Trascorriamo la maggior parte del tempo con noi stessi ma viviamo in mezzo agli altri. La solitudine è una terra di mezzo tra il nostro modo di vedere le cose e il mondo, tra il segno e il sogno, e anche, come scrive José Saramago nell'Anno della morte di Ricardo Reis, una incomprensione in noi stessi: "La solitudine non è vivere da soli, la solitudine è il non essere capaci di fare compagnia a qualcuno o a qualcosa che sta dentro di noi, la solitudine non è un albero in mezzo alla pianura dove ci sia solo lui, è la distanza tra la linfa profonda e la corteccia, tra la foglia e la radice." Una distanza che per Jankélévitch (La menzogna e il malinteso) nasce dalla menzogna: "La vera punizione dei ciarlatani è la perdita della loro ipseità: dal momento che essi non sono né ciò che sono e che sepplliscono nel silenzio, né ciò che gli altri credono che essi siano e che in realtà sono solo per truffa, bisogna concludere che essi non sono più niente. Sono delle anime in pena, delle coscienze spettrali (...)." La solitudine, il deserto, da un'altra prospettiva, è l'unica via per conoscere Dio. Scrive Giovanni della Croce nella Salita al Monte Carmelo: "Devi passare per dove non sai; per giungere al possesso di ciò che non hai, devi passare per dove non hai niente; per giungere a dove non sei, devi passare per dove ora non sei; per giungere interamente al tutto, devi rinnegarti totalmente in tutto."
E il linguaggio, probabilmente, gioca un ruolo fondamentale nel regolare le distanze, sebbene il vero significato delle parole sia a volte come un albero lontano e irraggiungibile nella pianura, o un fantasma che si mostri e nello stesso tempo si dissolva.
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