"(...) È dunque un errore della conoscenza che si ha della propria interiorità desiderare di trovarsi nelle condizioni esteriori altrui, nella convinzione che su questo nuovo terreno saremmo più felici: a questo desiderio è connessa l' invidia per la felicità degli altri. L' invidia vorrebbe allontanare coloro che sono felici dalla propria condizione, e a tal fine cerca ragioni con perfida sofisticheria. Essa, quindi, è un errore della natura cognitiva e di quella morale. È un errore della natura cognitiva. È segno di una natura forte riconoscere nelle cose una ininterrotta catena di cause ed effetti non pensando semplicemente che seminare basti a produrre frumento, ma estendendo le medesime leggi anche alla vita umanae alla storia dei popoli. Ma l' invidioso, come, in generale, ogni uomo egoista e miope, vedendo emergere le cime dei monti dalle nuvole crede che esse fluttuino, isolate, nell' aria, mentre un osservatore più acuto intuisce che esse sono legatea qualcosa, seppure in modo nascosto, e comprende che sono i punti più elevati di una catena montuosa. Agli invidiosi la felicità e l' onore appaiono sotto l' involucro esteriore della ricchezza e dello splendore, dell' acclamazione pubblica e delle lodi dei giornali.
Attraverso queste circostanze casuali, che accompagnano una felicità e una fama spesso solo apparenti e raramente reali, essi non riescono a vedere il cuore delle cose. E qual è questo cuore? Cos' è la felicità? Cos' è l' onore? Come ogni bellezza deve essere organica, come ogni aggiunta ornamentale è soltanto una mostruosità, così anche la felicità e l' onore devono sorgere dallo stesso tronco che poi adorneranno; ci vuole la forza dell' albero fresco e giovane perché i fiori sboccino, ed essi cadono subito quando la linfa che li ha prodotti si esaurisce. Ammettiamo che il destino regali a un invidioso quello che egli guardava con occhi avidi: esso gli si avvinghierebbe come una escrescenza inorganica, gli succhierebbe le forze, ne logorerebbe la volontà, lo ingannerebbe con nuove, splendide illusioni, verso le quali si volge, bramosa, la sua anima."
"L' invidia lavora con la rabbia e con il risentimento, l' amore con una lieta calma; i frutti degli sforzi dell' invidia hanno sempre qualcosa di bieco e spiacevole. Lo sguardo dell' invidioso, che deforma tutto e tutto comprende in modo distorto, ritrova anche nei propri successi i segni di questa insoddisfazione. Esiste una patologia per cui dei bambini tendono ad appagare il loro appetito ricorrendo ad alimenti non commestibili; allo stesso modo l' invidioso pretende continuamente cose che sembrano dargli soddisfazione, ma che, in fondo, accendono sempre più la sua arsura interiore. Questo logorio dell' anima si ripercuote anche sul corpo: gli antichi hanno rappresentato l' invidia come un essere metà uomo metà donna, che procede in avanti con uno sguardo vuoto e torvo, con un velenoso sorriso negli occhi, in modo indolente e con lentezza, molto magra e pallida; insonne e senza pace."
Friedrich Nietzsche, Può un invidioso essere felice?, traduzione Alessandra Campo, Elliot, Roma, 2013
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