mercoledì 27 luglio 2011

Quello che manca

Caro amico, ci vorrebbe un the caldo seduti al tavolino rotondo di un caffè in piazza Unità a Trieste respirando quell'aria fredda continentale che scende veloce dalle montagne, pulisce tutto, solleva le gonne delle mule e scompiglia i capelli. So che ti manca il tempo di fare quella cosa così banale senza rimproverarti con un "dovrei fare altro". Quando ti fermi a quel tavolino pensi Ma per chi scrivo, recito, suono, dipingo? Ti tornano alla mente le parole di Roger Caillois “In quest’epoca non c’è solo un’inflazione monetaria, ma anche un’inflazione bibliografica. Il valore del libro si è talmente abbassato con questa follia della pubblicazione in serie, in collane, che ormai esso, come la moneta, non ha alcun valore”. E Kundera: “Risme su risme di fogli scritti si accumulano negli archivi, che sono più tristi dei cimiteri, perché non ci entra nessuno nemmeno il giorno dei morti. La cultura scompare nell’abbondanza della sovrapproduzione, nella valanga dei segni, nella follia della quantità.” Si potrebbe dire lo stesso della musica, della fotografia, delle installazioni artistiche, dei film, del teatro. Del teatro no, ce n'è sempre stato poco.
Quando poi ti fermi a pensare capisci che il treno della vita è un treno ad alta velocità, annusi odori, profumi, mangi, leggi tutto sempre più in fretta, e poi vorresti essere un avvocato, un chirurgo, ma anche un giornalista, un viaggiatore, ma anche un romanziere, un casanova, ma anche un eremita, un buddista, un poeta, ma anche un navigatore solitario, un buon padre, un buon marito, un buon amico, un cuoco niente male, uno sportivo e perchè no anche un musicista e un pittore, un diplomatico, anzi no un architetto, ma se poi lo fossi davvero ne saresti felice? O ti mancherebbe sempre qualcosa, quel tavolino dove soffia la bora e passano le mule.
(mula in dialetto triestino significa ragazza)

1 commento:

  1. L’evoluzione socio-tecno-culturale della nostra società (quella occidentale, direi), ha determinato nell’individuo medio una sorta di “bulimia globale” nei confronti di ogni aspetto della sua esistenza: non solo nel senso letterale della parola (riflettiamo un attimo su quanto mangiamo, alla varietà delle cose che mangiamo - rispetto alla antica e sana frugalità dei pasti dei nostri nonni – ed alla nostra continua pretesa di novità in fatto di gastronomia) ma anche nel senso metaforico del termine, perché, per l’appunto, le sempre maggiori possibilità di viaggio, di comunicazioni, di esperienze personali, determinano in noi il continuo, perenne, bulimico fagocitare di informazioni, immagini, suoni, profumi da cui ovviamente – quali animali tra i più curiosi – siamo sedotti.
    Ed in questo costante divorare maturiamo – in fondo umanamente e naturalmente – variegate aspirazioni personali, che determinano l’abbondanza della sovrapproduzione, la valanga dei segni, la follia della quantità, perché il moltiplicarsi delle possibilità del singolo va poi addizionata al moltiplicarsi dei singoli in grado di concedersi le molteplici possibilità di esperienza.
    Da qui due interrogativi speculari alla somma matematica proposta (uno cioè relativo al singolo ed uno relativo alla collettività): “se riuscissimo ad essere ogni volta quello che desideriamo essere, saremmo veramente felici?”; “la democrazia culturale porta necessariamente con se l’abbassamento del valore della produzione artistico-letteraria?”
    Quanto al primo interrogativo - considerando che il rischio di non riuscire ad essere nulla volendo perennemente essere tutto esiste - la risposta è no perché raggiunta la meta, incarnato il personaggio, assunta la veste, subito lo sguardo volge altrove, verso altri personaggi, mete, vesti perché “fatti non foste per viver come bruti ma per seguir virtute e conoscenza”.
    Quanto al secondo interrogativo……………………….

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