Scritture che portano a una standardizzazione dei linguaggi, si pensi ai format dei blog o dei siti Internet, ai risultati del traduttore automatico, alle chiamate dei call center, alle risposte e messaggi dei centralini automatici.
“Registrazione, mobilitazione e stadardizzazione, scrive Ferraris sono, per così dire, i volti militari di Internet, quelli che vengono nascosti dalla rappresentazione friendly del navigare online (segno di libertà), dell’amichevolezza dei social network, della cooperatività degli scambi.”
Radicalizzando si potrebbe pensare a un mondo di “cliccatori”, di automi dall’altra parte dell’automa; è quello che viene in mente quando le persone cliccano su telefonini e tablet, e l’abitudine a desiderare di ricevere messaggi è così diffusa che un piccolo dispiacere s’insinua in noi quando non ci sono tracce di nuove notifiche: “Come, nemmeno una junk email, nemmeno un retweet, non è possibile, ci deve essere un problema di connessione.”
D’altra parte questa esplosione della scrittura è un modo di fare la verità: “Scrivendo la manifestiamo e la costruiamo, e insieme costruiamo noi stessi – scrive Ferraris. E ogni scrittura, compreso un foglio di carta nascosto nel cassetto, è potenzialmente pubblica.” Questo scrivere è anche un mezzo per sopravvivere, per lasciare uan traccia dopo di noi, una sorta di esistenza ultraterrena, forse l’unica possibile, certo non quella che ci piaceva immaginare da bambini, quel luogo in cui reincontrare le persone care e in cui i cattivi avrebbero sofferto le pene dell’inferno.
Ma torniamo al punto, che differenza c’è tra un uomo che ogni giorno fa le stesse cose e un automa? Quanto c’è di meccanico, di non spontaneo, nelle costrizioni della metrica, nella stessa grammatica, nella musica? Secondo Ferraris esiste “una centralità dell’abitudine e della mimesi nella costruzione tanto della realtà sociale quanto, più profondamente, della coscienza.” Ma pensare che facciamo sempre le stesse cose ci rende molto tristi, non è un caso che qualcuno abbia definito la depressione come “ripetizione dell’identico”.
Sempre lungo la via dell’automatismo dei comportamenti, in conclusione di capitolo, Ferraris tratta il tema della responsabilità, intesa come obbligo di rispondere a sms, mail, notifiche dei social media, e del recordare (senza memoria non si avverte responsabilità verso alcunché)
arrivando a dire, forse con troppa enfasi: “Ecco quello che potrebbe forse oggi dirci un Lévinas col telefonino: la responsabilità – il fondamento della morale – appartiene agli spettri che producono l’obbligo di rispondere, così come il rimorso, se non riusciamo a farlo, anche più del volto di chi ci sta di fronte.” Ora si potrebbe fare qualche domanda: Chi produce le scritture è uno spettro perché di lui vedo un volto registrato? L’altro che incontro mi responsabilizza meno delle scritture? Il volto è una scrittura, una registrazione?
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