lunedì 1 giugno 2009

Siamo tutti giornalisti?

Deontologia della professione e verità
Prologo
Cominciamo da un principio
L’albo dei giornalisti
L’etica del giornalista
L’Ordine dei giornalisti
Casi pratici
La Press Complaint Commission
La verità sostanziale dei fatti
PROLOGO
Qual è il primo dovere di un giornalista? Raccontare la verità, verrebbe spontaneo dire, ma appena si dice ciò si aprono davanti a noi una serie di problemi che hanno a che fare con il significato delle parole, con la loro definizione.
Innanzitutto quale verità e riguardo a che cosa? E quali le proprietà che portano a qualificare una persona con il nome di giornalista? Qual è il ruolo del giornalista? E perché ci sarebbe il bisogno di questa verità? È stato scritto che il cittadino ha un diritto all’informazione, ma la selezione delle notizie è effettuata da altri. In base a quali principi? Si parla di notizie di pubblico interesse, ma chi decide il pubblico interesse, chi lo definisce? E ancora: può il giornalista, che non è un libero professionista ma il dipendente di un’azienda, essere davvero libero, per esempio da esigenze di audience e di vendita, oppure dalla necessità di non dispiacere alle sue fonti, ai suoi informatori. Può essere davvero libero chi ha l’obbligo per contratto di riempire a mo’ di tappezzeria pagine e pagine di un quotidiano o di un periodico per fornire un buon supporto alle inserzioni pubblicitarie, oppure ore di un programma televisivo per attirare l’attenzione del pubblico “costretto” a sorbirsi le interruzioni pubblicitarie. E come si pone il giornalista nei confronti dei politici o dei gruppi che votano i finanziamenti all’editoria: 700 milioni ogni anno?.
E ancora che differenza c’è fra un signore di media cultura che decide di pubblicare delle notizie su un blog e il giornalista o il collaboratore di un quotidiano?
Il problema di definire una specificità professionale del giornalista è centrale per capire se la deontologia giornalistica è un insieme di principi che devono essere osservati da parte di tutti quelli che diffondono notizie siano essi o meno formalmente definiti giornalisti. Questo interrogativo ne contiene un altro. Ha senso parlare di deontologie specialistiche: giornalistica, forense, oppure la deontologia è una e regola per la vita e le attività dell’uomo che si interroga sul principio e sul significato della sua esistenza in relazione a determinati valori?
COMINCIAMO DA UN PRINCIPIO
L’articolo 21 della Costituzione stabilisce: Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
All’interno di questa garanzia generale, la Costituzione nei pragrafi seguenti enuncia una serie di tutela per la stampa:
La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.
Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l'indicazione dei responsabili.
In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell'autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all'autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s'intende revocato e privo di ogni effetto.
La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica.
Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.
Naturalmente ci si potrebbe soffermare almeno su due punti. Sul secondo paragrafo che stabilisce: La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”, poiché non è stata ancora abrogata la legge del 20 febbraio 1948 che lo contraddice stabilendo “”Nessun giornale o periodico può essere pubblicato se non sia stato registrato presso la cancelleria del Tribunale, nella cui circoscrizione la pubblicazione deve effettuarsi”.
E sulle parole “tutti” e l’avverbio “liberamente” del primo paragrafo, ma quello che interessa in questo momento è la ricerca delle proprietà peculiari del giornalista, delle sue competenze talmente specifiche da rendere necessaria un’etica dedicata alla sua professione. Questione che a sua volta rimanda a un interrogativo più generale, se cioè abbiano senso le cosiddette etiche professionali o, se invece, è l’uomo in quanto uomo che a confronto della sua vita deve o è bene che si ispiri a dei principi regolatori.
L’ALBO DEI GIORNALISTI
Custode dell’etica professionale dei giornalisti è oggi l’Ordine dei Giornalisti, il cui albo venne istituito da Mussolini nel 1928 con Decreto Regio n.384. All’epoca si stabilì che per esercitare la professione di giornalista nei periodici del regno è necessaria l’iscrizione nell’albo professionale: “Presso ogni sindacato regionale fascista è istituito l’albo”. “La tenuta dell’albo professionale e la disciplina degli iscritti sono esercitate dall’associazione sindacale a mezzo di un comitato composto da cinque membri”.
“Il comitato è chiamato a reprimere d’ufficio o su richiesta del pubblico ministero gli abusi e le mancanze che gli iscritti abbiano commesso nell’esercizio della professione” (abusi e mancanze che però non vengono definiti ndr)
Le sanzioni disciplinari elencate dal decreto sono l’avvertimento, la sospensione dall’esercizio delle professione per un tempo non maggiore di sei mesi, la cancellazione dall’albo che deve essere pronunciata nei confronti di chi abbia riportato una condanna alla reclusione o alla detenzione per un tempo superiore ai cinque ai cinque anni, di chi abbia svolto un’attività pubblica in contraddizione con gli interessi della nazione.
L’ETICA DEL GIORNALISTA
Sarà la legge 1963 3 febbraio 1963 a modificare la legge del 1928 introducendo l’istituzione dell’Ordine die Giornalisti e delle regole etiche.
L’articolo 2 stabilisce. “È diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà d’informazione e di critica, limitata dall’osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede.
Devono essere rettificate le notizie che risultino inesatte, e riparati gli eventuali errori.
Giornalisti e editori sono tenuti a rispettare il segreto professionale sulla fonte delle notizie, quando ciò sia richiesto dal carattere fiduciario di esse e a promuovere lo spirito di collaborazione tra colleghi, la cooperazione fra giornalisti e editori, e la fiducia tra la stampa e i lettori”.
I doveri possono essere sintetizzati quindi come segue: dovere di rispettare la verità, dovere di rettifica che è collegato al primo, il dovere del segreto professionale (cioè un dovere di non dire la verità in relazione alla fonte che racconta la “verità” al giornalista, e un generico dovere di collaborazione e di promozione della fiducia dei lettori, che probabilmente si dovrebbe conquistare dicendo la verità.
L’articolo due nel corso degli anni è stato affiancato da una
una dozzina di codici etici:
- Codice di autoregolamentazione delle trasmissioni di commento degli avvenimenti sportivi 
Decreto del Ministero delle Comunicazioni 21 gennaio 2008 n. 36 (in G.U. 8 marzo, n. 58).

- Carta di Roma
Protocollo deontologico concernente richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti.
- Informazione e malattia: "La Carta di Perugia"
(Perugia 11 gennaio 1995)

- Carta Informazione e Pubblicità
Protocollo d'intesa 14 aprile 1988

- Carta Informazioni e Sondaggi
Protocollo d'intesa CNOG/ASSIRM 7 aprile 1995
- Carta dei doveri dell' informazione economica 
Decisione CNOG 28 marzo 2007 - Allegato: Testo Unico Finanza (Art.114 D.Lgs. n. 58/1998) e regolamento CONSOB n. 11971/1999 (Art. 69 octies)
- Minori
Carta di Treviso (Documento CNOG-FNSI 5 ottobre 1990, testo aggiornato dal CNOG il 30 marzo 2006 con le osservazioni del Garante per la protezione dei dati personali con deliberazione n. 49/06);
- Vademecum ’95 (Documento CNOG-FNSI 25 novembre 1995);
- Codice di autoregolamentazione TV e minori (Decreto Ministero Comunicazioni 29 novembre 2002)
- Codice deontologico relativo al trattamento dei dati personali nell'esercizio dell´attività giornalistica 
(Decisione CNOG 29 luglio 1998 )
- Allegato: Codice in materia di protezione dei dati personali (Titolo XII - Finalità giornalistiche e altre manifestazioni del pensiero – artt. 136-138)


- Carta dei doveri del giornalista
Documento CNOG – FNSI 8 luglio 1993.
Una sorta di furor eticus, che forse ha a che fare anche con la ricerca dell’identità di una professione che oggi deve fare i conti con la concorrenza di qualsiasi persona che possegga un videotelefonino, una fotocamera, che gestisca un blog.
Sintetizzando, da questa congerie di documenti si possono desumere i seguenti doveri:
- di diffondere le notizie di pubblico interesse.
- di rispettare la verità sostanziale dei fatti
- di difendere il diritto all’informazione di tutti i cittadini
- di rettificare notizie inesatte
- di rispettare la persona, la sua vita privata, in particolare se di minore età, malata o disabile.
- di ricostruire in modo completo e non ingannevole l’avvenimento
- di rispettare il principio della presunzione d’innocenza
- di rispettare il segreto professionale, quando è richiesto dal carattere fiduciario della fonte
- di essere autonomo e di non accettare remunerazioni, incarichi o regali che possano influenzarlo
- di favorire il dialogo con gli organi di informazione
- di verificare l’attendibilità delle fonti
- di distinguere messaggio giornalistico dal messaggio pubblicitario e di non prestare la sua immagine a iniziative pubblicitarie
- di non scrivere di notizie finanziarie che lo possano avvantaggiare
L’ORDINE DEI GIORNALISTI
Custode dell’etica giornalistica è l’Ordine dei Giornalisti, sul quale si addensa da subito una domanda decisiva: Ha senso un’istituzione come l’Ordine dei Giornalisti che dovrebbe vigilare sulla condotta dei suoi iscritti? Infatti, per la contraddizion che nol consente, come fa un Ordine che è costituito da persone che lavorano nei giornali a prendere provvedimenti contro colleghi o direttori nei confronti dei quali non è terzo?
Ma andiamo con ordine. La legge del 1963 istituisce l’ordine dei giornalisti al quale appartengono i giornalisti professionisti e pubblicisti iscritti nei rispettivi albi.
L’iscrizione sia all’albo dei professionisti che dei pubblicisti è deliberata dal competente consiglio regionale.
Vediamo quali sono i requisiti
Per i pubblicisti è necessaria una collaborazione documentabile di due anni con una testata giornalistica, è sufficiente un articolo al mese.
Per i professionisti, invece, l’assunzione come praticante da parte di una testata giornalistica il cui direttore responsabile sia un giornalista professionista. In seguito, dopo un anno di pratica, il tirocinante sostiene la prova di idoneità professionale che consiste in una prova scritta e orale di tecnica e pratica del giornalismo, integrata dalla conoscenza delle norme giuridiche che hanno attinenza con la materia del giornalismo.
La commissione esaminatrice è composta da 5 membri di cui cinque sono nominati dall’Ordine nazionale fra i giornalisti professionisti iscritti da non meno di 10 anni e gli altri due sono nominati dal presidente della Corte d’Appello di Roma, scelti l’uno fra i magistrati di Tribunale e l’altro tra i magistrati di Appello, quest’ultimo assume le funzioni di presidente della Commissione d’esame.
Ma la comptenza che qui ci interessa è quella di
“adottare i provvedimenti disciplinari e di vigilare sulla condotta e sul decoro degli iscritti. Un compito che l’Ordine attua decidendo le stesse sanzioni disciplinari in vigore nel 1928:
- L’avvertimento che viene comminato “nei casi di abusi o mancanze di lieve entità”; la censura, applicata “nei casi di abusi o mancanze di grave entità”;
- La sopensione dall’esercizio della professione da un minimo di due mesi a un massimo di un anno, quando la condotta del giornalista abbia “compromesso la dignità professionale”;
- La radiazione, che origina da un comportamento che abbia “gravemente compromesso la dignità professionale”.
Avverso le delibere disciplinari dell’Ordine regionale è ammesso ricordo all’ordine nazionale. Contro le decisioni del Consiglio Nazionale l’art. 63 L. n. 69/1963 consente al giornalista di percorrere l’iter di fronte all’autorità giudiziaria ordinaria (Tribunale, Corte d’Appello, Corte di Cassazione).
CASI PRATICI
- Renato Farina ex vicedirettore di Libero e ora parlamentare è stato radiato dall’Ordine dei Giornalisti perché nelle indagini sul rapimento di Abu Omar emerse che Farina fu arruolato nel Sismi con il nome in codice di ‘Betulla’ e veniva pagato per spiare colleghi e pubblici ministeri.
- Vittorio Feltri, direttore di "Libero", è stato radiato dall’Ordine di Milano per aver pubblicato sul suo quotidiano foto tratte da siti pedofili.
- Pippo Baudo e Mike Bongiorno sono stati radiati dai rispettivi ordini perché svolgevano attività pubblicitarie.
In realtà questi casi eclatanti dimostrano solo la perfetta inutilità della sanzione irrogata dall’Ordine e l’ inutilità dell’esser iscritti all’Ordine, in quanto Feltri ed altri esercitano tranquillamente la professione senza che l’Ordine possa alcunché. Così come la può esercitare in qualsiasi momento qualsiasi persona aprendo un blog in Internet, realizzando un video, tenendo un comizio, partecipando a una trasmissione televisiva, mettendo in pratica l’articolo 21 della Costituzione .
C’è di più. Il ricorso del giornalista Mario Rossi, che è stato estromesso dalla collaborazione con il suo giornale per far posto ad una collega raccomandata, è stato invece archiviato perché l’Ordine, che avrebbe dovuto prendere provvedimenti contro i colleghi che siedono nella redazione del giornale implicato nella vicenda, ha preferito soprassedere.
A questo punto che ragione ha di esistere l’Ordine dei Giornalisti?Ma se non ha ragione di esitere l’Ordine dei giornalisti, non ha neppure ragione d’essere un’etica specifica, poiché come possiamo constatare, la capacità di raccontare un fatto appartiene o non appartiene ad ognuno al di là della circostanza che egli sia qualificato come giornalista da un ente. Questo però non significa che chi racconta un fatto sia svincolato dal rispetto delle leggi, che sono emanate secondo dei principi etici condivisi. L’etica è qualcosa di individuale, essa non può esser imposta, è una scelta interiore dell’uomo che agisce per evitare il male. Mi accorgo però quanto sia difficile definire un fare etico, sembra che esso possa essere definito solo in presenza di un danno, ma ciò che è danno per alcuni per altri può essere vantaggioso e utile, anzi obbedire ad un imperativo etico, quello di dire la verità. Per cui il danno da solo non basta a definire non etica un’azione.
Penso al caso molto concreto che a riguardato un presidente del consiglio ospite alla festa di compleanno di una diciottenne. Una vicenda su cui a prima vista non ci dovrebbero essere dubbi.
Non è etico che un umo di governo, che è anche un uomo sposato, intrattenga rapporti amichevoli con una diciottenne. Ma al tempo stesso è etico rispettare la vita privata di una persona, in questo caso quello della diciottenne e della sua famiglia. Sembrerebbe etico rispettare la verità sostanziale dei fatti. Non è etico molestare con domande insistenti una diciottenne, né usare le sue foto per suscitare facili curiosità. Quando parlo di fatto in sé naturalmente non so bene di cosa parlo, intendo dire il fatto circoscritto, ma ogni fatto è seguito e preceduto da altri, quindi anche parlare di fatto in sé risulta difficile.
LA PRESS COMPLAINT COMMISSION
In altri paesi, l’America e l’Inghilterra per esempio, non esiste l’Ordine dei Giornalisti, chiunque, a patto che gli sia riconosciuta questa capacità dalla redazione può svolgere l’attività giornalistica. Ciò non significa che non vi sia un codice etico da rispettare. In Inghilterra su di esso vigila la Press Complaint Commission, un organo formato e sostenuto dai rappresentanti dei più diffusi organi d’informazione. La Commision, è bene specificarlo, non ha poteri effettivi, esercita solo un potere di monito.
È inoltre interessante notare che le norme inglesi sembrano porre l’accento più che sulla verità e sulla libertà d’informazione, sul rispetto delle persone. Il codice della Complaint Commission stabilisce in sintesi un dovere di:
- precisione
- distinguere tra commento, congettura, fatto,
- di ospitare le repliche
- di rispettare la privacy
- di non molestare le persone con richieste insistenti
- di non identificare i bambini, le vittime di violenza sessuale, persone collegate ai protagonisti di fatti criminali
- di non usare inganni o sotterfugi (come microspie, telecamere nascoste…)
- di non fare discriminazioni
- di non usare per proprio vantaggio informazioni finan
ziarie
- di proteggere le fonti delle informazioni
- di non pagare i testimoni dei processi penali né ai criminali.
Solo in relazione al pubblico interesse il codice della PCC può essere violato e per pubblico interesse si intende proteggere la salute pubblica, la sicurezza, la buona fede dei cittadini, un pubblico interesse che non basta invocare ma che deve essere valutato dalla Complaint Commission
LA VERITA’ SOSTANZIALE DEI FATTI
Tra gli imperativi etici stabiliti per legge a carico dei giornalisti il più problematico è il seguente: “È loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede”.
Innanzitutto viene da chiedersi se questo obbligo non dovrebbe essere l’obbligo di ogni uomo che vive in un consorzio civile. Ma chiunque ha pratica della vita sa nello stesso tempo che la verità non sempre produce il bene, né essa è dicibile, nel senso che ognuno di noi si è confrontato con l’insufficienza descrittiva delle parole rispetto alla molteplicità e alla profondità del reale.
Ma quali sono le cartteristiche del fatto-notizia? La regola trita e ritrita, che purtroppo alcuni ancora ripetono è che “Un cane che morde un uomo non fa notizia, un uomo che morde un cane sì”. Si sa che anche i morsi dei cani in cronaca locale fanno notizia eccome. Il luogo comune però resiste ed è un indizio della tendenza giornalistica a premiare l’insolito, tendenza che innesca a sua volta un processo di ideazione e fabbricazione di eventi insoliti. Anche perché c’è un pubblico da conquistare, un giornale che non vende, un tg senza telespettatori è destinato a chiudere.
Ci sono dei criteri di valutazione che vengono indicati dai giornalisti per stabilire quando un fatto diventi notizia, essi sono
- per la sua singolarità e novità intrinseca;
- per le conseguenze che può avere sulla vita della gente o che potrebbe se si ripetesse;
-per le sue eventuali possibilità di sviluppo
- per la vicinanza alla zona di diffusione del medium;
- per le reazioni emotive che può causare.
Va specificato che nella categoria di fatto rientrano: le azioni e le omissioni, le dichiarazioni, le previsioni, i commenti, le pubblicazioni e le analisi, le osservazioni e le indagini del giornalista.
La notizia, per usare l’aggettivazione di un collega, è un’entità fluida e mutevole. Lo stesso fatto può esser considerato notizia da una testata e non da un’altra, lo stesso fatto può essere giudicato in modo diverso dalle varie redazioni del giornale (cultura, cronaca, economia), lo stesso fatto può essere “degradato” nel giro di poche ore in relazione ad altri avvenimenti giudicati più importanti e accaduti nell’arco di tempo che precede la pubblicazione.
Per dirla con Cavallari: “il trattamento (di trasformazione di un fatto in notizia) è un rapporto tra il processo unitario durante il quale l’informazione e la sua utilizzazione diventano inseparabili e la diversità dei fini perseguiti da ogni giornale”. Uno stesso fatto sarà diversamente raccontato nelle pagine dell’economia invece che in quelle della cronaca, sarà ancora diversamente raccontato nelle stesse pagine di giornali diversi come il Corriere, La Repubblica, Libero o il Manifesto.
Ma quel che fa riflettere è che dei criteri elencati, di gran lunga il più applicato, e praticato attraverso l’invenzione o la deformazione dei fatti, è il primo per catturare l’audience dei lettori, quindi del mercato.
“La verità sostanziale dei fatti” ha da tempo ceduto il passo allo storytelling, al raccontare una storia nel modo più appetibile per il proprio pubblico di riferimento. Il fatto-notizia è cioè pensato, elaborato, “cucinato” per essere merce appetibile dentro alla quale la verità può anche non esserci più, l’importante è attirare l’attenzione, vendere copie, catturare ascoltatori. L’inventario della realtà, per dirla con le parole di Cavallari, diventa così l’invenzione della realtà, un mondo fantastico in cui l’etica non ha più ragione di esistere.
Certo non si può dire che contribuiscano al rispetto della verità sostanziale dei fatti non verità, mistificazioni, artifici, inganni come:
-gli pseudoeventi, cioè tutte quelle feste, gare, spettacoli, organizzati solo per stupire
- le locandine “gridate sui minori”
- le intercettazioni che violano la privacy di persone non indagate
- gli abusi di potere alla Santoro che ingaggia una comica per deridere una giornalista che aveva osato criticarlo
- l’uso dell’immagine di Eluana Englaro giovane e sorridente
- le immagini truculente die un lager per disabili in Sudan pubblicate in prima pagina
- gli speciali su Cogne e Garlasco
-le foto di minori=
- le foto delle bare ai funerali
- l’uso del corpo della donna
- le interruzioni pubblicitarie nei programmi cosiddetti giornalistici
- La pubblicità, il lancio di programmi nei tg
- la pubblicità di cui è infarcito il giornalismo sportivo (ma non deve esserci una netta distinzione tra pubblicità e giornalismo)
- i titoli forzati che piegano la verità sostanziale dei fatti alle esigenze di uan retorica meramente estetica
- le notizie inventate su animali feroci, ufo, gossip, veggenti, miracoli?
Allora torna un interrogativo cruciale: Quid est veritas? Possiamo ancora invocare in nostro aiuto le definzioni di verità per corrispondenza, di una possibile verità per coerenza? Potessimo farlo, constateremmo l’insufficienza delle parole, delle loro definizioni, il loro limite, la loro differente comprensione a seconda di chi ci ascolta. Eppure misteriosamente abbiamo la sensazione di capire. In qualche modo sentiamo di cogliere il vero anche nell’articolo che sappiamo montato ad arte e nel malinteso, nella finzione del teatro nei sogni dei poeti. Crediamo di comprendere meglio la realtà ogni volta che qualcuno ci racconta un fatto, sia esso un giornalista, un romanziere, un attore, un prete, un amico, un filosofo. Ma non un fatto qualsiasi, un fatto attraverso il quale riconosciamo nell’altro una parte di noi: il suo essere nelle contraddizioni dell’esistenza.

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