La
barba di un giorno, i capelli corti e la giacca a vento che quasi gli tocca le
orecchie. Parla in friulano con l’amico di fronte, capello gellato, baffetto e
pizzo alla D’Artagnan. Guardo le mani, sono mani grandi con la pelle che sembra
corteccia, non lavorano al computer di sicuro. Come comincia una conversazione
in treno? Di solito con un’affermazione ovvia, Che tempo oggi, Questi treni
sempre in ritardo, Che caldo..., eccetera, il repertorio è vasto, i due parlano
in friulano, friulano stretto, Siete dell’alto Friuli? Ecco è iniziata più o
meno così la conversazione. Lui, faccia tonda, occhi buoni, ha lavorato
quarant’anni nelle acciaierie Danieli vicino a Reana, provincia di Udine. In
quarant’anni mai fatto un giorno di ferie, pagavano bene, eravamo milleduecento,
dei sindacati neanche l’ombra. L’unghia dell’anulare destro non c’è più, non
chiedo quale pressa se l’è portata via. Racconta di una fabbrica con venti
turni, sabati e domeniche compresi, della fragilità dell’acciaio,
dell’efficienza delle macchine Pomini, le costruivano a Milano, della polvere e
del fumo, del caldo che ti faceva sudare anche d’inverno, Portavo sempre una
doppia maglia di lana, perché davanti avevo il forno ma
dietro le porte del
capannone si aprivano per far passare i carichi e con i carichi arrivavano
delle botte di aria fredda, quando ne avevi prese due o tre eri finito con la
schiena. Racconta di quando gli avevano proposto di lavorare per la Beltrame di
Mestre, che adesso ha vinto una commessa per costruire i binari delle ferrovie
turche. Lui comunque è l’unico che ha lavorato in acciaieria, gli altri sono ex
ferrovieri, tutti paesani, di Reana, vicino a Tavagnacco, vicino Udine. Ma dove
andate? A Pescara a prendere l’olio. Siete proprio una bella compagnia, buon
viaggio, divertitevi.
Sale
a Desenzano, ha una borsa in juta, di quelle riciclabili che si usano per fare
la spesa senza dover chiedere il sacchetto di plastica, le ciglia sparute e la
pelle intorno agli occhi sembra gonfia, forse per un’allergia, forse per il
botulino. Passa una zingara e lascia un cartoncino giallo, Ho due figli, sono
senza lavoro ... entrambi mettiamo
una moneta. La conversazione si sviluppa intorno al senso di quell’offerta,
l’importante è come ci si sente, lei torna a Torino, non proprio a Torino, in
un paesino della Val di Lanzo a trenta chilometri da Torino, ha partecipato a
un corso di biogeologia: insegnano a trovare l’acqua e non solo: siamo immersi
in campi di energia, anche nei rapporti con le persone sentiamo energie
positive o negative, così ci sono luoghi speciali che definiamo pieni di
energia, una radura nel bosco, Castel del Monte, una roccia. Lei all’inizio non
ci credeva, però aveva un problema d’acqua a casa sua, i muri del piano terra
erano quasi sempre bagnati a causa di una falda, un rabdomante le indicò il
punto preciso in cui scavare un nuovo pozzo e da allora la falda a monte si è
abbassata e il problema risolto. Le chiedo se conosce la comunità di Ivrea, la
setta religiosa di Damanhur che ha scavato un tempio sotterraneo di sette
piani, prima dichiarato abusivo e oggi sotto la salvaguardia della
soprintendenza. Alcuni suoi amici c’erano finiti dentro e con fatica sono
riusciti a tornare liberi: Dvi donare alla comunità tutti i tuoi soldi e il
capo ha amicizie importanti, se no non si spiega. Si fa chiamare Falco, una
ragione ci sarà.
Alberto,
il viso che finisce in una barba curata, le mani che gesticolano come se
manovrassero una macchina, è il responsabile commerciale di Industrial
Innovation, una società che produce caschi particolari, permettono di
teleguidare una persona, sono muniti di auricolari, telecamera, occhiali con
schermi che trasmettono immagini. Spiega al cellulare che per quanto riguarda
la realtà virtuale collabora con un’altra azienda che realizza tavoli e pavimenti
interattivi, oloscreen e sistemi di realtà aumentata. In una settimana fa
quattromila chilometri, propone anche simulatori di volo e simulatori per la
guida di carelli elevatori, pare che un numero altissimo di incidenti sul
lavoro avvenga per una pessima guida di questo mezzo. Forse andrà a Chicago la
prossima settimana.
Sono
due, due che gridano, forse si amano troppo, forse non si amano più. Ogni volta
che alzano la voce, le teste dei passeggeri si sporgono e guardano in direzione
del rettangolo scorrevole trasparente: litigano nell’atrio della carrozza,
seduti sullo scalino della porta. Sono convinti che il rumore del treno copra
quello delle loro voci. Invece ad ogni picco di decibel le teste si voltano
verso la fine del vagone come in una partita di tennis.
Sale
a Verona, di lei arriva prima il rumore dei tacchi, tomaia nera abbellita da
brillantini in punta e dietro, trolley rosso e blu, vestito di lana corto. Si
siede. Davanti a lei, accanto al finestrino, un trentenne indaffarato agli
schermi del cellulare e del tablet. Lei prova due volte a parlarci ma il
trentenne in giacca rosso vino non molla i display. Telefona anche lei,
racconta che è sempre in giro, non si ferma mai, forse si vedranno in gennaio.
Si occupa per caso di moda? No di marketing, faccio funzionare i punti vendita
di una grossa catena di supermercati. Una donna manager? Direi di sì, anche se
preferirei stare a casa con mia figlia, ma guadagno bene, il doppio di mio
marito architetto, Ho tre abbonamenti, Venezia Milano, Venezia Firenze, Venezia
Roma, quando posso torno a casa, non mi fermo fuori a dormire. Prima di
scendere parla con un addetto alle pulizie, In questi anni siamo diventati
amici, anche con i controllori, ho i loro cellulari, se prende di nuovo questo
treno da Milano magari ci si rivede.
(Foto scattata all'interno della libreria Hugendubel di Monaco)
(Foto scattata all'interno della libreria Hugendubel di Monaco)
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