venerdì 22 gennaio 2010

Diario afgano


Ci sono luoghi che non dimenticherai mai perché sanno parlarti attraverso le loro assenze. Donatella oggi ci fatto da guida e ci ha portato lungo il Jaade-ye Maiwand, è la prima cosa di Kabul che i giornalisti e i cinereporter di tutto il mondo vogliono vedere. Una volta era un lungo viale costellato di palazzi. Oggi non resta in piedi un solo edificio a eccezione del Nadir Shah Palace.Siamo rimasti muti a guardare le sue inutili porte spalancate, i tetti sventrati dagli obici sovietici, le facciate crivellate dai proiettili traccianti, i corridoi affacciati nel vuoto, i cavi elettrici recisi che sventolvano nella brezza. Sullo sfondo il maestoso Sher Darwaza coperto di neve
Tramonto aranciogrigio nell’aria tagliata dal vento che profuma di curry e nuvole. Al chek point di Darmasalan a sud di Kabul abbiamo atteso due ore. Da quel che abbiamo capito c’era un problema ai ponti radio dedicati all’unità antiterrorismo dell’Fbi, la banca dati che controlla le generalità di ogni persona in entrata e in uscita dalla capitale. All’ospedale di Emergency abbracci, sorrisi, storie, a volte tragiche. Mi ha colpito Roberto Leoni, chirurgo romano dai modi asciutti e dalla barba dorata. È in sala operatoria 18 ore al giorno, qualche voltà 24 ore al giorno| ma nel suo sguardo c’è una forza straordinaria. Il nostro “hotel” per la notte è una casa costruita con il fango e tavole di legno. Abbiamo mangiato spezzatino di montone e chapati insieme a Donatella Cecchini, una fotografa fiorentina dagli occhi verdi e vivaci, è qui per un reportage sull’istruzione femminile. Non smetteresti mai di ascoltarla mentre parla delle madrasse e delle donne afgane che incontrato. Ogni giorno scopriamo il piacere delle piccole cose, come un pasto caldo, dell’amicizia, di legami che credo dureranno per sempre.
Gli elicotteri ci hanno svegliato all'alba, erano diretti verso nord. Caffè per buttarci alle spalle il sonno e il freddo. Gabrielle si accende una sigaretta, apre il suo taccuino e ci legge un vecchio proverbio arabo:
“Sai camminare sull’acqua? Non hai fatto nulla più di un’inezia. Sai volare nel cielo? Non sei migliore di un moscerino. Conquista il tuo cuore, allora potrai davvero diventare qualcuno”.
“Ma allora non c’era bisogno di venire fin quaggiù, potevamo esercitarci anche a a casa”, scherzo e anche i miei amici sorridono. E si va ancora sulla Route A01. Passeremo, speriamo, i check point di Jalalabad e poi nel pomeriggio faremo sosta a Kabul. Grazie a tutti voi che scrivete e commentate questo viaggio fantastico, un abbraccio e a presto. Mario
Pam,pam, pam, un colpo dietro l’altro, una grandinata di pietre questa mattina ha investito la nostra Land Rover sui tornanti del passo di Selang rompendo il parabrezza e piegando l’antenna del satellitare. I massi più grandi per fortuna sono caduti più a valle. Se ci avessero colpiti ci avrebbero trascinato negli strapiombi. La strada però è rimasta bloccata. Insieme agli autisti di due tir uzbechi che trasportavano carburante abbiamo legato i cavi da traino alle pietre più grandi e le abbiamo allontanate fra loro cercando di creare lo spazio necessario per passare prima che facesse buio. Anche la nostra jeep con il suo paraurti rinforzato ha fatto il suo dovere. Dopo quasi nove ore siamo riusciti a creare un varco e a continuare il nostro viaggio verso Anabah. Da poco siamo fermi alle porte di Jalalabad sulle sponde di un piccolo lago ghiacciato. Giancarlo ha accesso un piccolo falò, ci divertiamo a lanciare i sassi che rimbalzano sulla superficie ghiacciata. Gabrielle canta sottovoce With or without you degli U2 e ogni tanto alza la testa verso le stelle che stanotte sono così vicine che sembra tu possa toccarle. Il termometro segna meno venti e abbiamo fame dopo una giornata durissima. Forse per questo il minestrone liofilizzato e le fette biscottate sembrano la cosa più buona che abbiamo mai mangiato. A volte smettiamo di ridere o di parlare, gli sguardi si perdono lontano, cercano di raggiungere casa, ognuno di noi ne ha lasciata una per essere qui, adesso, per seguire il suo richiamo di un altrove. Sono strani i pensieri che affollano la mente quando scegli di attraversare la solitudine di un luogo così diverso da quelli che hai sempre conosciuto. Impossibile raccontare i tanti pensieri che girano in tondo, in questo momento, in questo viaggio sul filo delle nostre esistenze, nelle fredde stanze di un paese attraversato da battaglie senza verità. Una sola certezza forse abbiamo: dopo questo viaggio non saremo più gli stessi.

1 commento:

  1. Il tuo racconto mi ha commossa...sono alla vigilia di una selezione presso la sede di Emergency di Milano...vorrei partire con loro per Anabah come ostetrica!Ho paura e voglia infinita di fare questa esperienza...spero di esserne all'altezza!!!Laura.

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