sacerdoti confessano via web i loro parrocchiani; nel Giocatore di scacchi di Maelzel di Poe si narra di un finto automa al cui interno si nasconde un uomo*. L’immagine più fulminante è quella tratta dal libro Cronosisma di Kurt Vonnegut: il dottor Fleon Sunoco “era convinto che le persone molto intelligenti avessero in testa delle piccole radioriceventi e che le loro idee geniali provenissero da altrove”. Anche Kilgore Trout, l’eroe del romanzo, “sembrava persuaso che da qualche parte ci fosse un grosso computer che, per mezzo di impulsi radio, avesse detto a Pitagora dei triangoli retti, a Newton della gravità, a Darwin dell’evoluzionismo, a Pasteur dei germi, a Einstein della relatività, e via di seguito”. “Di certo chi finisce male – scrive Ferraris – è il dottor Sunoco. Fiero della sua scoperta, dopo un momento di euforia in cui si precipita a comprarsi gli abiti adatti per andare a Stoccolma e ritirare il Nobel, si uccide, appunto perché la sua scoperta dimostra che non ha scoperto niente, e anzi è stata il frutto di una cieca necessità.” Insomma siamo completamente determinati oppure siamo liberi di scegliere? Per Ferraris anche i sentimenti sarebbero “automatici”: “Le persone, nel mondo reale, non avrebbero storie d’amore senza una qualche conoscenza di storie d’amore: e non è un caso, a questo punto, che le due esperienze si chiamino con lo stesso nome, ‘storia d’amore”. Scrittura, ripetizione, registrazione, memoria, sono la gabbia entro cui continua a muoversi Ferraris, ma cosa c’è oltre questa gabbia? E la libertà dov’è finita, in che senso saremmo automi spirituali ma liberi?
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martedì 28 agosto 2012
Uomini o automi?
Siamo uomini o automi? Assomigliare ad una macchina non è un’idea che ci diverte, eppure i nostri respiri , il battito del nostro cuore e altre funzioni si svolgono indipendentemente dalla nostra volontà. La teoria freudiana attribuisce all’inconscio la causa dei nostri comportamenti, le neuroscienze invece li spiegano in termini biologici.
E se fossimo “solo” delle meravigliose macchine? E se anche i sentimenti più autentici fossero il risultato di ripetizioni? L’interrogativo è inquietante e Ferraris nel quinto capitolo di Anima e Ipad intitolato Automa (psicologia) ricorda: “Neppure Kant si impegna a dimostrare che non siamo automi ma si limita a sostenere, molto ragionevolmente, che non lo sapremo mai, visto che la libertà ha un carattere noumenico, cioè non è qualcosa che si veda nel mondo, come i tavoli, le sedie e i contratti”. Poi procede con vari esempi di uomini-macchina: i fedeli che nella Thomaskirche di Lipsia passano in rassegna i loro peccati si comportano come computer che passano in rassegna la loro memoria-libro; nell’esperimento della stanza cinese un soggetto grazie a delle istruzioni in inglese usa correttamente i simboli cinesi senza in realtà comprenderli; due sacerdoti confessano via web i loro parrocchiani; nel Giocatore di scacchi di Maelzel di Poe si narra di un finto automa al cui interno si nasconde un uomo*. L’immagine più fulminante è quella tratta dal libro Cronosisma di Kurt Vonnegut: il dottor Fleon Sunoco “era convinto che le persone molto intelligenti avessero in testa delle piccole radioriceventi e che le loro idee geniali provenissero da altrove”. Anche Kilgore Trout, l’eroe del romanzo, “sembrava persuaso che da qualche parte ci fosse un grosso computer che, per mezzo di impulsi radio, avesse detto a Pitagora dei triangoli retti, a Newton della gravità, a Darwin dell’evoluzionismo, a Pasteur dei germi, a Einstein della relatività, e via di seguito”. “Di certo chi finisce male – scrive Ferraris – è il dottor Sunoco. Fiero della sua scoperta, dopo un momento di euforia in cui si precipita a comprarsi gli abiti adatti per andare a Stoccolma e ritirare il Nobel, si uccide, appunto perché la sua scoperta dimostra che non ha scoperto niente, e anzi è stata il frutto di una cieca necessità.” Insomma siamo completamente determinati oppure siamo liberi di scegliere? Per Ferraris anche i sentimenti sarebbero “automatici”: “Le persone, nel mondo reale, non avrebbero storie d’amore senza una qualche conoscenza di storie d’amore: e non è un caso, a questo punto, che le due esperienze si chiamino con lo stesso nome, ‘storia d’amore”. Scrittura, ripetizione, registrazione, memoria, sono la gabbia entro cui continua a muoversi Ferraris, ma cosa c’è oltre questa gabbia? E la libertà dov’è finita, in che senso saremmo automi spirituali ma liberi?
E se fossimo “solo” delle meravigliose macchine? E se anche i sentimenti più autentici fossero il risultato di ripetizioni? L’interrogativo è inquietante e Ferraris nel quinto capitolo di Anima e Ipad intitolato Automa (psicologia) ricorda: “Neppure Kant si impegna a dimostrare che non siamo automi ma si limita a sostenere, molto ragionevolmente, che non lo sapremo mai, visto che la libertà ha un carattere noumenico, cioè non è qualcosa che si veda nel mondo, come i tavoli, le sedie e i contratti”. Poi procede con vari esempi di uomini-macchina: i fedeli che nella Thomaskirche di Lipsia passano in rassegna i loro peccati si comportano come computer che passano in rassegna la loro memoria-libro; nell’esperimento della stanza cinese un soggetto grazie a delle istruzioni in inglese usa correttamente i simboli cinesi senza in realtà comprenderli; due sacerdoti confessano via web i loro parrocchiani; nel Giocatore di scacchi di Maelzel di Poe si narra di un finto automa al cui interno si nasconde un uomo*. L’immagine più fulminante è quella tratta dal libro Cronosisma di Kurt Vonnegut: il dottor Fleon Sunoco “era convinto che le persone molto intelligenti avessero in testa delle piccole radioriceventi e che le loro idee geniali provenissero da altrove”. Anche Kilgore Trout, l’eroe del romanzo, “sembrava persuaso che da qualche parte ci fosse un grosso computer che, per mezzo di impulsi radio, avesse detto a Pitagora dei triangoli retti, a Newton della gravità, a Darwin dell’evoluzionismo, a Pasteur dei germi, a Einstein della relatività, e via di seguito”. “Di certo chi finisce male – scrive Ferraris – è il dottor Sunoco. Fiero della sua scoperta, dopo un momento di euforia in cui si precipita a comprarsi gli abiti adatti per andare a Stoccolma e ritirare il Nobel, si uccide, appunto perché la sua scoperta dimostra che non ha scoperto niente, e anzi è stata il frutto di una cieca necessità.” Insomma siamo completamente determinati oppure siamo liberi di scegliere? Per Ferraris anche i sentimenti sarebbero “automatici”: “Le persone, nel mondo reale, non avrebbero storie d’amore senza una qualche conoscenza di storie d’amore: e non è un caso, a questo punto, che le due esperienze si chiamino con lo stesso nome, ‘storia d’amore”. Scrittura, ripetizione, registrazione, memoria, sono la gabbia entro cui continua a muoversi Ferraris, ma cosa c’è oltre questa gabbia? E la libertà dov’è finita, in che senso saremmo automi spirituali ma liberi?
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