sabato 16 gennaio 2010

Diario afgano


Non abbiamo alternative fra queste montagne, dobbiamo orientarci fra tracce di sentieri confusi, stati d'animo così diversi, senza sapere mai quello che ci capita. Guardo le cime altissime del Pamir che svettano anche oltre i settemila metri, il vento soffia gelido e segna la pelle del viso, il cielo è limpido e profondo. Mi accompagna in questo viaggio straordinario l’amico d’infanzia Giancarlo Sini di Emergency. Procediamo con cautela su una Land Rover militare lungo la valle del Panshir diretti ad Anabah. Con noi anche Gabrielle Gentili di France Press. Poco prima della mezzanotte una gigantesca mezzaluna illuminava quasi a giorno l’intera vallata, i profili bassi delle abitazioni, le creste delle montagne, i sentieri che si perdono verso i letti asciutti dei torrenti. In lontananza l’impaziente frullio delle pale degli elicotteri e le loro luci come lucciole nervose nel buio. Il cielo è cambiato, le nuvole grigionere sono enormi e ci sfiorano la testa. Un vecchio cartello arrugginito avverte del pericolo mine. Di notte a volte scendono dai loro rifugi nelle rocce e piazzano qualche mina anticarro. Da qui in avanti procediamo a nostro rischio e pericolo. "C'è sempre qualcuno pronto a colpirti alle spalle", dice Giancarlo. Ci accendiamo una sigaretta e si va! Da cinque ore siamo fermi al check point, il tenente Vieri della Task Force North ci ha detto che non si può proseguire perché a Jalalabad ci sono stati dei disordini, i ponti radio con Anabah sono interrotti, il satelittare ha una finestra di due minuti ora. Tra poco sarà l'alba, Giancarlo ha preparato un caffè con un fornelletto a gas, il silenzio intorno a noi è spettrale, il termometro segna meno quindici. Gabrielle continua a scrivere, non so se per paura o per distrarsi dal freddo. Non abbiamo voglia di dormire, l'unica cosa familiare sono i nostri sguardi.

Nessun commento:

Posta un commento